Dopo una sorprendente prima stagione, The Mandalorian è tornato per una seconda stagione che ci è piaciuta molto: ecco cosa ne pensa la redazione di Lega Nerd e qualche gradito ospite.
SPOILER ALERT: occhio, è passata una settimana dalla conclusione di The Mandalorian 2 e ora ci sentiamo liberi di parlarne come se l’aveste già vista tutti. Se così non fosse… tornate qua quando lo avrete fatto.
Antonio Moro
The Mandalorian 2 è arrivata dopo una prima stagione di successo, con tutto il peso che comporta solitamente, moltiplicato per dieci, visto che non parliamo di una serie qualunque, ma del contenuto che da una parte ha riportato Star Wars nel cuore degli appassionati e dall’altra ha costituito per oltre un anno l’unico vero valore aggiunto di una intera piattaforma di streaming: Disney+.
The Mandalorian 2 non solo ha saputo riconfermare la sua formula vincente, ma + riuscita anche ad aggiornarla, espandendo la semplice storia del Mando e del Bambino ad orizzonti molto, molto più ampi e per ora toccati solo marginalmente.
La nascita di un nuovo Impero, la riconquista di Mandalore, la vita in un momento straordinario di passaggio nell’universo di Star Wars: i temi sono diventati tanti, appassionanti e interessanti. Filoni e Favreau continuano il loro budding romance iniziato lo scorso anno e sembrano inarrestabili: nuovi personaggi, nuove avventure, nuovi orizzonti e, addirittura, nuove chiusure, che non ti aspetti da una serie di successo… addirittura quella che sembra la fine dei due protagonisti, o per lo meno, l’inizio di una storia completamente nuova, con personaggi nuovi e scopi rinnovati.
E poi, tanto per aggiungere altro sale al tutto, l’annuncio di una nuova serie (o forse mini serie?) tutta dedicata a Boba Fett, per espandere ancora di più la storia che si sta raccontando, cercando sempre di tenere un piede nel canone di un universo che è il risultato del lavoro di tante menti negli scorsi quaranta anni e un piede nella novità, nella sete di nuove idee, nuovi racconti, nuove e inaspettate avventure.
Non potevo volere di più da questa nuova stagione di The Mandalorian: è di fatto una stagione che considereremo in futuro “intermedia”, tra la prima di introduzione e la terza e successive che invece andranno ad affrontare “la storia vera” che si voleva raccontare fin dall’inizio, e cioè la riconquista di Mandalore (forse, sembra… speriamo)
Certo, forse più tempo a disposizione, e non solo un anno scarso, avrebbe giovato enormemente alla produzione di questo come di tanti altri prodotti seriali che hanno la sfortuna di dover portare sugli schermi non solo molte più ore di contenuto di un film, ma di doverlo fare anche in meno tempo e con meno soldi.
L’ho già scritto lo scorso anno e lo riconfermo fortemente oggi: The Mandalorian è quello di cui aveva bisogno Star Wars e i suoi fan.
Star Wars è tornato. Viva Star Wars.
Roby Rani
La prima stagione di Mando mirava a conquistare il nuovo pubblico rispettando e coccolando il vecchio. Quello stesso vecchio appassionato ormai deluso dagli ultimi cinque anni, anzi, dagli ultimi ventidue anni di gestione del franchise.
La serie dimostra una forte personalità e i rimandi al “classico” sono gestiti con maestria e distribuiti con grande eleganza. La “Forza” torna ad essere magicamente e misteriosamente interessante accompagnando nuovamente il pubblico alla scoperta di quella magia da stregoni che attraverso gli occhi dei due personaggi sembra realmente una cosa nuova.
La seconda stagione invece prende un’altra strada, e ci riporta sfrontatamente nel mito, sfruttando alla perfezione tutto quello che ha sempre funzionato secondo gli appassionati di tutte le età. È incredibile quanto sia calcolata al millimetro questa operazione.
