Nella recensione di Cherry – Innocenza perduta ci addentriamo nell’analisi di un tentativo complesso di due grandi firme pop del nostro tempo di emanciparsi da ciò che li ha resi quello che sono oggi nell’immaginario mondiale e trovare una propria identità autoriale, sia in relazione al contenuto della loro poetica sia alla sua forma.

Per farlo, Anthony e Joe Russo, decidono di stilare un piano molto più ampio di uno strettamente relativo al lavoro su un film, cioè non limitandosi a pensare ad una pellicola, ma a tutto quello che volevano ottenere dalla pellicola. Un sentiero impervio, che ha reso il film e rende l’analisi, di conseguenza, ancora più complicata (anche inutilmente) di quello che poteva e forse doveva essere.

Cherry – Innocenza perduta è l’adattamento della semiautobiografia di Nico Walker, veterano vittima di un disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e tossicodipendente, incarcerato per rapina e rilasciato nel 2019, a cui era stato anche chiesto di partecipare come produttore esecutivo. Richiesta rispedita al mittente. Ad impersonarlo un Tom Holland alla prova più importante della sua carriera. Bravo, motivato, ma ancora acerbo e incastrato nell’eterno status di bravo ragazzo. Degno di lode perché capace di brillare e rimanere punto fermo, pur trovandosi al centro di un autentico frullatore. Accanto a lui recita Ciara Bravo, che ha sfiorato l’universo Marvel con una partecipazione in Agents of Shield (curiosità), ma è nota per Big Time Rush e la versione USA di Braccialetti Rossi. Molto brava anche lei, come lui e a volte anche un pochino di più, ingannando, sorniona, i limiti di cui sopra.

 

 

La recensione di Cherry – Innocenza perduta: un America senza nome

Tom Holland

Il nostro protagonista è un ragazzo senza nome, il nomignolo “Cherry” viene affibbiato ai militari che non hanno ancora preso parte ai combattimenti. Quello che sappiamo di lui è che ha 23 anni e che viene da Cleveland (come i Russos), quello che impariamo andando avanti è che il fatto che non abbia un nome non sia un caso.

Egli è il rappresentate di una generazione di giovani americani segnata dall’11 settembre, senza un proprio posto nel mondo e figli di una patria che non ha tempo per loro, che pretende senza dare gli strumenti e che poi li rigetta.

A lui in particolare va forse anche meglio all’inizio, perché incontra Emily (una speranza che nel libro neanche gli è concessa), ma anche lei è figlia dei stessi tempi del ragazzo, e dunque è solo un altro degli echi della stessa confusione e dello stesso smarrimento. I dubbi di lei sono quelli che poi portano la debolezza di lui ad invocare un riscatto esterno invece che interno, manifestatosi nella decisione di arruolarsi, che è quindi espressione di un moto di insoddisfazione verso di sé, caratteristica principale dei tanti caduti vittima dalla promessa tutta americana di trovare nel servizio della patria ciò che in sé non si ha.

Un destino insomma che porta il nostro a divenire solo un altro che scoprirà che l’unica cosa che la patria ha in serbo per lui è l’abbandono all’inadeguatezza.

Lui e lei diventano sempre di più le due facce della stessa medaglia, scambiandosi più di una volta il ruolo di vittima e di carnefice, persi nel walzer dei loro rispettivi vuoti e allietati da una siringa. La dipendenza nel cinema è sinonimo di coazione a ripetere, il buco inerente all’eroina è un’immagine ancora più ficcante. Cherry ha un disturbo da stress post-traumatico dovuto alla guerra, Emily lo ha dovuto alla sua infanzia, la loro vita insieme dopo i due anni passati lontani, catalizzatori delle rispettive insofferenze, diventa uno sfogo autodistruttivo senza fine, perché senza fine è la promessa di esserci sempre l’uno per l’altra.

La complicata emancipazione dei fratelli Russo

Cherry

Dopo un’esperienza come quella che hanno avuto e stanno avendo i Russo nel MCU, sia a livello professionale che esistenziale, era praticamente impossibile pretendere di mettere il naso fuori dimostrando subito di essere tutt’altro rispetto agli autori che hanno incantato milioni di fan. I primi a saperlo erano loro, tant’è che hanno deciso di portarsi Tom Holland, di scegliere con il cuore la materia del loro nuovo (ci perdoneranno i vari Welcome to Collinwood e Tu, io e Dupree) atto primo e anche da chi farsi aiutare: l’adattamento è stato affidato alla sorella, Angela Russo-Otstot.

Poi sono partiti da una cosa semplice di nome ma non di fatto: un processo di maturazione. Lo si capisce dal titolo e dalle color dei vari capitoli in cui è diviso il film. Ecco, capitoli. Non solo una scelta di struttura motivata dalla lunghezza e dal deficit di organicità.

