Nel tentativo di rilevare pianeti nell’immenso cosmo un grande aiuto proviene da un nuovo metodo chiamato SPOCK e che usa l’intelligenza artificiale per eliminare tutte le configurazioni planetari instabili che si sarebbero già scontrate e quindi non sarebbero osservabili.
L’immagine di copertina mostra il sistema Kepler-431 all’interno del quale sono stati rilevati tre pianeti di cui poco si sa circa le forme delle loro orbite (tutte le possibilità coerenti con le osservazioni sono disegnate a sinistra), ma se si usano i vincoli di stabilità (immagine a destra) si possono eliminare molte possibilità.
Sembra un gioco da ragazzi, di certo concettualmente è semplice, ma dal punto di vista computazionale rimuovere tutte le configurazioni instabili che avrebbero già provocato uno scontro tra pianeti è un compito incredibilmente arduo.
Almeno fino a quando un team internazionale di astrofisici guidato dal Daniel Tamayo della Princeton University è riuscito nell’impresa grazie a un nuovo modello SPOCK.
Oltre a una semplificazione nello studio dei pianeti questi calcoli aiutano anche a rispondere a una serie di altre domande:
- Perché i pianeti non si scontrano più spesso?
- Come si organizzano i sistemi planetari, come il nostro sistema solare o sistemi multi-pianeta attorno ad altre stelle?
- Di tutti i possibili modi in cui i pianeti potrebbero orbitare, quante configurazioni rimarranno stabili nei miliardi di anni del ciclo di vita di una stella?
Rifiutare la vasta gamma di possibilità instabili, ossia tutte le configurazioni che porterebbero a collisioni, ci aiuta ad avere una visione più nitida dei sistemi planetari attorno ad altre stelle e per questo è così importante.
Separare le stelle dalle configurazioni instabili è un problema affascinante e brutalmente difficile.
ha dichiarato Daniel Tamayo, Sagan Fellow della NASA Hubble Fellowship Program in scienze astrofisiche a Princeton.
Per assicurarsi che un sistema planetario sia stabile, gli astronomi devono calcolare i movimenti di più pianeti interagenti per miliardi di anni e verificare la stabilità di ogni possibile configurazione, un’impresa proibitiva dal punto di vista computazionale.
A partire da Isaac Newton gli astronomi hanno combattuto con il problema della stabilità orbitale, ma mentre la lotta ha contribuito a molte rivoluzioni matematiche, tra cui il calcolo e la teoria del caos, nessuno ha trovato un modo per prevedere teoricamente configurazioni stabili.
Tamayo si è reso conto di come poter accelerare il processo combinando modelli semplificati delle interazioni dinamiche dei pianeti con metodi di apprendimento automatico.
Ciò ha permesso l’eliminazione rapida di enormi quantità di configurazioni orbitali instabili con l’incredibile risultato che calcoli che avrebbero richiesto decine di migliaia di ore, adesso possono essere eseguiti in pochi minuti.
Non possiamo dire categoricamente ‘Questo sistema andrà bene, mentre quello esploderà presto. L’obiettivo invece è, per un dato sistema, escludere tutte le possibilità instabili che avrebbero già portato ad oggi a una collisione.
Ha spiegato Tamayo.
Invece di simulare una data configurazione per un miliardo di orbite, che si potrebbe definire il tradizionale approccio “a forza bruta”, che richiederebbe circa 10 ore il modello di Tamayo simula solo 10.000 orbite. Da questo breve frammento si calcolano 10 metriche di riepilogo che catturano le dinamiche risonanti del sistema. Infine viene addestrato un algoritmo di apprendimento automatico per prevedere quali configurazioni rimarrebbero stabili se lasciassero andare avanti per un miliardo di orbite.
Abbiamo chiamato il modello SPOCK che è l’acronimo di Stabilità delle configurazioni orbitali planetarie Klassifier, ma il nome ci piaceva anche perché il modello determina se i sistemi ‘vivranno a lungo e prospereranno’.
ha detto Tamayo.
SPOCK determina la stabilità a lungo termine delle configurazioni planetarie circa 100.000 volte più velocemente rispetto all’approccio precedente, rompendo il collo di bottiglia computazionale.
Negli ultimi 25 anni, gli astronomi hanno trovato più di 4.000 pianeti in orbita attorno ad altre stelle, di cui quasi la metà si trovano in sistemi multi-pianeta. Ma poiché i piccoli esopianeti sono estremamente difficili da rilevare, abbiamo ancora un quadro incompleto delle loro configurazioni orbitali.