È così lampante, che l’ormai iconica frase del Mando “questa è la via” risuona più come un mantra per Lucasfilm che come un saluto Mandaloriano.
Non è però infallibile e non è nemmeno perfetta, anzi, se la prima è la sorella più matura e controllata questa seconda è la ribelle scatenata a cui frega molto poco dell’etichetta.
Discutibile si, migliorabile anche, ma la capacità di arrivare laddove ne Lucas e ne la Kennedy sono riusciti dal Ritorno dello Jedi in poi è notevole, veramente notevole.
Gabriella Giliberti
È stato un bel viaggio. Un lungo, sorprendente, emozionante ed anche frastornante viaggio. Se prima si avevano dei dubbi, adesso possiamo dirlo ad altissima voce: The Mandalorian è la cosa migliore che sia successa al franchise Star Wars dall’uscita di Episodio VII (eccezion fatta per Rogue One).
Dave Filoni e Jon Favreau sono la coppia che scoppia. Un due incredibile che non solo ha compreso cosa voglia dire per milioni di fan Star Wars, ma, soprattutto, il potenziale di una saga capace di parlare di generazione in generazione, avvicinando qualsiasi tipo di fascia (dal fan al non fan, dall’adulto al bambino).
La prima stagione di The Mandalorian poneva giù i semi di un racconto che strizzava l’occhio tanto agli esordi della grande opera di Lucas quanto al cinema di genere come il western. La verticalità tipica dei primi episodi aveva lasciati scettici i più, spesso e volentieri perdendo il focus della narrazione centrale per concentrasi di più sulla quest.
Nella seconda stagione tutto questo è stato rivisto, perfezionato e migliorato. L’orizzontalità ha fatto da padrone, il canone è diventato più saldo e vedere sullo schermo personaggi tanto amati come Boba Fett o Ahsoka Tano fa il suo enorme effetto. Dimostra quanto Star Wars vada ben oltre la saga degli Skywalker e interseca enormi progetti come Clone Wars e Rebels in un unico racconto che diventa ancora di più una gioia per gli occhi, ma senza estraniare troppo il profano.
Per otto settimane siamo decisamente rimasti sulle montagne russe per poi venire completamente spiazzati dall’ultimo giro della morte che mi ha ridato, dopo così tanto tempo, la grande emozione, il grande amore che da bambina mi ha folgorato e legato così tanto a questa saga. É stato esaltante e anche molto doloroso. Per quanto Grogu sia indubbiamente un personaggio la cui funzione è far intenerire gli spettatori, è anche vero che in questa seconda stagione la sua storia e caratterizzazione hanno avuto uno studio ed approfondimento diverso. Il Mando è poi uno dei personaggi più interessanti di questo universo. Assieme a lui abbiamo potuto vedere quanto si possa cambiare, quanto anche il cuore più duro si possa intenerire ed addolcire.
Si, indubbiamente gli alti e bassi non sono mancati in questa seconda stagione, ma nonostante questo il lavoro svolto in questi otto episodi è stato incredibilmente entusiasmante, ricco di svolte, sorprese e, soprattutto, strade che il brand Star Wars potrà prendere nel futuro.
Attendendo cosa ci riserveranno i prossimi progetti, tutto quello che mi viene davvero da dire è… grazie!
Giovanni Zaccaria
Sapevo che prima o poi avrei dovuto scrivere due righe su The Mandalorian, proprio nel pieno del mio periodo di minima fascinazione per la galassia lontana, lontana.
Sarò chiaro: The Mandalorian, in particolare in questa seconda stagione, è indiscutibilmente uno dei migliori prodotti di Star Wars che abbiamo visto in questi anni, ma non posso ritenerlo un capolavoro assoluto come tanti stanno tuonando sui social.