La sensazione che prende forma pian piano che i minuti scorrono è infatti che Cherry – Innocenza perduta sia quasi una graphic novel portata su schermo (e non parlo delle non felicissime trovate di cambiare i nomi alle banche o delle scritte su schermo nella sequenza di addestramento, ma di scelte di linguaggio visivo precise, giocate su colori e ombre). Curioso e forse voluto. Dopo anni di cinecomic sarebbe quasi una forma di autoironia, un modo ricercato di raccontare un coming of age incastonato nel grande romanzo americano. La forma è però anche un escamotage che, come tutte le idee che promettono libertà, deve essere gestito con attenzione, perché da firma autoriale può diventare eccesso autoriale.

I contenuti da affrontare sono tanti, delicati e complessi, il film è lungo e la regia è articolata e paga lo scotto di una scrittura non all’altezza di reggere un impianto così complesso. Nello specifico la pellicola è condannata da una complicata connessione tra una prima parte che prova a vivere del neorealismo e dell’ironia da camerata di scorsesiana memoria e una seconda in cui si affronta il tema della droga cercando il filo rosso in una ripresa del racconto di un’epica rovesciata non propriamente riuscito. Il tutto intriso da una satira piuttosto innocua. In mezzo alle due il momento del racconto dell’esercito americano, che si rifà al linguaggio che fu di Kubrick, ma risultando plasticato, imbambinito.

Dramma giovanile che diventa esistenziale e poi racconto di guerra, storia d’amore, di droga e di redenzione. Difficile pensare di fare un film approfondendo tutto, impossibile se a questo si somma la pretesa di trovare subito una poetica personale, originale e matura nel farlo.

Cherry – Innocenza perduta assume così le sembianze di un treno merci, diviso in vagoni distinti per carico, con un protagonista che parte dall’ultimo per arrivare al primo, senza fermarsi in nessuno di loro, correndo a più non posso una lunghissima maratona in cui tutto ciò che lo circonda rimane approssimato, sfumato. Magari urlato, ma mai ben messo a fuoco.

La recensione di Cherry

Quello che (ancora) non c’é

Quello che rimane alla fine del film è l’idea di aver assistito ad un lungo, timoroso, sfogo, in cui si è cercato di fare tutto al massimo e tutto subito. La storia che rimane impressa, il citazionismo e la ricerca di una propria visione, la voglia di urlare a chi vede che si ha un’anima, la ricerca di anticipare il retropenserio da smentire di chiunque si sieda davanti al (sigh, piccolo) schermo.

Eppure c’è un cuore nella pellicola, primitivo, fisiologicamente acerbo, perché non può non essere così, il peccato forse è stato quello di non volerlo accettare.

C’è la ricerca del dettaglio visivo, l’ottima scelta dei tempi comici, il racconto di un amore autentico, dolce e struggente. Ci sono i primi piani di lei e di lui, ci sono le mai ripetitive scene della rapine, ci sono le scelte di montaggio azzeccate e c’è più di qualche momento ottimo nella rottura della quarta parete. Ma soprattutto c’è tanta voglia di affermarsi e di emergere e tanto amore per quello che si sta raccontando.

E così concludiamo la nostra recensione di Cherry – Innocenza perduta: con l’idea di aver assaggiato una ciliegia ancora non del tutto matura, ma che ha in sé le premesse per poterlo diventare, da parte nostra impareremo a pensare che i fratelli Anthony e Joe Russo sono degli autori oltre il nido di mamma Marvel.

 

Cherry – Innocenza perduta è disponibile dal 12 marzo su Apple Tv+

67
Cherry
Recensione di Jacopo Fioretti

Cherry - Innocenza perduta è una pellicola complessa, nata dalla voglia di due grandi nomi del cinema commerciale di dimostrare di avere una voce autoriale personale lontana dalle mura amiche dell'universo Marvel. Il risultato è quello di un film schiacciato dalle troppe pretese con cui è nato e con cui è stato girato, ma che alla fine funziona per quello che fisiologicamente appartiene ad una nuova prima volta. Ottime le prove dei due protagonisti.

ME GUSTA
  • L'energia e la voglia degli autori di mettersi in gioco.
  • Le prove dei due protagonisti.
  • La promessa di avere assistito ad un crocevia di nuovi promettenti percorsi.
FAIL
  • L'eccessiva sperimentazione nei toni e nelle scelte di linguaggio.
  • Una scrittura che fatica a tenere in piedi la struttura narrativa.
  • I tanti compiti e tanti obiettivi che deve raggiungere ne impediscono la riuscita.