La recensione di Le Sorelle Macaluso, pellicola scritta e diretta dalla regista Emma Dante, basata sull’omonima pièce teatrale della stessa Dante. Un film delicato e struggente sulla memoria, sulla senso di sorellanza, sul rimpianto e dolore e su ciò che resta anche dopo la morte.
Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella sono le protagonista del quarto – ed ultimo – film in concorso italiano al Festival del Cinema di Venezia 2020. La recensione di Le Sorelle Macaluso, il film diretto e scritto da Emma Dante, tratta dal sua stessa omonima pièce, ci porta a compiere un viaggio tra l’infanzia, età adulta e vecchiaia di cinque sorelle nate e cresciute in un appartamento all’ultimo piano di una palazzina nella periferia di Palermo.
Abituate a vivere e sostenersi da sole, grazie ad un particolare allevamento di piccioni e colombe, queste piccole donne contemporanee ci mostrano la spensieratezza della fanciullezza ma anche la difficoltà di confrontarsi con il tempo, il dolore, il rimorso e la morte.
Quello di Emma Dante è un film sulla vita, sulla sopravvivenza e anche sulla morte
Quello di Emma Dante è un film sulla vita, sulla sopravvivenza e anche sulla morte; al tempo stesso è un film sulla memoria, sulla sorellanza e sull’inesorabile scorrere del tempo, lasciando dietro di sé l’amarezza, la malinconia e la nostalgia. Una storia ruvida e al tempo stesso delicata, che si legge nella fragilità e nella sorda sofferenza di queste cinque anime affini, tra amore e odio, rimproveri e silenzi; i drammatici tentativi di rimettere a posto i cocci di un piatto fatto cadere per distrazione. Ed un po’ come le crepe che si possono intravedere lasciate proprio da quell’unione forzata, le Macaluso restano unite proprio sotto l’effetto di un collante, restando costantemente nel bilico di voler scappare e, nel medesimo momento, restare.
Ma nulla è per sempre e la vita, si sa, è imprevedibile e meschina. Un attimo i ricordi spensierati e febbrili di giovinezza e fanciullezza si tramutano in qualcosa di più ruvido, più grezzo, come la pelle rugosa di una vecchia affacciata alla finestra che consunta, come le pareti della propria abitazione, accarezza le pagine di un libro ingiallito, i bordi di un giocattolo un tempo funzionante.
Le sorelle Macaluso sono la sorpresa italiana del Festival di Venezia. Una storia che cresce dentro, toccante e straziante, agrodolce nei suoi colori, nelle sue sfumature sempre più sbiadite, sempre meno definite, eppure vive nel cuore, nell’anima, proprio come un ricordo.
Difficile descrivere a parole ciò che Emma Dante riesce a dare, a trasmettere con le immagini, e anche con le sue giovani – e meno giovani – protagoniste. Si, perché le nostre sorelle (che alla fine diventano realmente sorelle di tutti noi) crescono, invecchiano, e con loro anche le protagoniste, le quali si sostituiscono in questi meno di 90 minuti di pellicola.
Un dramma in tre atti
Una prima parte e seconda parte dominano la pellicola, dove vediamo le cinque protagoniste prima nell’età più leggera della vita e poi in quella più matura e rancorosa. Alla vecchiaia spetta il pesante compito di chiudere la pellicola, come l’epilogo di una poesia. Il cuore si fa pesante, gli occhi diventano lucidi e si combatte per non cedere ad un sommesso pianto.
Una pellicola senza tempo quella confezionata da Emma Dante, sincera e pura, un po’ come le sue protagoniste
Una pellicola senza tempo quella confezionata da Emma Dante, sincera e pura, un po’ come le sue protagoniste, perse nel limbo della memoria, dei rimorsi e dei rimpianti. Il dispetto tra sorelle diventa il rancore fra donne, fino a tramutarsi in qualcosa di più sottile, di più esasperante e sofferto nel doversi confrontare con l’ennesima perdita, l’ennesima bara da seppellire.
