La recensione di Le Strade del Male in due parole: quanto spreco. Rivoluzionando il concetto di recensione, vi lascio decidere se continuare o meno a vedermi affondare il bisturi nell’ennesimo film deludente distribuito da Netflix, ancora più doloroso perché i presupposti erano buoni rispetto alle solite trashate da due euro comedy/sexy della piattaforma.

The Devil All The Time, titolo originale dell’opera, è un film pretenzioso, moscio e diseguale che si appoggia completamente sulle interpretazioni del nutrito cast per sopperire a una scrittura scabra e scolastica adagiata su tutti i peggiori cliché e le soluzioni più trite e banali che possano venirvi in mente. Senza troppi giri di parole possiamo iniziare la recensione di Le Strade del Male proprio in questo modo!

Quello dell’americano italo-brasiliano Antonio Campos, che scrive (con il fratello Paulo) e dirige è un meraviglioso spreco di potenzialità che riesce nella fantastica impresa di annoiare mentre racconta male cose già viste.

Un triplete midiciale, eh? E dopo aver detto questo, chi ve lo fa fare di continuare a leggere? Magari per vedere come lo farò a pezzi? Proverò a farlo nel modo migliore.

 

 

La storia di Le Strade del Male inizia con il romanzo di Donald Ray Pollock, autore dalla vita più interessante di questo film.

Cresciuto in culo al mondo nello sperduto paesino Knockemstiff, Ohio, ha lasciato la scuola per lavorare a 17 anni facendo prima il macellaio poi l’operaio in una cartiera per quasi 40 anni.

Si laurea a 55 anni in letteratura nel 2009 e scrive racconti che piacciono molto, esordisce con The Devil All The Time e rastrella premi e applausi dalla critica. Al momento ha all’attivo due romanzi.

Secondo voi dove si svolge il romanzo/film? Bravi, in Ohio. E dove inizia e finisce tutto? Bravi, a Knockemstiff.

Mi piacerebbe avere il tempo di leggermi il romanzo per capire se l’autore è uno di quegli scrittori autoreferenziali e capaci di scrivere solo e soltanto le stesse cose cercando di rendere la cornice più interessante del contenuto, ma per adesso devo accontentarmi della critica internazionale: il romanzo sembra decisamente meglio di quello che ci ha tirato fuori Campos.

 

 

 

recensione di Le Strade Del Male

 

Sicché, approcciamoci: Le Strade del Male, ennesima traduzione pessima di un buon titolo, racconta l’epopea spalmata su due generazioni di un’umanità povera, rurale e spesso malata nella testa, con fortissime tendenze violente & omicide/suicide, una religiosità ottusa e oppressiva e il vizietto di lasciarsi andare a uno o più peccati capitali.

La trama del film salta di tragedia in tragedia, tanto che quando non ne succede una dopo 10 minuti quasi inizi a preoccuparti e ti chiedi se i fratelli Campos non si siano calati un antidepressivo nella Coca-Cola.

Sul serio, Le Strade del Male è il classico esempio di opera che per farti vedere quando brutto c’è nell’umanità ti spara in faccia una grossolana sequela di disgrazie che ti rendono più apatico che altro, non avendo mai il tempo di non dico affezionarti, ma perlomeno provare il benché minimo interesse per i personaggi stereotipati che ti sbatte davanti.

 

 

Ecco che quindi abbiamo il buon Willard (Bill Skarsgård) che torna dalla guerra ossessionato dalle croci e costruisce la sua vita attorno alla moglie, con il povero figlio Arvin (che da grande avrà il broncio di Tom Holland) costretto a vederlo sempre più distante da lui fino a un tragico epilogo.

C’è poi Helen (Mia Wasikowsa in un quasi-cameo) che si innamora di un predicatore che già dalla faccia doveva capire che eccetera eccetera (Harry Melling) o forse dal fatto che in chiesa nei sermoni si rovescia addosso un barattolo di ragni. Fareste una figlia con uno così? Lei sì, la chiama Lenora e la accudisce mentre il marito sta per settimane chiuso in uno stanzino urlando verso Dio. Immaginate il resto.

