Il fatto che chip e microcomponenti siano al momento difficili da reperire non sta solamente straziando l’esistenza a coloro che vorrebbero portarsi a casa una PlayStation 5, sta causando problemi ingenti alle economie di diverse nazioni.

In Europa vengono d’altronde costruiti solamente il 10 per centro dei semiconduttori mondiali, quindi il Mercato dell’Antico Continente si trova altamente dipendente dalle forniture che provengono dall’estero, soprattutto da Taiwan e Corea.

La pandemia ha dimostrato che questa dipendenza possa portare a conseguenze nefaste, visto che le aziende di ogni parte del mondo stanno attualmente facendo a gara per conquistarsi le poche risorse disponibili. Chi ha più risorse economiche e lobby più potenti si porta a casa il bottino, mentre gli altri restano a becco asciutto.

Per uscire da questo cul-de-sac, l’Unione Europea vorrebbe quindi raddoppiare gli sforzi produttivi entro il 2030, probabilmente creando una nuova azienda cofinanziata dai diversi Paesi Membri o unendo le forze con Samsung o TSMC.

La strada è tuttavia in salita. Per portare a termine una simile impresa bisognerebbe attivare o ampliare fonderie specializzate che hanno costi di manutenzione tutt’altro che irrilevanti.

Perché l’investimento si dimostri funzionale, l’UE dovrebbe impegnarsi ad acquistare in prima persona i chip creati localmente, anche se questi potrebbero finire col costare di più dei loro omologhi d’importazione.

I nuovi poli di produzione di semiconduttori dell’Unione Europea dovrebbero inoltre investire sin da subito ingenti somme per consolidare un ecosistema che li possa legare indissolubilmente alle aziende tech specialiste del settore. In pratica bisognerebbe offrire a AMD, Nvidia e omologhi dei buoni motivi per preferire le fabbriche europee a quelle asiatiche e a quelle statunitensi

La domanda a questo punto è la seguente: il piano d’azione verrebbe seguito con solerzia anche sul lungo periodo o verrebbe mollato non appena la situazione emergenziale si sarà normalizzata?

 

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