Gli account Twitter del consolato cinese a Sydney e del consigliere culturale dell’ambasciata cinese in Pakistan sono stati brevemente oscurati, diffondendo l’idea che la Big Tech stia attivamente ostacolando le narrative cinesi. Una lettura dei fatti difficile da confutare, se non altro perché l’azienda non ha fornito ai diretti interessati alcuna spiegazione che andasse a giustificare il ban.

Il fattaccio ha preso il via lunedì e i diplomatici sono riusciti a ottenere nuovamente il controllo del proprio account nel giro di neanche ventiquattro ore. Un intoppo, più che un vero ban, tuttavia l’inciampo sta ora sollevando molte perplessità e i social – cinesi e non – stanno dando vita a discussioni sempre più accese.

https://twitter.com/justcurious1313/status/1381469529717436422
Il timore manifestato è che le aziende digitali stiano tastando il terreno per vagliare le conseguenze di un’eventuale censura delle voci “pro-Cina”, voci che in questo caso si fanno promotrici delle qualità dello Xinjiang, regione cinese in cui molti riportano siano presenti centri di rieducazione per le minoranze etniche.

Twitter avrebbe proprio bloccato quei messaggi che andavano a promuovere le narrative cinesi, ovvero che considerano simili accuse come completamente infondate, asserendo che le minoranze in questione siano ben felici di fare la loro parte all’interno del meccanismo sociale e comunitario del Paese.

Le tematiche inerenti allo Xinjiang sono d’altro canto molto complesse da trattare: molte nazioni convengono sul fatto che le minoranze del luogo siano perseguitate, tuttavia gli interessi diplomatici ed economici rendono difficile il prendere posizioni nette e definitive, con il risultato che anche i social navigano a vista in un mare di ambiguità.

 

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