Ho apprezzato tantissimo la volontà di unire tutti i pezzi sparsi nella galassia, dai fumetti (molto importanti in tal senso, basti pensare all’Operazione Cenere che è stata citata per la prima volta nella serie “L’impero a pezzi” di Greg Rucka e Marco Checchetto), alle precedenti serie per arrivare ai film, anche successivi. Molto belle le citazioni e i richiami estetici come quelli ad esempio a Kill Bill/Lady Snowblood e al cinema di Sergio Leone in generale. Ma non posso non riconoscere che nonostante la bella regia e l’ovvio fascino magnetico, soprattutto in questa seconda stagione ci siamo trovati di fronte ad una scrittura episodica votata ad una verticalità ormai per me difficile da accettare, soprattutto per la sua ripetitività.
Non sono riuscito a provare mai ansia per la vita di Din Djarin o del piccolo Grogu, nemmeno nel finale di stagione in cui i combattimenti, seppure molto ben realizzati, mai mi hanno fatto pensare alla possibilità di una catastrofe, difatti non muore NESSUNO e nessuno si ferisce seriamente, a parte la povera Razor Crest. La struttura per la quale Mando+Grogu devono raggiungere un posto/persona – trovano qualcuno che può aiutarli in cambio di altro – risolvono la questione – partono per la prossima meta mi aveva stancato già dalla seconda volta. Ho avuto l’impressione che tutto fosse architettato solo per introdurre in maniera spettacolare e ricca di pathos la nuova special guest dell’episodio, che fosse Bo Katan, Ahsoka Tano, Boba Fett o l’emozionante ritorno dello Jedi, Luke Skywalker, che ad essere sinceri possono tutte rientrare (anche parzialmente per carità) nell’ambito del fan service.
Ma dove Favreau e Filoni non hanno brillato per coraggio, voglia di rivoluzionare o di colpire con la trama, hanno però eccelso in un altro aspetto: il cuore. Hanno dimostrato rispetto e affetto per i fan e hanno saputo rispettare non solo l’estetica, ma anche lo spirito di Star Wars, confezionando quello che il fandom più grande di sempre voleva (hanno sempre voluto), assumendosi più rischi sulla caratterizzazione e contestualizzazione dei personaggi che non sulla complessità narrativa.
E quindi? Alla fine Star Wars è sempre stato questo. Ripenso a tutte le critiche e i miei “ma” e poi riguardo il mio armadio, le mie librerie e comprendo che è giusto così. Il piccolo Grogu non è altro che la rappresentazione del cuore e dell’animo dei veri fan di Star Wars; un cuore spesso innocente che merita di essere trattato con rispetto, di essere compreso. E The Mandalorian lo fa, coccolando un ricordo (o un sogno) che avvicina chi c’era nel 1977, nel 1999 e nel 2016, portandoci lontano dai problemi e dalle difficoltà della vita vera. Mando non vuole portarci innovazione, tecnica o scrittura all’avanguardia, vuole solo dirti “che la Forza sia con te”.
È giusto così, il colpo di scena di Luke ha finalmente sanato (qualcuno direbbe “fatto giustizia” e io non condivido tale pensiero) la ferita aperta nel cuore di tanti per Ep. VIII.
Avrei voluto qualcosa di più o di diverso? Si, ma non chiedetemi come o i dettagli. Forse è proprio così che doveva andare, con buona pace per me e quanti come me magari speravano in chissà quale cambiamento.
Gabriele Atero Di Biase
Non sono tra quelli che si stracciano le vesti per The Mandalorian, ma non sono nemmeno tra quelli che hanno criticato la serie per via dei troppi “filler”: anzi, ne ho apprezzato l’approccio “open-world”, quasi da videogioco con sub-quest da affrontare.
I pregi più grandi di The Mandalorian per me però sono l’aver fatto riappassionare la gente a Star Wars e l’aver fatto conoscere al grande pubblico alcuni personaggi non troppo ben sfruttati.
