Approcciare la recensione di Oddworld Soulstorm non può non farci pensare che sei anni fa Oddworld Inhabitants ci aveva proposto un vero viaggio nel passato: a circa 20 anni dalla prima release del loro titolo ammiraglia, Abe’s Oddysee, il team aveva deciso di provare a convincerci che per i Mudokon ci fosse ancora speranza.
Con un remake costruito da zero, utilizzando solo il prodotto originale come modello, il team di sviluppo portò Abe ad avere una nuova vita. Il lavoro compiuto fu di grande pregio, ma si è trattato di un prologo a ciò che poi Inhabitants ha deciso di realizzare.
Siccome per i Mudokon la pace non è mai arrivata, con Oddworld Soulstorm sarà fondamentale rimettersi nei panni dell’unico eroe in grado di salvare la propria specie e riportare a casa una popolazione intera, sfuggendo al giogo di potere dei Glukkon.
Un nuovo salvataggio
Oddworld Soulstorm è un sequel diretto di Abe’s Oddysee, andando quindi a riscrivere la trama che era stata delineata da Abe’s Exoddus, sul quale viene riscritta adesso questa avventura. Abe è riuscito a mettere in salvo la maggior parte dei suoi simili dal RaptureFarm, conducendoli in una sorta di accampamento che fa da isola franca.
L’idillio, però, ha una durata davvero troppo breve, perché mentre i Mudokon sono riuniti attorno al focolare a brindare per Abe che li ha condotti alla salvezza, i Glukkon tornano per riprendersi ciò che è stato loro tolto: dei pavidi lavoratori pronti per essere assoggettati. Bombardato l’accampamento, quindi, Abe e compagni saranno costretti a ridarsi alla fuga, con l’obiettivo di evadere da quella prigione di macerie e di fuliggine che inevitabilmente potrebbe riportarli a una condizione di schiavitù.
Con dei temi molto più maturi, stavolta la narrazione si lascia andare a qualche accezione più oscura
Con dei temi molto più maturi di quelli affrontati nell’originale Abe’s Oddysee, che faceva dell’ironia e spesso del black humor il proprio leitmotiv, stavolta la narrazione si lascia andare a qualche accezione molto più oscura, senza dimenticare quello stile grottesco che aveva già ampiamente caratterizzato le precedenti avventure di Abe. A infarcire il mistero che si va a creare, gli Inhabitants hanno voluto creare uno schema fatto di flashback e flashforward, supportati da cinematiche che riescono ad aumentare il pathos di quanto stia accadendo al nostro protagonista.
Tenuto conto che, come è tradizione della saga di Oddworld, avrete la possibilità di raggiungere quattro diversi finali, l’avventura supererà di gran lunga le dieci ore di gioco, permettendovi di vivere un’avventura che nei suoi quindici livelli a disposizione offre un’esperienza nostalgica, profonda, ma che vi chiede un vero e proprio salto della fede dal punto di vita del gameplay, per scoprire quali sono i drammi che affliggono Abe in questa sua nuova avventura.
Abe sbaglia e impara
La saga di Oddworld ha sempre cercato di alzare l’asticella della difficoltà: se pensate che tutto ciò fosse dovuto al fatto che da bambini trovavamo fosse più complesso del previsto risolvere determinati enigmi ambientali, sappiate che è una prerogativa degli Inhabitants renderci la vita ostica. Se questo aspetto è stato confermato in ogni possibile forma, ciò che fa storcere il naso è la modalità di come il team di sviluppo ha voluto salvaguardare la tradizione del gameplay vanificando un vero e proprio passaggio evolutivo alle meccaniche odierne.
I movimenti di Abe sono tutti legnosi, le collisioni con l’ambiente e con gli oggetti circostanti sono spesso imprecise, e non è bastata l’aggiunta del doppio salto a rendere meno frustranti le sezioni platform. I controlli risultano spesso lenti nel recepire l’input, il che rende difficile anche uno scatto rapido per evadere da uno stealth riuscito male, così come spesso ci ritroveremo a poter approfittare di alcune brutture del gameplay per evitare che i Glukkon possano vederci o individuarci: con un raggio visivo a cono molto ristretto, basterà mettersi di poco distanti, ma pur sempre in linea d’aria, per evadere in serenità un loro colpo di mitraglia.
È palese che l’intenzione di Inhabitants è quello di salvaguardare il retaggio di un titolo che ha permesso loro di proliferare nel tempo e nelle generazioni
È anacronistica la volontà di non aggiornare delle meccaniche che oggi risultano davvero troppo lontane con i tempi. Questo perché avendo infarcito il gioco di sessioni stealth, spesso vi ritroverete a non aver nessun tipo di supporto da parte degli avversari, che non riusciranno a replicare lo stesso pattern di movimento che vi sareste aspettati. Vanificando, in buona sostanza, ogni vostra possibile strategia.
D’altronde, nel suo platform in 2.5D, Oddworld Soulstorm ha mantenuto l’anima da puzzle-solving che ha sempre avuto la saga, mettendovi nelle condizioni di dover andare da un punto A a un punto B superando delle insidie che richiedono ingegno e inventiva: armi non ne avete, se non il vostro canto e la possibilità di combinare alcuni oggetti.