C’è poi Carl (Jason Clarke) che con la moglie Sandy (Riley Keough) carica autostoppisti in auto per poi mettere in atto giochini perversi a base di macchine fotografiche, sesso nei boschi e… indovinate un po’… sì, bravi, morti.

C’è poi – uff, che fatica questi film corali – il reverendo Preston Teagardin (Robert Pattinson) che arriva fresco in città e che naturalmente non è un predicatore qualunque, ma un arrogante e viscido adescatore di ragazzine devote al Signore, e naturalmente chi ti va a intortare, tra le altre? Bravi: Lenora (Eliza Scanlen), che nel frattempo è diventata sorellastra di Arvin.

 

 

Ci sarebbe anche lo sceriffo Lee Bodecker (Sebastian Stan grasso con le gengive gonfie alla Don Vito Corleone) ma è un personaggio così inutile e insignificante che non si capisce mai perché dovremmo interessarci a quello che fa. Ah, è il fratello di Sandy, quella che carica autostoppisti col marito, etc…

Le Strade del Male riesce nell’incredibile impresa di lasciare il talento di questi interpreti in balia di una storia resa sullo schermo schematica e scialba, senza motivi di interesse e prevedibile come poche.

C’è poco altro da dire: alcuni ci credono molto come Tom Holland, che modella il suo modo di parlare e il suo modo di fare per dare vita a un ragazzo chiuso e scontroso ma di cuore.

Sebastian Stan, come detto, si gioca la carta dell’imbruttimento ma il trasformismo è inutile per cercare di elevare una figurina di carta che occupa spazio inutilmente sullo schermo.

Mia Wasikowsa e Eliza Scanlen fanno il minimo sindacale in ruoli scritti maluccio mentre altri mettono il pilota automatico per timbrare il cartellino come Jason Clarke.

Robert Pattinson in tutto questo risulta quasi straordinario, aiutato dall’unico personaggio minimamente interessante

Robert Pattinson in tutto questo risulta quasi straordinario, aiutato dall’unico personaggio minimamente interessante anche se inflazionato, riuscendo a infondere vita e reale schifezza interiore nel suo ministro di Dio superbo, antipatico e vizioso, con modi, sguardi e voce sopra le righe ma mai troppo. Si vede che lavorare accanto a Willem Dafoe lo ha parecchio ispirato.

 

 

 

 

Chiudo la recensione di Le Strade del Male sottolineando come la storia abbia delle evidenti ambizioni di

affresco di come l’Umanità sia preda del Diavolo ma in realtà sono solo le peggiori pulsioni umane

e robe del genere, ma riduca la narrazione a una struttura circolare della quale però Campos si dimentica di calcolare l’area, disegnando – male – solo il perimetro.

Si salvano un po’ le musiche di Danny Bensi e Saunder Jurriaans, minimali e d’atmosfera quanto bastano, mentre tutto il resto viaggia sull’ordinaria amministrazione.

Quello che si vede è il tentativo di un registra di estrazione perlopiù televisiva di darsi un tono da autore senza averne né le capacità tecniche né il talento, ma solo un’ambizione che si sgretola dopo i primi minuti.

Ciliegina sulla torta: niente contro il doppiaggio e i doppiatori italiani che amo, ma l’unico motivo di interesse di questo film è vedere come tutti gli attori si calino nei personaggi con accenti credibili e strascicati, spesso modificando la voce stessa (Pattinson anche qui batte tutti).

La versione italiana, manco a dirlo, appiattisce tutto rendendo ancora più inutile tutta l’ambientazione e l’emotività trattenuta e implosa dei personaggi.

In breve: se già il film artisticamente vale poco, doppiato vale la metà di quel poco.

 

Le Strade Del Male è disponibile su Netflix dal 17 Settembre