Con una regia indovinata, una scrittura efficace nella sua semplicità, e un po’ di sano fan service, Jon Favreau e soci hanno riportato la saga sulla retta via, tanto che Disney si è convinta a produrre non una, ma ben dieci serie TV ambientate nella Galassia Lontana Lontana.
La seconda stagione appena conclusa è la sintesi perfetta di quello che dicevo: alcuni momenti memorabili, come il duello tra Ahsoka Tano e Morgan Elsbeth, o il confronto tra Mando, Migs Mayfeld e Valin Hess; una scrittura a volte quasi frettolosa ma d’impatto, come nel season finale; il tutto condito con fan service ben piazzato e non solo fine a sé stesso, con l’arrivo di Ahsoka, Bo-Katan, ma soprattutto Boba Fett e perfino di sua maestà Luke Skywalker. Capolavoro? Probabilmente no. Ma fondamentale per il futuro della saga, oltre che una macchina da soldi niente male. E in fondo, per Disney, “This is the way”.
Emanuele Bianchi
Quando un anno fa The Mandalorian è arrivato su Disney+, sin dai primi minuti si è percepito l’amore di Jon Favreau e Dan Filoni per la Saga di Star Wars. La paura e l’eccitamento seguiti all’annuncio dello show hanno lasciato posto solo all’entusiasmo per un prodotto che, per quanto non perfetto, è riuscito a restituire tutti gli elementi che hanno decretato il successo della Saga ideata da George Lucas.
Dopo una prima stagione convincente, Din Djarin è tornato per un secondo ciclo di episodi che hanno confermato quanto di buono si era già visto. La seconda stagione non solo ha alzato l’asticella a livello produttivo, ma è riuscita anche a dare vita ad una storia ancora più avvincente e convincente. Una vicenda che ha visto il protagonista sballottolato a destra e manca per la galassia nel disperato tentativo di riportare Grogu (Baby Yoda per gli amici) al suo pianeta natio. Un viaggio tortuoso fatto di molte deviazioni e missioni secondarie utili ad avere indizi che lo portassero verso la meta.
Nonostante una narrazione a volte fin troppo verticale, come nei primi due episodi, The Mandalorian 2 si è comunque confermata una serie di tutto rispetto grazie ad una sceneggiatura capace di dare vita ad una vicenda piena di azione, suspense, umorismo e citazioni sia alla saga che al cinema in generale.
Otto episodi capaci di intrattenere e divertire, portando lo spettatore in giro per la galassia, facendogli vivere emozionanti duelli aerei, combattimenti corpo a corpo, missioni impossibili e ritorni di personaggi iconici che hanno fatto la felicità dei fan.
This is the way.
Jacopo Fioretti
Dopo un anno e sedici capitoli (anche se più di qualcosa già si era mosso) sulla bocca dei fan è tornato l’entusiasmo per l’immaginario creato da George Lucas. Perché la fiaba del padre single con il blaster più veloce dell’Orlo Esterno ha messo d’accordo tutti, chiudendo con il botto una seconda stagione che ne ha sentenziato l’incredibile successo.
Da qualsiasi, ma veramente qualsiasi, punto di vista. Favreau, Filoni e Kennedy trovano la loro ricetta vincente in una serie televisiva che nella sua verticalità segna i “confini” dell’Universo in cui prende forma, nei dettagli ne costruisce la veridicità e nei personaggi traccia le linee editoriali future, aumentando anche la lista del merchandising.
Il tutto mentre fa incetta di citazioni pop e, come se non bastasse, prosegue nella formazione dei membri della scuderia di casa Disney. Poco male se l’orizzontalità la narrazione la trova solo allineandosi agli antichi meccanismi propri anche della storia di Luke e Anakin o se difetta spesso per ridondanza nella struttura degli episodi e per profondità nella costruzione dei personaggi secondari (e non).
