La recensione di Quo vadis, Aida? non è facile da scrivere, così come non è facile il film in questione. La pellicola di Jasmila Žbanić apre ufficialmente con un film struggente, doloroso e con una protagonista che sembra gridare alla Coppa Volpi.
Forse non tutti sanno che nel Luglio del 1995 in Bosnia si è consumato uno dei genocidi più drammatici della storia dell’umanità. L’ennesimo massacro di sfondo religioso, rimasto impunito fino al 2007. Viene conosciuto come il massacro di Srebrenica e a perdere la vita sono stati oltre 8 000 musulmani bosniaci, per la maggioranza ragazzi e uomini, nella città di Srebrenica e nei suoi dintorni, durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina.
Capirete, quindi, che scrivere la recensione di Quo vadis, Aida?, con queste premesse, non è affatto facile. Una cosa, però, anche solo per rompere il ghiaccio, posso dirla: siamo solo al primo film, eppure l’odore di Leone d’Oro e Coppa Volpi si sente forte e chiaro.
Jasmila Žbanić non solo apre il concorso del Festival di Venezia con un film toccante, sincero e perfettamente diretto, ma è anche la prima donna di questa edizione dove nel concorso ufficiale sono presenti “bene” otto registe (è proprio il caso di dirlo che questo covid-19, forse, non ha portato solo sciagure).
Quo Vadis, Aida? è la storia di Aida, un’interprete che lavora alle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica negli anni in cui il conflitto in Bosnia ed Erzegovina dilaga
Quo Vadis, Aida? è la storia di Aida, un’interprete che lavora alle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica negli anni in cui il conflitto in Bosnia ed Erzegovina dilaga. Sono anni duri per migliaia di persone cacciate dalla propria casa dall’esercito, dalla propria terra, costretti a vivere in campi in mezzo al nulla o sotto capannoni o nell’accampamento delle Nazioni Unite, con solo due coperte e qualche bene, aspettando paziente il proprio destino. La zona in cui i co-nazionali di Aida stazionano da mesi era stata dichiarata dall’ONU zona protetta, nell’attesa di trovare un accordo con l’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladić.
Come persona informata sulle trattative, Aida ha accesso a informazioni cruciali per le quali è richiesto il suo ruolo di interprete e grazie al quale riesce ad ottenere anche un lascia passare per la sua famiglia, ma purtroppo qualcosa nelle trattative non va come previsto e quello che sembrava un accordo di pace e di inizio di fine della guerra, si tramuta nell’essere una delle più grandi stragi dell’umanità.
In seguito all’accordo, infatti, il generale Mladić si era impegnato a spostare tutti i rifugiati di guerra in un posto sicuro, ma l’intento era ben diverso da quanto stipulato con l’ONU che, nonostante l’obbligo al non far entrare nella zona protetta i serbi, da il lascia passare per il terribile piano. Le donne vennero separate dagli uomini e dai ragazzi. Le prime vengono fatte salire su alcuni bus, i secondi su carri che invece di portarli nel luogo dell’accordo, vengono scortati in luoghi isolati per poi essere fucilati e massacrati senza alcuna pietà.
Il coraggio di una donna
Il film si divide in due parti più un piccolo epilogo che, forse, allontana la pellicola della regista dalla vera perfezione. Nella prima parte ci viene dato un po’ di contesto storico e cominciamo a conoscere Aida (Jasna Đuričić), una donna forte, determinata che non si concede alla debolezza, alla fragilità. Si da un gran da fare per se, per il suo popolo e la sua famiglia, speranzosa di vedere presto l’alba della sua vecchia vita. Aida sogna di tornare ad insegnare, di vedere i suoi figli diplomarsi e laurearsi. Non si da per vinta e infonde positività a tutti, sorridendo, stringendo i pugni e abbandonandosi di tanto in tanto a piccoli fugaci attimo di passato.
Il sorriso di questo grande donna è destinato a spegnersi in tutta la sua sublime trasformazione e ferocia, diventare un ghigno di un animale in gabbia
Il sorriso di questo grande donna è destinato a spegnersi in tutta la sua sublime trasformazione e ferocia, diventare un ghigno di un animale in gabbia, una leonessa pronta a sbranare il nemico che minaccia di turbare, distruggere la sua quiete. La vediamo combattere con le unghie e con i denti per salvare i suoi figli, l’amore della sua vita, fino ad arrivare a piegarsi, inginocchiarsi, pregare. Aida non si da per vinta, neanche quando la consapevolezza della tragedia pervade ormai lo spettatore stesso, rendendo le immagini della seconda parte del film angoscianti, frustranti, disperate.