Il fuoco di Oddworld
Se la prima scelta del vostro arsenale ha subito solo un miglioramento che lo rende più interattivo, confermando che è possibile andare a prendere possesso dell’anima di un Glukkon e comandarlo a vostro piacere gestendo anche la direzione del vostro canto, la seconda rappresenta una novità. Inhabitants ha voluto inserire un sistema di crafting completamente nuovo con l’obiettivo di spingerci a cercare in ogni possibile anfratto dei livelli oggetti da utilizzare per scoprire ulteriori zone nascoste o per avere la meglio sui nostri avversari.
Potremo andare a creare delle mine di posizione, dei combinati in grado di far esplodere qualsiasi cosa si trovi nei pressi di una fiammella, spegnere incendi con delle bottigliette d’acqua e infine anche dilettarsi con delle sfere di gomma. Il level design, insomma, si impegna per offrire un’esperienza variegata, in grado di soddisfare anche chi pretende di approcciare Oddworld come se fosse un RPG da passare al setaccio per scovare qualsiasi tipo di suppellettile utile al completamento al cento per cento della vostra avventura. Tra giare all’interno delle quali rovistare e pareti da far saltare in aria, scoverete presto che il pattern dei livelli è ripetitivo, ma in grado di permettervi di avere una rosa di oggetti utile al raggiungimento del vostro scopo.
Il menù del crafting vi si aprirà dinanzi nelle fasi più intermedie del gioco, ma anche in questo caso sarebbe stato possibile creare un sistema molto più immediato. La stessa ghiera che andrete a usare per selezionare i composti da utilizzare e lanciare contro l’ambiente – o anche sui Glukkon – è macchinosa e diventa intuitiva dopo qualche ora di gioco. Segno che lo stesso design della UX pecca di leggerezza nel modo di offrire al giocatore delle soluzioni rapide e immediate.
Un salvataggio da ripetere e ripetere
Nel tentativo di esasperare il concetto di longevità e provocare la miccia dei completisti, il team di sviluppo ha anche inserito un sistema di medaglie che vi accompagna per l’intero livello offrendovi degli obiettivi specifici da raggiungere. Vi sarà chiesto di recuperare oggetti, di salvare Mudokon, di incendiare elementi dell’ambiente e così via, dandovi anche una misura precisa di quante volte dovrete compiere ogni azione, permettendovi di capire quanto vi manca per la medaglia dal valore più alto.
Va da sé che il desiderio di superare sé stessi avrà il sopravvento e vi ritroverete a rigiocare i livelli anche per migliorare la vostra valutazione, forti del fatto che gli enigmi oramai sono già ben registrati nella vostra testa e nel vostro sussidiario da problem solver.
Oddworld Soulstorm nella sua proposta artistica riprende la direzione che nel 1997 aveva conquistato tutti e la ripropone, nel rispetto della tradizione e dei suoi grandi fan. Abbiamo provato il nuovo titolo degli Inhabitants su PlayStation 5, sottolineando che i 60fps fanno il loro dovere, con una risoluzione leggermente più contenuta, ma per il resto ci siamo trovati dinanzi a un titolo PlayStation 4 emulato su un’altra console: le feature con il DualSense sono molto timide, mentre i tempi di caricamento ci sono risultati essere un po’ troppo lunghi.
È chiaro che il colpo d’occhio è sempre piacevole, a maggior ragione se avete indossato gli occhiali della nostalgia, ma c’è da tener conto che anche stavolta, più di quanto accaduto in passato, ci troviamo dinanzi a una produzione indipendente, distribuita anche gratuitamente per gli abbonati al PlayStation Plus.
Tra qualche bug nelle compenetrazioni, come già accennato poc’anzi, e qualche compromesso dal punto di vista tecnico che a volte fa impazzire la telecamera e non si coordina adeguatamente con l’avvio di una cinematica e lo stacco dal gameplay, Soulstorm vi manda un messaggio che potrete cogliere solo se deciderete di accettare questo viaggio nel passato. Nel rispetto di ciò che è stato Oddworld, col dubbio su ciò che potrà essere domani.
Oddworld Soulstorm è un platform che rende giustizia a una pletora di fan che dal 1997 va in giro a ripetere "seguimi" - "ok", scimmiottando uno degli scambi dialettici che ha permesso ad Abe di salvare tutti i suoi compagni Mudokon. Riprendendo quello che era Abe's Exoddus, il team di sviluppo ha saputo confezionare un sequel alle avventure di Abe in grado di soddisfare chi voleva tornare a vivere quel level design grottesco e quella lotta alla sopravvivenza di un popolo sottomesso, ma le scelte in fase di gameplay restano spesso incomprensibili, a partire dalla volontà di salvaguardare delle meccaniche anacronistiche e che si sposano a fatica con i giorni d'oggi. Indossati gli occhiali della nostalgia, salvare i Mudokon non sarà un problema, ma dovrete essere in grado di andare fino in fondo e accettare più di dieci ore in queste condizioni precarie.
- L'effetto nostalgia è predominante
- Rigiocabilità ad altissimi livelli
- Alcuni miglioramenti a un sistema già collaudato
- Gameplay troppo legnoso
- Tecnicamente non è sempre preciso