Dove non arriva la grande minuziosità nella costruzione drammaturgica, arriva la potenza emotiva del mondo in cui la storia è ambientata e dei personaggi che la animano. E di colpo si è di nuovo in una Galassia Lontana Lontana.
Giuseppe Grossi
Un bagliore nell’oscurità. In questo anno orribile avere due stagioni di The Mandalorian è stato quasi un lusso. E non è solo merito di un cacciatore carismatico e di un adorabile bambino vecchio.
Ancora una volta The Mandalorian si conferma abilissimo a destreggiarsi tra gli archetipi del fantasy (l’eroe, la compagnia di avventurieri, il mostro da sconfiggere, i Jedi percepiti come un ordine di stregoni) e le dinamiche del western.
Jon Favreau ribadisce a tutti che Star Wars è sempre stato un enorme contenitore di generi da citare, saccheggiare e soprattutto riempire con una mitologia tutta nuova.
Una mitologia rievocata a meraviglia da una stagione densa, che ha celebrato il culto stesso di Star Wars in modo autoreferenziale ma non compiaciuto, confermando che i personaggi della saga raccontano anche senza dire niente.
Portatori di narrazioni come i paladini delle saghe fantasy o i pistoleri dei grandi western, preceduti dalla loro stessa fama e dai racconti orali della gente. Basta una spada verde accesa nel buio per provare la pelle d’oca. Basta una vecchia armatura logora per emozionarsi di nuovo.
In mezzo ci siamo anche noi, commossi da questa gestione sapiente di un immaginario prezioso, che ci rispecchiamo nelle espressioni sorprese ed estasiate di un Grogu a questo giro finalmente usato meno come mascotte.
Perché, in fondo, dà quando ha un nome anche lui è diventato un personaggio e non più un pupazzo da idolatrare e vendere. Assieme a Baby Yoda, però, è morto anche il vecchio The Mandalorian. Quello fiero della sua indipendenza e del suo coraggio. Quello che brillava solo di luce propria.
Adesso la via è cambiata. Ed è a metà strada tra l’entusiasmo di una grande serie tv e il mito del cinema che incombe inesorabile Speriamo solo che nessuno ceda al Lato Oscuro della nostalgia.
A quello ci ha già pensato J.J. Abrams.
Eva Carducci
Seduta sugli spalti di Chicago non mai avrei immaginato che un prodotto come quello che stavano per presentare in anteprima alla Star Wars Celebration potesse arrivare a un livello simile.
La seconda stagione di The Mandalorian segna uno dei punti più alti della nuova era cinematografica e televisiva della saga di Star Wars. Non solo lancia le basi per un nuovo modello narrativo (che attinge anche alla struttura dell’MCU, suddivisa in questa nuova fase in lanci cinematografici e per piattaforma), ma è il frutto evidente di una modalità di pensiero più libera.
Si rischia oggettivamente di meno rispetto a una trilogia con gli Skywalker, per questo la libertà creativa lasciata a Jon Favreau e Dave Filoni ha permesso che si raggiungessero picchi altissimi, soprattutto in questa seconda stagione, che unisce ancora di più la mitologia western a quella di Star Wars.
Nanni Cobretti
L’unica cosa che avevo da ridire su Mandalorian Season 1 è che sembrava per certi versi una vigliaccata. Era conservatorismo puro, e anche bello estremo, in un momento in cui qualsiasi cosa si tentasse per dare una rinfrescata a Star Wars andava a finire malissimo, con colpe da distribuire sia dalla parte di chi creava che di chi fruiva. Non ci torno sopra, son sicuro che ne parlate ancora un giorno sì e uno no.
Mandalorian si presentava con un personaggio nuovo, e in compenso non poteva essere un’operazione più vecchia di così: il tono da western/chanbara puro, i plot ricalcati da storie di almeno 60 anni fa, la colonna sonora con tema melodico portante immediatamente memorizzabile, addirittura gli episodi praticamente autoconclusivi.
