Facebook ha bannato Roger Stone, lobbista caduto in disgrazia ed ex campaign manager di Trump

Nella giornata di ieri, Facebook ha annunciato di aver eliminato tutti gli account social associati a Roger Stone, ex campaign manager di Donald Trump e, forse, la persona che più ha influito sulle sue ambizioni presidenziali.

Facebook ha accusato Roger Stone di avere promosso e usato un network di account falsi e pagine appositamente create per manipolare gli algoritmi del social durante le presidenziali del 2016.  Peraltro questa rete di “account marionetta” avrebbe legami anche con il movimento Proud Boys, organizzazione creata dal co-fondatore di VICE Magazine Gavin McInnes.

Stone è una vittima illustre dell’ultima campagna di Facebook contro la disinformazione di destra.

In totale Facebook ha rimosso 54 account e 50 pagine, a cui si aggiungono altri 4 account su Instagram. Tutte le pagine in questioni sono accusate di “inauthentic behavior“, ossia di essere gestite da un numero ristretto di persone, simulando una rete più vasta, con lo scopo di portare avanti campagne di disinformazione coordinate.

 

 

Ad esempio, gli account agivano impersonando residenti di un preciso Stato, come la Florida, commentando sistematicamente sotto ai post di determinate pagine e articoli, in modo da alimentarne artificialmente il traffico.

Facebook ha spiegato di aver individuato il network, e di averlo collegato a Roger Stone e i suoi collaboratori, dopo un’approfondita indagine sul tentativo dell’organizzazione Proud Boys di tornare attiva sul social network — nonostante faccia parte dei movimenti banditi a vita.

 

Chi è Roger Stone

Roger Stone è uno dei personaggi più machiavellici e famigerati di Washington D.C. Nonostante ciò, o proprio per ciò, è anche uno dei personaggi più affascinanti della politica americana.

Quando Stone era soltanto uno studente poco più che ventenne, il suo nome finì agli oneri della cronaca durante il caso Watergate, lo scandalo che costò la Presidenza a Richard Nixon. Questo perché, fingendosi il rappresentante di una fantomatica lega dei socialisti americani, aveva fatto una donazione al principale rivale di Nixon alle primarie repubblicane. In realtà il movimento non esisteva, e la donazione fu fatta soltanto per dare impasto alla stampa la prova (fabbricata) che il politico avversario fosse un comunista.

 

Richard Nixon se lo è perfino tatuato sulla schiena.

 

Un trucchetto che ben racconta il resto della carriera di Roger Stone, fatta di imbrogli, menzogne e illazioni. Ben presto Stone passò dal lavorare per la politica alla parte opposta della barricata, fondando uno studio di Lobbying assieme a Paul Manafort —che come lui, molti anni dopo, divenne campaign manager di Trump.

Nella sua vita ha fatto avanti e indietro tra comitati per l’elezione dei politici (tutti rigorosamente repubblicani) e le agenzie di lobbismo. Ma è con Trump che il suo nome è tornato alla ribalta occupando, suo malgrado, anche le pagine della cronaca giudiziaria. A febbraio è stato condannato a 3 anni 4 mesi di carcere.

 

 

Stone è finito al centro del cosiddetto Russiagate: sarebbe stato proprio lui a fare da tramite con WikiLeaks per conto della campagna per l’elezione di Donald Trump nel 2016. L’accusa è quella di aver cospirato per ottenere informazioni compromettenti contro Hillary Clinton. In realtà in carcere ci è finito per aver mentito sotto giuramento e cercato di intralciare la giustizia.

In Italia Roger Stone è diventato noto grazie ad un documentario di Netflix interamente dedicato alla sua persona: “Get Me Roger Stone“.

Ora, dopo essere caduto in disgrazia, potrebbe anche cadere nel dimenticatoio. In passato il deplatforming si era già dimostrato particolarmente efficace nei confronti delle personalità di estrema destra più controverse. Vi ricordate ad esempio di Milo Yiannopoulos? Ecco, appunto.

Stone ha respinto le accuse di Facebook e ha annunciato che intende portare il social in tribunale.

 

 

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