Senza cadere nella banale retorica e nei classici schemi del film di guerra o della storia che ricatta emotivamente lo spettatore, la regista Jasmila Žbanić crea un circuito di suspense, tensione e dolore nel pubblico che va perfettamente a sposarsi con la disperazione di una madre, di una donna consapevole di star perdendo tutto; di un popolo con gli occhi umidi ed impauriti come animali in mezzo alla strada, fin troppo consci del triste destino a cui stanno andando incontro.
La consapevolezza della morte
La camera da presa indugia su quegli sguardi; sugli sguardi dei giovani soldati impotenti dell’ONU. Disperati, angosciati, frustrati, costretti a non poter agire. Si dovrebbe festeggiare la vittoria di aver trovato a tutti una sistemazione, eppure l’accordo appare fin da subito frettoloso, poco chiaro, pretestuoso. Nessuno parla, ma tutti sanno. Tutti sanno che molte di quelle persone non rivedranno mai la luce di un nuovo giorno.
Non si fa differenza se uomini, bambini, vecchi o ragazzi
Non si fa differenza se uomini, bambini, vecchi o ragazzi. Tutti vengono ammassati, spogliati della propria identità, umiliati nel profondo e poi ammazzati brutalmente come bestie al macello. E tutto questo lo sappiamo, lo sappiamo fin da subito e questa consapevolezza cresce, cresce nella storia, negli occhi dei personaggi e nell’animo dello spettatore che a fine proiezione ne esce provato, distrutto, ferito.
Aida diventa una trottola impazzita che vaga alla ricerca di una via di fuga. Aida non può arrendersi a questo destino. Non può pensare che la sua vita, tutto ciò per cui ha lottato, combattuto, costruito, sia destinato a spegnersi così. È la mera speranza che anima chi sa di non poter fare più nulla ma di non poter davvero restare con le mani in mano, lasciandosi logorare dalla frustrazione dell’impotenza.
Straordinaria Jasna Đuričić in questo ruolo così drammatico, così intimo, così feroce. Difficile restare impassibili alla performance di questa grande artista, che stringe al cuore, rende deboli, arrabbiati, incattiviti e spezzati. Spezzati dal marcio, dal veleno che scorre nelle vene dell’essere umano portandolo a uccidere per i motivi più futili: come la religione, la politica, il potere. Possono cambiare i popoli, le motivazioni, i tempi, eppure Quo Vadis, Aida? ci mette di fronte alla terribile consapevolezza che l’uomo non cambia. È destinato a non voler cambiare e come un loop impazzito a commettere sempre gli stessi errori, sempre gli stessi sbagli, abbandonando sempre di più la sua umanità a favore di una feroce bestialità priva di empatia.
Ma proprio come Aida, possiamo davvero arrenderci così? Può la neve dell’inverno bosniaco coprire tutto quanto e far dimenticare? Possiamo davvero dimenticare?
No, non si può. Non si dovrebbe. Eppure succede, succede anche questo. Ed è forse per questo che la regista Jasmila Žbanić da un epilogo al suo film forse un po’ troppo sdolcinato, quasi al limite del buonismo, scivolando in tutto quello che egregiamente aveva evitato fino a quel momento: retorica e buonismo. Un messaggio di speranza, che non riesce davvero a sollevare i cuori, anzi, li appesantisce, soprattutto quando crimini come questi rimangono impuniti per troppo, davvero troppo tempo.
Questo caso, nello specifico, è rimasto irrisolto fino al 2007, quando una sentenza della Corte internazionale di giustizia, nonché diverse altre del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY), hanno stabilito che il massacro, essendo stato commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi, costituisce un “genocidio”. Tra i vari condannati, in particolare Ratko Mladić e Radovan Karadžić (all’epoca presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina) sono stati condannati in due momenti diversi dall’ICTY, il primo all’ergastolo ed il secondo a 40 anni di reclusione. La Corte penale internazionale dell’Aia ha poi applicato la pena dell’ergastolo anche a Karadžić.
Struggente, doloroso, violento
In conclusione della recensione di Quo vadis, Aida?, film che già fa pregustare il sapore di un premio, sono ben poche le parole che ancora si possono davvero usare. La Mostra del Cinema di Venezia, ci regala il suo primo grande film da concorso. Struggente, doloroso, violento. Una pellicola che non può lasciare indifferenti e che apre gli occhi su quei tanti orrori commessi contro l’umanità che, ancora oggi, soffrono del menefreghismo dell’essere umano.