Che una casa potesse ormai essere stampata in 3D in poco tempo e con risorse esigue era ormai cosa nota, tuttavia questa tecnologia non era mai stata applicata per la creazione di abitazioni popolari. Almeno fino a poco tempo fa. Il New York Post ha infatti fatto conoscere al mondo intero la storia di Tim Shea, ex senzatetto settantenne che si è visto stampare una casa dalla no profit New Story.

Ovviamente si tratta di una storia “feel good” di riscatto sociale, superamento della tossicodipendenza e di reintegrazione nella società – un format che fa impazzire le testate d’oltreoceano -, tuttavia la forza di una simile vicenda non può comunque adombrare l’importanza di questo precedente, il quale potrebbe aprire la strada a un nuovo modo di affrontare le situazioni emergenziali, soprattutto considerando che ogni casupola è pronta nel giro di 48 ore.

Per New Story sarà ora importante superare uno scoglio molesto, quello del trovare un punto d’equilibrio tra un’edilizia veloce economica e un Paese in cui la parola “welfare” viene inteso con connotazioni negative. La casa da 37 metri quadrati stampata a Schea sarà anche stata prodotta con poche risorse, tuttavia l’uomo deve mantenersela con un affitto di 300 dollari al mese.

Il rischio è dunque che i senzatetto tornino sulla strada nel giro di poco tempo, trasformando un progetto che vorrebbe essere virtuoso in una fabbrica di gusci di cemento disponibili a buon mercato.

 

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