La nostra recensione di Raya e l’Ultimo Drago, l’atteso film Disney Animation Studios che segue la distribuzione di Mulan, arrivando su Disney+ il 5 marzo in Premiere Access.
Fin dal suo reveal, il nuovo parto di Disney Animation Studios è sicuramente riuscito nell’intento di incuriosire pubblico e addetti ai lavori, sia per una semplice questione di direzione artistica, che guarda al sudest asiatico, sia per il focus sull’azione, messo bene in evidenza già nei primi trailer. Dopo averlo visto qualche giorno fa, in questa recensione di Raya e l’Ultimo Drago cerchiamo di capire quanto il film sia effettivamente riuscito rispetto alle intenzioni.
Allora, parto col dire che l’opera diretta da Don Hall e Carlos López Estrada non è né un film totalmente riuscito e tantomeno un disastro, ha i suoi punti forti, ma soffre molto sulla sceneggiatura, dove al netto di qualche guizzo su protagonista e antagonista si dimostra totalmente innocuo, piuttosto superficiale e fin troppo risolutivo. Raya invece vince tutto sull’azione, grazie ad una regia molto cinetica che rimarrà probabilmente come la firma più distintiva del film.
Prima di continuare con la recensione, vi ricordo che Raya e l’Ultimo Drago arriverà dal 5 marzo su Disney+ in Premiere Access, come fu per Mulan, quindi dovrete pagare una (bella) cifra una tantum per vederlo.
Raya e l’Ultimo Drago è ambientato a Kumandra, una regione un tempo resa prosperosa dall’intervento dei draghi (che in questo immaginario potete immaginare come una sorta di reificazione della natura), unita sotto l’egida di un’esistenza in armonia con queste splendide creature.
Non tutto però è destinato a durare, e circa 500 anni prima degli eventi del film una strana piaga (chiamata Drunn) inizia a minacciare questa pacifica tranquillità, mano a mano trasformando le persone in pietra e riuscendo a sconfiggere persino i draghi. L’ultima speranza è in mano all’ultimo drago sopravvissuto, Sisu, che usa una pietra contenente la magia dei draghi per bandire definitivamente il Drunn da Kumandra; in questo modo Sisu salva tutti, ma scompare nel nulla di conseguenza.
Gli umani però sono umani, e l’avarizia spinge diverse fazioni a lottare per il possesso della pietra, con il risultato che Kumandra da unita che era si spezza in cinque, una per ogni parte del corpo di un drago (cuore, coda, artiglio, zanna e spina dorsale, non conosco la localizzazione italiana, perdonatemi).
Kumandra da unita che era si spezza in cinque, una per ogni parte del corpo di un drago
La pietra quindi andava nascosta e protetta, e Raya qui è l’ultima di una dinastia di guardiani (capi della terra del cuore) il cui fine ultimo è appunto proteggerla. Una serie di situazioni che non vi anticipo – ma potete immaginare – causano la frammentazione della pietra e il risveglio del Drunn, portando Raya alla ricerca di Sisu, l’ultimo drago (o meglio, dragonessa, in questo caso) per risolvere la situazione.
Al di là di Raya (doppiata da Kelly Marie Tran, vecchia conoscenza dall’ultima trilogia di Star Wars) e della simpatica Sisu, il film – non solo a livello di dinamiche narrative, ma pure sul piano tematico – ruota attorno a quello che in un certo senso potremmo chiamare la villain del film. La villain in questo caso si chiama Namaari, anche lei figlia di un capo di una zona di Kumandra (zanna), tra le cinque la più aggressiva e ostile.
Come hanno tenuto a sottolineare gli sceneggiatori in conferenza stampa, il suo personaggio, centrale fin dal lungo flashback iniziale, è una sorta di figura speculare in tutto e per tutto a quella di Raya, tanto che le due entrano (prima di determinati eventi) subito in sintonia, condividendo le stesse passioni e gli stessi interessi.
Nonostante sembrino agli antipodi nelle dinamiche del racconto, alla fine il punto di partenza delle due non è così distante; questo perché Raya non è la principessa/l’eroina solo virtù e tutta speranza, anzi, all’inizio del racconto (dopo il primo flashback) è piuttosto disillusa e per questo le motivazioni che la spingono in prima battuta ad operare sono soprattutto personali (salvare suo padre).
È solo con l’incontro con Sisu che la ragazza inizia a cambiare prospettiva, ma sempre all’interno di determinate riserve che la portano ad oscillare lungo il percorso della sua avventura.
Questo volere sfumare parzialmente la divisione morale tra villain e protagonista, questo volere costruire amicizia, contrasti e rivalità tra le due, è uno degli elementi della sceneggiatura che funziona, dando un minimo di complessità alle vicende e un certo spessore alla coppia di ragazze, con lo scopo ultimo di rientrare in quella che è la morale portata avanti dal film.
A questo proposito, la parola chiave che può racchiudere Raya e l’Ultimo Drago è senza dubbio fiducia, visto pure che il film ci fa una testa tanta a riguardo, direi con una certa pedanteria, in più e più dialoghi, e in più e più situazioni. Unire il mondo, fare il primo passo e fidarsi dell’altro, questo il messaggio, che però nel suo essere lineare, risolutivo, semplice e lontano da qualsiasi ambizione di complessità rende il film sostanzialmente innocuo.
