Li Bo, proprietario dei due hotel-bordello di Shenzhen giura che le autorità non abbiano mostrato nessun documento legale, prima di fargli chiudere bottega. La prostituzione è d’altronde illegale in Cina, tuttavia l’uomo non vendeva il corpo di meretrici, ma il silicone di decine di sex doll in scala 1:1.

Bo sostiene di essere stato il primo ad aprire una simile attività nella nazione, di aver voluto offrire un servizio che potesse rispondere alle necessità delle migliaia di lavoratori dell’area, molti dei quali sono immigrati che si sono trovati sradicati dai loro affetti.

In zona sono infatti presenti molte aziende manifatturiere di portata internazionale, prima tra tutte la Foxconn che opera per Apple, e le industrie smuovono le necessità di quelli che le testate cinesi stimano essere 120.000 uomini single.

La pandemia di covid-19, in questi mesi, ha limitato i contatti umani, ma ha anche fatto crescere in Cina il numero delle attività che affittano i “servigi” delle sex doll, servigi che possono essere più o meno elaborati in base al budget che si è pronti a versare.

L’aumento del giro d’affari avrebbe tuttavia risvegliato le attenzioni delle autorità, le quali stanno iniziando a far chiudere molti di questi centri, accusandoli di non preservare gli standard igienici o di accogliere tra le loro mura un pubblico minorenne.

Le leggi che normano i bordelli di sex toys sono tuttavia inesistenti, quindi i sequestri che vengono effettuati, vengono effettuati senza troppe spiegazioni, lasciando spaesati i gestori.

 

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