Nella nostra recensione di Cobra Kai 3 non faremo spoiler sull’ultima season dello show appena arrivata su Netflix, mentre ci sarà qualche riferimento sulle due precedenti, giusto per inquadrare il materiale necessario.
Non è un caso se l’episodio di apertura di questa terza stagione si intitola “Aftermath” (“Conseguenze” in italiano), perché in pratica l’intera season parla di come le conseguenze delle proprie azioni condizionano nel breve e nel lungo termine le vite dei personaggi.
Ovviamente, le ricadute sulla pelle di Miguel sono state le più drastiche, ma tutti i personaggi “giovani” dovranno vivere e affrontare i dolori scaturiti dalla maxi-rissa che ha chiuso l’arco narrativo precedente.
Attraverso la recensione di Cobra Kai 3 analizzeremo questa stagione, che arriva dopo una seconda più di transizione e divisa tra momenti o troppo seri o troppo farseschi, che potremmo definire un grande percorso di guarigione e di coscienza.
Il racconto si prende i suoi tempi anche se non fa mancare gli schiaffoni, e costruisce un nuovo quadro attraverso tasselli attentamente posizionati.
Avremo anche un’ulteriore prova di come le etichette affibbiate alle persone siano molto labili, in particolare quelle di vittima e carnefice, o di bullo e bullizzato, se si preferisce.
Cobra Kai è una serie che vuole viaggiare su questo binario, con gli alti e bassi della vita dei suoi personaggi, e francamente una recensione non può che tenere conto di quelli che, per alcuni, possono essere dei punti a favore e per altri dei punti contro.
Appare chiarissimo che Cobra Kai è pensato, creato e limato per piacere alla follia ai nostalgici della saga di Karate Kid, e da quel punto di vista non si può che fare un grande applauso agli autori.
Il rischio è quello di dover essere davvero molto legati a questa saga per godere appieno dello spettacolo, che altrimenti può risultare un po’ troppo altalenante nei toni e nella messa in scena.
Il team creativo ha saputo comunque dare vita a un prodotto onesto, senza indulgere troppo nella nostalgia fine a se stessa, ricorrendo alla strizzata d’occhio quando serve e con la creazione di un futuro credibile per i nostri eroi cristallizzati in un eterno passato nei film.
Fra nuove svolte e vecchie location
In questa terza stagione vediamo più scene con Daniel (Ralph Macchio) e Johnny (William Zabka) insieme: ancora una volta possiamo riscontrare l’affiatamento tra i due attori e l’interazione tra i rispettivi personaggi ne giova molto.
In particolare Zabka, a cui gli autori riservano sempre un trattamento “drammatico” speciale, si rivela ottimo sia nei momenti seri che nelle gag che vedono Johnny cercare di sembrare più duro di quello che non è.
Certo, può sembrare quasi ridicolo vedere il suo personaggio così fuori dal tempo de chiedersi dove abbia vissuto negli ultimi trent’anni, ma ormai è un aspetto talmente “caricato” sul suo personaggio che o si ama o si odia.
Una delle parti migliori di questa nuova season di Cobra Kai è certamente quella ambientata a Okinawa.
La serie ci riporta inevitabilmente sui sentieri del già visto e riporta in vita lo spirito del maestro Miyagi. Non diremo di più per non spoilerare!
Questa stagione riesce a raccontare nuove cose ai fan Karate Kid e lo fa in maniera rispettosa ma anche interessante.
Non un omaggio inamidato, ma qualcosa che porta il racconto un po’ più in là, centrando anche degli omaggi inaspettati.
Anche gli immancabili cameo di personaggi e attori che arrivano direttamente dalla saga sono ben studiati e tutto sommato ben amalgamati al racconto che si sta portando avanti.
The John Kreese Rises: il villain di Cobra Kai 3
Molta dell’attesa di questi nuovi episodi era riposta nel ritorno di Kreese (Martin Kove) al quale tocca un trattamento di rilievo e in qualche modo profondo.
Anche in questo caso assistiamo a dei retroscena sulla vita del personaggio che in qualche modo trasformano il modo in cui lo guardiamo.
Kreese è il vero e priprio “touch of evil” della stagione, una presenza carismatica per il volto del male che sfrutta l’irruenza giovanile per i suoi fini, portando gli studenti al limite e utilizzandoli come pedine.
La crisi delle figure degli insegnanti è la chiave di lettura di questa stagione 3 di Cobra Kai: il delicato passaggio della vita in cui i giovani si accorgono più che mai che le loro figure di riferimento non sanno tutto, e che i consigli non sono verità.
E così, nonostante i buoni propositi, praticamente quasi in ogni puntata c’è una royal rumble.
Nonostante i buoni propositi, praticamente quasi in ogni puntata c’è una royal rumble
Kreese è quindi il main villain di questa stagione: non posso dire che la sua gestione, arrivati alla fine della corsa, sia stata ottimale, complice anche un certo deja vu nella gestione dei traumi passati.
Tuttavia era probabilmente quello che ci voleva per portare la serie su una strada un po’ più matura rispetto al teen drama ed esasperare gli accadimenti in vista di una quarta stagione che si annuncia scoppiettante.
Cobra Kai, slappe moltiplicate per tre
Arriviamo alla parte del “menare le mani” rilevando come nella stagione 3 ci siano decisamente più combattimenti del solito. Praticamente tutti se le danno e c’è pure un inseguimento in auto.
Ci sono questioni che emergono come prepotenza, come gli atteggiamenti (auto)distruttivi di caratteri come quello di Tory, implacabile ma anche eternamente insoddisfatta.
Senza fare psicologia da 4 soldi, Cobra Kai descrive bene certe condizioni delle nuove generazioni.
Una stagione ricca di sostanza, con qualche crepa nel ritmo e nelle coreografie degli scontri, ma questo è rimasto sostanzialmente invariato e fa parte del mood retrò.
In conclusione…
In conclusione della recensione di Cobra Kai 3, possiamo dire che fare una recensione di questa terza stagione, in realtà, è semplicissimo: basta dire “Se ti sono piaciute le prime due stagioni, ok” perché è una serie fedele a se stessa e alla filosofia “riviviamo gli anni ‘80”.
Inutile prendersela con personaggi caricaturali, situazioni fuori dalla credibilità, coincidenze esagerate, comportamenti ottusi, risse clamorose senza ematomi (quando gira agli autori).
Questo è puro intrattenimento stile anni ’80, prendere o lasciare.
Ogni stagione è come un film esteso che ricalca stereotipi, trovate e situazioni della saga cinematografica, provando a trasferire nell’oggi le questioni del passato. Come un vero e proprio universo narrativo che gioca con regole sue.
Poi ovviamente si possono criticare certe cose che ci chiedono un po’ troppa sospensione dell’incredulità, certo, ma fa parte del gioco; ma per adesso Cobra Kai rimane uno dei migliori prodotti sequel mai realizzati dei cult del passato, a livello di amore, cura per la materia, momenti “meta” e onestà realizzativa.
Non è poco.