Forse non esiste la formula del film perfetto, soprattutto nel campo della commedia. Quello che però sappiamo è che abbiamo un saggio su celluloide che si avvicina abbastanza a definirla: il suo nome è Ghostbusters e arriva dal lontano 1984.

Probabile che nessuno, durante la lavorazione di Ghostubusters, pensasse che una commedia di fantascienza – ma sarebbe meglio definirla fantasy – con attori di lungo corso della comicità televisiva si sarebbe trasformata in un cult movie capace di esercitare un’influenza colossale.

Proprio come uno dei fantasmi che i protagonisti combattono, il film di Ivan Reitman aleggia ancora sopra tutto il genere.

Ghostbusters ha scombinato regole, stilemi e aspettative per mischiare le carte, lanciarle in aria, friggerle con un flusso protonico e ribaltare il tavolo.

 

 

 

 

Ghostbusters La Genesi

Dan Aykroyd e Ivan Reitman stavano pensando di portare sul grande schermo Guida Galattica per gli Autostoppisti di Douglas Adams, da grandi fan del romanzo, ma da subito si trovarono a combattere con problemi di budget e di idee incasinate.

Ecco che allora, non potendo viaggiare nello spazio, Aykroyd tira fuori la sua passione per i fenomeni paranormali, rinvigorita proprio in quel periodo dopo diverse letture di fisica quantistica e parapsicologia.

Senza dimenticare ricordi d’infanzia come Topolino e i Fantasmi (Lonesome Ghosts), cortometraggio Disney dove la “trinità” Topolino, Pippo e Paperino fanno i cacciatori di fantasmi scontrandosi con spettri dispettosi, e alcuni dei film del mito della comicità Bob Hope.

Non è un mistero che Aykroyd, ideatore dei personaggi, avesse fin dal principio pensato ad un concept molto più ambizioso.

 

Non per nulla rimasto irrealizzato: i Ghostbusters, con speciali tute futuristiche, avrebbero dovuto viaggiare attraverso dimensioni parallele per combattere i fantasmi.

Gran parte di quelle idee sarebbero dovuto confluire nel mai realizzato Ghostbusters 3, ma comunque sono confluite in parte in quel bellissimo gioco che risponde al nome di Ghostbusters – The videogame, del 2009.

Il personaggio di Peter Venkman, vero mattatore dello script, era stato ritagliato su misura per John Belushi, forse anche per ricreare l’alchimia della coppia Blues Brothers: purtroppo la sua morte ci ha privati di questo piacere, e il copione fu completamente riscritto… per poi trovare l’incredibile verve di Bill Murray, a sua volta indimenticabile.

 

 

Ecco dunque che prende forma il primo abbozzo dei sceneggiatura ancora dal titolo Ghost Smashers, con personaggi impegnati a dare la caccia ai fantasmi da buoni lavoratori middle-class e antieroi.

 

ghostbusters 1984

 

 

 

Ghostbuster per come lo conosciamo

 

In una affascinante New York anni ’80, tre ricercatori di parapsicologia ribelli, disordinati e spiantati cercano di far valere le proprie idee… soprattutto dopo aver finito i soldi della Columbia University che li caccia fuori a calci nel sedere.

I loro nomi sono Peter Venkman (Bill Murray), Raimond Stantz (Dan Aykroyd) ed Egon Spengler (Harold Ramis) e sono talmente talentuosi che nessuno li capisce.

 

Perché è questo che uno si aspetta dai protagonisti di un film, no?

 

E invece, soprattutto guardando Peter e i suoi strampalati esperimenti, che questi tizi non siano proprio a posto con la testa (e non siano per nulla credibili) ci inizia a sembrare possibile.

Questo almeno fino a quando nella Biblioteca Pubblica di New York non incontrano la prima di una lunga serie di entità ectoplasmatiche, la bibliotecaria Eleanor Twitty, altresì nota come “la signora in grigio”.

 

 

Guarda caso, proprio mentre la Grande Mela viene investita da una serie di “fenomeni paranormali incontrollabili”: ed ecco che, con grande spirito imprenditoriale, i tre scienziati diventano i Ghostbusters – avviano una startup che ripulisce i luoghi dagli ospiti indesiderati di natura sovrannaturale.

Nascono gli Acchiappafantasmi, con la loro sede dentro una vecchia sede dei vigili del fuoco (grazie all’ipoteca sulla casa del povero Ray), un veicolo d’ordinanza brandizzato (la Ecto-1, ex ambulanza) e persino la segretaria d’ordinanza che ha sempre la battuta pronta, Janine Melnitz.

 

È dura per ognuno di questi elementi non spendere aggettivi come leggendario, iconico, storico, seminale, indimenticabile.

 

Colpa della nostalgia? No di certo, dato che, come si suol dire, Ghostbusters è stato tanto imitato nei suoi elementi quanto ineguagliato nei risultati.

E tra questi non si possono dimenticare gli zaini protonici, frutto del genio del buon Egon (sostanzialmente l’unico che si smazza il lavoro scientifico) capaci di imprigionare l’energia psicocinetica dei fantasmi con l’utilizzo dei flussi di particelle.

Beh, insomma: inizia una battaglia a suon di spot tv, diffidenza delle autorità, e naturalmente acceleratori nucleari non autorizzati imbracciati come armi contro gli spettri.

 

ghostbusters 1984

 

 

 

Ghostbusters 1984, una trama semplice per un successo compless(iv)o

Da strane presenze nel frigorifero dell’affascinante violoncellista Dana Barrett (Sigourney Weaver) alle stanze di un hotel di lusso infestate da Slimer, un ingordo fantasma verde con il vizio di smerdare la gente (o forse solo Peter Venkman), la fama dei Ghostbusters non può che crescere in modo esponenziale.

