Per fermare la diffusione illegale di contenuti, l’isola di Taiwan decide di bloccare definitivamente i servizi di video-streaming di origine cinese.

La Commissione Nazionale delle Comunicazioni taiwanese ha annunciato martedì 18 agosto nuove regole che andranno a sospendere le trasmissioni del iQiyi di Baidu e del WeTV di Tencent, servizi che a oggi sono riusciti a “operare illegalmente” grazie a cavilli amministrativi.

Nonostante i già esistenti divieti, i giganti tecnologici sono infatti riusciti ad agire indisturbatamente fino a oggi,  appoggiandosi alle emittenti locali. Ora il Ministero dell’Economia di Taiwan dice basta e impone uno stop che, se confermato dai legislatori, diverrà esecutivo il tre di settembre.

Questa recente decisione del Governo taiwanese è solo l’ultima mossa di uno scontro decennale che recentemente sta prendendo pieghe di natura economica. Con Hong Kong sotto scacco, Taiwan mira a divenire uno dei nuovi poli orientali in cui concentrare le attività economiche del mondo Occidentale.

 

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Solo la settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno inviato il Segretario della Salute e dei Servizi Umani, Alex Azar, a manifestare il supporto del presidente Donald Trump al Governo taiwanese, azione che ha suggerito esplicitamente un avvicinamento tra le due nazioni.

Dall’altro lato, la Cina ha risposto al suddetto incontro diplomatico intensificando le già opprimenti “esercitazioni militari” che si svolgono in loco, ovvero ha dispiegato nello spazio aereo di Taiwan una serie di jet pesantemente armati.

Taiwan, formalmente Repubblica di Cina, è un Paese il cui stato politico è ambiguo sin dai tempi della guerra civile cinese. Nel 1949, il partito perdente si era infatti arroccato sull’isola, formando nel tempo un governo autonomo e democratico non riconosciuto dall’attuale Repubblica Popolare Cinese.

Non potendo attaccare direttamente, in questa nuova generazione di contenziosi politici le grandi potenze hanno deciso di calare in trincea le aziende, boicottandole con dazi, sanzioni e impedimenti vari. Quelle cinesi, nello specifico, si stanno già trovando a dover combattere per la sopravvivenza negli U.S.A. e in India, due dei mercati più significativi al mondo.

 

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