Del resto, la fratellanza e la sorellanza sono anche questo: taciti accordi. Legami che accrescono nel tempo. È qualcosa di speciale – il più delle volte – anche quando ci sono silenzio a separare, muri, chilometri, colpe, traumi. Non si potrà mai davvero spezzare e quando qualcuno se ne va, ci lascia, per sempre, bisogna trovare il coraggio di affrontare quella perdita, vivere senza quel pezzo di anima.
Piccole donne crescono
Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella, le nostre piccole donne, questo lo capiscono fin troppo presto, e crescono con questo tormento che logora la loro anima. Vediamo la casa di infanzia trasformarsi, tramutarsi in un luogo scomodo che lentamente si fa consumare dal tempo, così come le donne. Un luogo popolato da fantasmi, consunto, sbiadito. Perfino i colombi diminuiscono, si dimezzano, prendono il volo e lasciano quello che un tempo è stato il loro nido, il loro piccolo rifugio, un’isola felice adesso dispersa nel tempo.
Cosa rimane se non l’alone di sporco lasciato dalla polvere lì dove un tempo c’erano quadri, letti, mobili?
Non resta spazio neanche più per i rossetti di Pinuccia, i libri di Lia, i giochi di Antonella. Non c’è spazio neanche più per i ricordi, ma restano solo i fantasmi, quelli che devono essere liberati, devono essere lasciati andare.
Impeccabile la scenografia in questo. Il modo in cui le pareti domestiche e gli oggetti che dominano l’ambiente si fanno veri e propri personaggi. Anima caratterizzante della pellicola. Mutano, cambiano, si trasformano. Sembra esseri animati mossi dalla stessa evoluzione della padrone di casa. Comunicano con il pubblico, con la storia, con la pellicola, divenendo parte fondamentale del racconto.
Dal teatro allo schermo: la bellezza struggente delle sorelle
Emma Dante compie un piccolo grande miracolo, ampliando la sua opera teatrale con una pellicola che si sofferma sui dettagli, sugli schemi circolari che ritornano dall’inizio alla fine, salendo e scendendo, da un verso e dall’altro. È un minuzioso lavoro che accresce ancora di più il contenuto delle immagini, dei dialoghi, dei pensieri detti e non detti.
A perfezionare il tutto è l’interpretazione del piccole e grandi donne presenti nel film e che danno forma e voce alle cinque sorelle protagoniste. Attrici straordinarie, soprattutto le più giovani, che fanno loro i personaggi. Impariamo a conoscerle bene le Macaluso in ogni loro piccolo cambiamento.
A perfezionare il tutto è l’interpretazione del piccole e grandi donne presenti nel film e che danno forma e voce alle cinque sorelle protagoniste
Capiamo il loro caratteri, compresi pregi e soprattutto difetti. Impariamo ad ascoltare i loro silenzi e vorremo asciugare le loro lacrime. Comprendiamo quando una parola viene detta per fare volutamente del male, ma che al tempo stesso non stanno realmente pensando ciò che dicono.
La loro rabbia diventa la nostra. Il loro dolore diventa uno squarcio nello spettatore. Il loro bisogno di un abbraccio, di una nuova speranza, diventa il velo di tristezza che accompagna a fine visione. Ma alla fine di tutto Emma Dante riesce a trovare la quadra perfetta al suo racconto.
Un racconto di realtà, di vita vissuta. Una storia che, in fondo, non avrebbe nulla di speciale. Sono le sue protagoniste a renderla tale. Unica. Forte. Evocativa come il sole, il mare, le pareti sporche, le colombe.
In conclusione alla recensione di Le Sorelle Macaluso, non possiamo fare altro che sentirci appagati, trovandoci di fronte ad uno dei migliori film di questo Venezia 2020. Una pellicola forte, intesa e drammaticamente intima. Un film che ti rimane sulla pelle anche quando arriva il tempo di lasciar andare tutto.
Il dramma della Macaluso si risolve e finalmente possono lasciarsi andare. Possono perdonarsi a vicenda. Ritornare bambine e guardare il mare, come in quella giornata di allegria, balli sulla spiaggia e sole asfissiante a Mondello dove tutto è cambiato.