Alla fine c’è talmente tanto lavoro che viene assunto l’apprendista Winston Zeddemore. Si è sempre vociferato che al posto del buon Ernie Hudson ci sarebbe dovuto essere Eddie Murphy, che però in quel periodo era impegnato sul set di Beverly Hills Cop.

Come nel più classico dei casi, è la minaccia che sembra più ridicola a diventare un casino colossale, e sono proprio le entità inquietanti nel frigo di Dana a rappresentare la minaccia più pericolosa per il nostro pianeta.

Dana Barrett e il suo impacciato vicino di casa, Louis Tully (un perfetto Rick Moranis), si ritrovano posseduti nel grande schema del ritorno della potente divinità sumera Gozer, attraverso i suoi succubi Zuul il Guardia di Porta e Vinz Clortho il Mastro di Chiavi.

 

ghostbusters 1984 Slimer

 

Cosa c’entri poi in tutto questo un Uomo della Pubblicità dei Marshmallow alto 40 metri è uno degli aspetti più incredibili del film…

Ghostbusters è uno di quei miracoli cinematografici che nascono grazie ad un equilibrio perfetto, e probabilmente impensabile alla vigilia, tra script, improvvisazione, genio e pianificazione.

 

 

Se per gli effetti speciali non si poteva sgarrare di un millimetro dagli storyboard, con un lavoro egregio da parte del team tecnico che ci regala dei risultati ancora oggi gradevoli, è nelle parti prettamente comiche che partono i fuochi d’artificio.

Gag trascinanti, battute fulminanti e slapstick calibratissimo: l’opera di Reitman libera il potenziale comico di ogni attore e lo lascia a briglia sciolta quel tanto che basta a rendere l’atmosfera unica e “spontanea” nel suo essere comunque un film confezionato in modo magistrale.

 

 

Non soltanto: l’umorismo di questo film è uno tra i più intelligenti, intransigenti e adulti… che non a caso è rimasto unico, anche rispetto ai suoi sequel/reboot.

Ci sono scene favolose, tipo Tully posseduto con violenza in background mentre i ricchi se la spassano, che meriterebbero di stare nelle antologie assieme ad altre più famose… tipo tutte quelle di Venkman.

 

 

 

L’eredità dei Ghostbusters

A distanza di tanti anni Ghotbusters non ha perso un grammo della sua efficacia: certo, qualche effetto visivo è datato, ma sfido a trovare un film più piacevole da vedere e rivedere di questo: ci sono brividi e risate, genialate e macabro, una trama esile ma mille trovate buffonesche e adulte.

Quella che sembra una commedia dalla base sgangherata è una macchina fracassona intelligente che non sbaglia un colpo, e non c’entra nulla la nostalgia: furono gli stessi critici dell’epoca a riconoscere agli Acchiappafantasmi uno strano mix, quel famoso “non so che” cinematografico che rende tutto speciale.

Solo dopo il successo planetario del film, che generò mechandising e prodotti collaterali, uscirono fuori centinaia di aneddoti come le riprese in economia fatte senza permessi a New York, le tute da aviatori modello CWU 27/P (e non da pompieri come si potrebbe pensare!) usate perché economiche rispetto a delle tute futuristiche… insomma, il classico stratagemma per alimentare il mito.

Vero o meno, c’è da dire che in più di una sequenza si nota qualche sbavatura tecnica.

Eppure, nulla di tutto questo toglie il valore assoluto del film e il piacere della visione che anzi, cresce ogni volta a differenza di moltissimi altri illustri colleghi di celluloide.

 

 

La colonna sonora con il trascinante motivo cantato da Ray Parker Junior ha di certo contribuito a rendere irresistibile e memorabile il successo del film.

 

“If there’s something strange in the neighborhood… who ya gonna call??”

 

Poco importa, nel tripudio generale, sbandierare che abbia ricevuto due nomination all’Oscar: una per i migliori effetti speciali e l’altra proprio per la miglior canzone originale, naturalmente il tema di Ray Parker Jr. che ancora oggi spacca di brutto.

Come giustamente scrisse Roger Ebert, Ghostbusters è

uno scontro frontale fra due mondi come il blockbuster con effetti speciali e la commedia intelligente con dialoghi furbi.

 

Questo sembrava strambo nel 1984, ma c’è da dire anche ancora oggi è raro trovare un buon connubio tra i due.

Laddove  i grandi effetti possono letteralmente distruggere una commedia, perché hanno bisogno di pianificazione minuziosa e ammazzano la spontaneità e l’improvvisazione, qui i due universi hanno flirtato come solo il vecchio dr. Venkman sa fare… e con esiti migliori dei suoi approcci con Dana.

Ghostbusters è una lezione su come gli effetti visivi dovrebbero essere sempre al servizio degli attori, prima ancora che della storia, senza prendere tutto il palcoscenico, perlomeno in una commedia.

E se il prestigioso Hollywood Reporter si chiese, all’uscita, se il film fosse digeribile al pubblico abituato alle commedie sciocche stile National Lampoon e dei  comici del Saturday Night Live, fu prontamente smentito dal botteghino.

 

 

Insomma, il film riesce pure a ribaltare l’assioma secondo cui più soldi spendi, meno risate produci (facciamo un esempio italiano? Roberto Benigni) e ci regala una sequenza di battute e situazioni memorabili di cui anche solo la metà farebbe la fortuna di altre pellicole.

In attesa dell’ennesimo rewatch, voi nel frattempo non incrociate i flussi!