Talmente vecchia insomma da rifarsi direttamente ai modelli di George Lucas, più che alla sua operazione di remix. Mi pareva di assistere in diretta a un gigante che gettava la spugna.
Ma poi mi son detto: è Disney+, possono fare tutti i serial che vogliono ognuno per un target diverso, uno che osa, uno che no, uno che dà un colpo al cerchio, uno che dà un colpo alla botte.
E una volta che ti metti il cuore in pace su ciò che Mandalorian è e rappresenta, che motivi ci sono per lamentarsi?
Zero. Zero spaccati, se chiedete a me.
La seconda stagione è la più spettacolare delle conferme: è quello che succede quando sei talmente sicuro che una roba funziona che ti puoi pure disturbare a farla bene.
Prendete Baby Yoda e l’episodio che ha fatto scoppiare lo “scandalo” in rete: non ha colto di sorpresa nessuno. Era pura, spettacolare arroganza del pensare “ha senso per la storia, ha senso per il personaggio, gli spettatori scalceranno per la cattiveria inattesa ma è tonalmente e narrativamente giusto farlo accadere e alla fine la manderanno giù”.
Sembra una sciocchezza, ma è un lusso micidiale. È quello che fai quando ti senti invincibile. E a proposito: bel tentativo quello di dargli un nome a Baby Yoda, non ci casco, non mi importa quante volte mi fai vedere che quando lo chiami col suo nome lui si gira ed è contento, dovevate pensarci prima, Baby Yoda è e Baby Yoda rimane. In bocca al lupo, signori marketing.
Mandalorian infila diverse situazioni che più classiche non si può, e diversi personaggi old school spettacolari. Non grido spesso allo spin-off, ma Gina Carano ne meriterebbe uno. Colossi come Carl Weathers e Temuera Morrison e una veterana come Katee Sackhoff regalano una consistenza invidiabile. Ho trovato Giancarlo Esposito gigantesco e sottosfruttato nel ruolo di Moff Gideon.
Ma anche solo il fatto di cercare nuove leve tra gente come la wrestler Sasha Banks mi fa sentire decisamente in sintonia con la mission aziendale di Jon Favreau. È stato però Bill Burr nel ruolo di Mayfeld a regalare il miglior sprazzo di vitalità filosofica in quello che si è rivelato il mio episodio preferito della stagione, mentre mi ha convinto poco invece l’episodio diretto da Robert Rodriguez: è quello con più azione, ma è anche dove di colpo la “rule of cool” ha effettivamente preso il sopravvento più del solito, con l’incapacità degli stormtroopers elevata a livelli davvero eccessivi – un conto è una gag ogni tanto, un altro è vedere un’intera scena di 20 minuti di gente che si spara le pose in mezzo a zombi coi laser di carta.
Ognuno vede Star Wars a modo suo. Io sono diventato fan da bambino quando mi ha stupito mostrandomi cose che non avevo mai visto e lo sono rimasto da grande quando, pur accorgendomi che rimodellava il passato, ho capito sempre meglio cosa lo rendeva fresco e unico rispetto a chi era venuto prima di lui: ci rimarrei male se l’unico sforzo di rivoluzione rimanesse quello del ’77 e da lì in poi si ammuffisse per piegarsi a un fandom rigido e intransigente stile Tex Willer. Ma se così dovrà essere, un’esperienza migliore di The Mandalorian è quasi impossibile da chiedere.
Vincenzo Lettera
L’episodio finale di The Mandalorian non doveva piacermi. Fin dai tempi del vecchio Universo Espanso, di Star Wars ho imparato ad apprezzare l’enorme potenziale narrativo lasciato in mano a una pluralità di autori. Il seme piantato da Lucas è cresciuto in una mastodontica sequoia coi rami che vanno in ogni direzione, e mi ha sempre fatto impazzire l’idea di una galassia in continua espansione, di nuove storie e nuovi eroi che arricchiscono un unico grande immaginario.