Quantomeno abbiamo due personaggi non spiattellati su due dimensioni, ma questo non basta per tenere solidamente in piedi una sceneggiatura che ha poca voglia di fare, di costruire e di approfondire. Qui non si vuole insomma puntare al consueto approccio multi-strato dei migliori film d’animazione, quello – prezioso – in grado di fornire diversi livelli di comprensione e lettura a seconda dell’età e della maturità dello spettatore; il risultato è una produzione che per gran parte non smuove di una virgola il panorama in cui si innesta, lasciando da parte il punto di vista tecnico, di cui parlerò più avanti.
La generale pigrizia la si vede nel modo vistosamente pretestuoso e nemmeno giustificato con cui si avviano gli eventi dopo il flashback iniziale (vedasi pergamena), ma la si vede soprattutto sul finale, molto sconclusionato, sbagliato nei tempi, troppo veloce, tirato via e brusco. Un finale talmente risolutivo e poco coraggioso da rendere nullo l’unico momento davvero potente emotivamente delle quasi due ore di Raya e l’Ultimo Drago, facendo staccare nel mentre del tutto l’immedesimazione nel racconto, appena prima dei titoli di coda.
Come ovvio che sia e come chiaro dai trailer, il film di Disney Animation Studios ha inoltre una simpatica anima comedy, di cui è bene parlare in questa recensione di Raya e l’Ultimo Drago. Di questa direzione sono rappresentanti tutti i comprimari: la dragonessa Sisu, l’armadillo (o qualcosa del genere) di Raya Tuk Tuk, il burbero Tong (doppiato da Benedict Wong) e la piccola bambina truffatrice Noi, come pure i suoi fedelissimi ongis (una specie vicina alle scimmie).
Sono tutti personaggi genuinamente divertenti e adorabili, ognuno già iconico e peculiare a modo suo
Sono tutti personaggi genuinamente divertenti e adorabili, ognuno già iconico e peculiare a modo suo, sia per un semplice (e classico) contrasto tra character design e natura dei personaggi (Tong, Noi e Sisu, ad esempio), sia per un racconto che riesce ad essere spensierato quando vuole strappando più di qualche risata e sorriso compiaciuto, a tratti pure con intelligenza in funzione del messaggio centrale. Un’altra grande certezza è che Tuk Tuk farà vendere merchandising a pacchi.
Chiusa in questa recensione di Raya e l’Ultimo Drago questa parantesi relativa alla scrittura, di cui forse ho parlato pure troppo, passiamo a quello che davvero funziona in Raya e l’Ultimo Drago, ovvero la messa in scena del film, in particolare quella dell’azione.
Gli scontri corpo a corpo e all’arma bianca, ma più in generale le situazioni più concitate e/o dinamiche (come l’inseguimento con la piccola Noi che si vede nei trailer), sono così ben gestite che concluse le due ore ci si chiede se per caso non era possibile insistere un po’ di più a riguardo; alla fine della fiera però gli si dà parecchio spazio nei limiti di quanto possibile per una produzione del genere, quindi poco di cui lamentarsi.
La regia d’azione di Raya e l’Ultimo Drago, cinetica e vivace, è senza dubbio l’elemento più brillante del film
La regia, in questi casi (ma non solo) molto cinetica e vivace, con un montaggio piuttosto serrato, zoom in/out a manetta e addirittura qualche accenno di split screen, rende infatti alla grande l’anima molto energica di Raya e l’Ultimo Drago, grazie pure ad una colonna sonora ottima/incalzante – a tratti perfetta – e a delle coreografie abbastanza fisiche, per quanto (come ovvio) inquadrate in maniera edulcorata.
Ai due duelli di metà e fine film sono tra l’altro affidati alcuni dei momenti in cui la fotografia riesce a brillare maggiormente, donando marzialità e carisma a fasi così climatiche (piuttosto impattanti e fighe, c’è da ammetterlo).
Poco fa parlavamo di fotografia, e a partire da quello ha senso spendere due parole anche sulla direzione artistica del film. Allora, come dichiarato a più riprese dagli stessi sceneggiatori e produttori e come scontato in partenza, la Kumandra di Raya e l’Ultimo Drago è un immaginario fantasy ispirato al sudest asiatico, e la derivazione si vede chiaramente, pure se a mio avviso non emerge quasi mai a tal punto da far davvero esplodere il lavoro artistico alle spalle.
Tuttavia, Raya ha un grandissimo assist, ovvero il fatto che Kumandra sia rigidamente divisa in cinque zone molto diverse tra loro (le chiamerei biomi); questo crea un fortissimo stacco mano a mano che si prosegue lungo l’avventura, una varietà forzata che rende decisamente piacevoli da vedere i paesaggi messi a schermo, pure se in autonomia non sono in grado di spiccare particolarmente.
In conclusione di questa recensione di Raya e l’Ultimo Drago, vale la pena dare una chance al film?
In conclusione di questa recensione di Raya e l’Ultimo Drago, vale la pena dare una chance al film? Sicuramente anche solo per il suo volto action vivace e dinamico merita assolutamente una visione (magari in catalogo e non in Premiere Access), per il resto presentandosi come la classica produzione leggera adatta ad una serata non particolarmente impegnata. In fin dei conti il film è simpatico quando vuole esserlo grazie pure ai comprimari, e ha qualche guizzo nel modo di costruire protagonista e antagonista, quindi non è tutto da buttare lato sceneggiatura. Va solo visto con le giuste aspettative.