Dalla serie TV guidata da Dave Filoni e Jon Favreau cercavo proprio questa freschezza.
Volevo vedere nuovi protagonisti visitare pianeti inediti, in un’avventura che non finisse per tallonare per l’ennesima volta la saga degli Skywalker. E invece, prevedibilmente, The Mandalorian percorre un sentiero all’apparenza cauto, pieno di elementi nostalgici e cameo di personaggi già noti. Dall’aspetto del protagonista a quello del suo piccolo compagno di viaggio, dal ritorno di villain creduti morti alle decine di volte in cui si è tornati su Tatooine. Fino poi all’apice raggiunto con l’ultimo episodio e il tanto chiacchierato arrivo di Luke. Lo Jedi per eccellenza. Il cameo dei cameo.
The Mandalorian, insomma, non si fa mancare niente: personaggi risorti, ambientazioni già viste, grandi rimpatriate e la solita sensazione che questa galassia lontana lontana sia in realtà anche piccola piccola. Sulla carta, avrei dovuto sbadigliare dal primo all’ultimo episodio.
E invece ho finito per vedere ogni avventura di Din Djarin più di una volta. Mi sono ritrovato ad applaudire allo schermo, saltare sulla sedia al ritorno di un personaggio, ridere a tutte le gag con Grogu (quant’è difficile non chiamarlo Baby Yoda?), arrabbiarmi con voi-sapete-chi e commuovermi voi-sapete-quando. E, nonostante ripetessi “speriamo di no” all’idea che potesse apparire Luke Skywalker, ho avuto la pelle d’oca quando quel singolo, benedetto Ala-X è entrato nell’hangar.
Il verde della spada laser, la mano destra guantata, il cappuccio che copre il SUO volto. Se sei cresciuto con la trilogia originale, non puoi rimanere indifferente al mito di Luke Skywalker. The Mandalorian ha dato ai fan di vecchia data quello che i fan di vecchia data desideravano. Eppure lo ha fatto in modo da non sembrare pretestuoso, da non essere “semplice fan service”.
Da un lato è innegabile che la serie sia imbottita di riferimenti e agganci a tutto l’universo starwarsiano, dai film ai romanzi, dai fumetti alle serie animate, passando per i videogiochi o addirittura per i giocattoli e le storie ormai Legends. L’abilità di Filoni e Favreau è stata quella di prendere quest’enorme scatola dei giochi e dare a ognuna delle loro fantasie coerenza e credibilità nel più ampio racconto di Star Wars. Luke, Ahsoka, la Darksaber, Boba Fett e i Dark Trooper: sono lì perché hanno senso, non (solo) perché sono fichissimi.
The Mandalorian unisce vecchio e nuovo, e nel farlo non si limita a essere un racconto autocelebrativo, ma continua a esplorare l’immaginario di Star Wars, rendendo il suo universo più interessante e ricco di punti interrogativi. Lo fa quando Din non vuole togliersi il casco, lo fa quando Bo-Katan non accetta la Darksaber, o quando Luke prende in custodia Bab… Grogu… lasciando il protagonista alle prese con il destino di Mandalore e la guida del suo popolo, una responsabilità che lui per primo non vuole. Lo fa anche nel presentare una versione di Luke che no, non riscrive o contraddice il maestro disilluso e in esilio di Episodio VIII, bensì lo completa e aggiunge nuovi strati al suo passato, rendendolo ancora più intrigante nel suo fallimento e nella sua eventuale presa di coscienza.
Nell’abbondante futuro di Star Wars ci sarà certamente spazio per la sperimentazione e l’introduzione di nuovi personaggi e ambientazioni, ma col giro di boa dell’ultimo episodio, The Mandalorian promette essere non meno sorprendente. In attesa della terza stagione, la scommessa di Disney si può dire indubbiamente vinta.