Ennio Morricone ci ha lasciati, ma non la sua musica: classica, pop e, soprattutto, le colonne sonore, centinaia, che hanno cambiato la storia del cinema.
Ennio Morricone si è spento, il 6 luglio 2020. Nato il 28 novembre 1928, aveva 91 anni. Quando una grande personalità ci lascia è sempre un dispiacere, ma nel suo caso, così come quando abbiamo appreso della morte di David Bowie e Little Richard, il dolore è forse maggiore. I musicisti, più di tutti, sembrano in contatto con un altrove, con il mistero o, per chi crede, il divino.
Ennio Morricone era un uomo di fede e tra le sue frasi celebri, molto citata in queste ore, c’è: “Se in origine eravamo dei suoni, mi pare bello pensare che torneremo ad esserlo”. Non tutti entrano in comunicazione con il divino, ma, se proprio dovessimo dare un suono alla voce di Dio, ce la immaginiamo molto simile a Gabriel’s Oboe, brano composto dal Maestro per il film The Mission, di Roland Joffé (che non a caso parla anche del rapporto con la religione).
Mattiniero, essenziale, per alcuni brusco nella sua schiettezza, Morricone è stato un artista pop, nell’accezione più positiva possibile dell’aggettivo “popolare”. Dagli arrangiamenti di canzoni come Sapore di sale e Se telefonando, fino alle colonne sonore dei film di Sergio Leone, che gli hanno donato fama internazionale, tutti, a un certo punto delle nostre vite, siamo entrati in contatto con le note e il talento del Maestro. La sua vita invece l’ha passata, con accanto la moglie Maria Travia (sposata nel 1956), al continuo inseguimento del suono (la sua autobiografia, pubblicata nel 2016, si intitola appunto Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita).
Morricone aveva talmente chiaro tutto nella sua mente, da aver persino scritto di suo pugno il proprio necrologio: senza smentirsi, ha scelto di fare un funerale privato, perché, parole sue, “non voglio disturbare”. Un addio in silenzio, senza folle: a riempire quel vuoto ci pensa la sua musica, quella sì, pronta a riempire molte altre vite.
Il calcio, gli scacchi e la musica
Chi ha difficoltà con i numeri dice che la matematica è fredda, invece, come ci insegna anche Paperino in quel piccolo capolavoro che è il corto animato Paperino nel mondo della matemagica (1959), è alla base anche di cose apparentemente astratte come la musica. Ennio Morricone aveva chiaramente, oltre al grandissimo talento, anche una mente matematica, e la prova è che è stato un campione di scacchi.
Non solo: ha anche giocato nelle giovanili della Roma, la sua squadra del cuore, guadagnandosi il soprannome di “Il Pistolero”. È incredibile come questo abbia predetto una parte molto importante del futuro del compositore che ha creato, e reso grande, insieme a Sergio Leone il genere “spaghetti western”.
Più che le pedine e il pallone potè però la musica: la passione per le note ha – per fortuna di noi tutti – vinto ed Ennio Morricone si è iscritto al Conservatorio di Santa Cecilia, a Roma. Qui ha studiato con Goffredo Petrassi (a cui oggi è dedicata una sala all’Auditorium Parco della Musica, dove il discepolo ha diretto molti concerti e partecipato a diverse edizioni della Festa del Cinema), diplomandosi in tromba e composizione. Il resto è leggenda.
Gli arrangiamenti per Mina e molti altri
Dal 1946 Morricone ha scritto più di 100 brani classici, ma è con gli arrangiamenti per canzoni interpretati da artisti come Mina, Gino Paoli ed Edoardo Vianello che è cominciata la sua fortuna: sono suoi quelli di Se telefonando, Sapore di sale, Il mondo e Abbronzatissima, brani entrati nella storia della musica leggera italiana. A livello internazionale ha lavorato inoltre con artisti come il trombettista jazz Chet Baker e il cantante Paul Anka.
È però la sua carriera di trombettista in varie orchestre romane, cominciata non appena preso il diploma, ad aver fatto girare il suo nome nel mondo dello spettacolo. Parallelamente agli arrangiamenti di musica leggera, comincia quindi a scrivere per il cinema nel 1955: la sua prima colonna sonora è quella di Il federale, di Lucinano Salce, nel 1961. Da lì ne sarebbero arrivate centinaia, per un totale di più di 500.
Il cinema e la collaborazione con Sergio Leone
Quando si dice il destino: Ennio Morricone e Sergio Leone sono stati compagni di scuola alle elementari. Il soprannome del Maestro quando giocava a calcio era “Il Pistolero”. Tutto sembrava anticipare la nascita degli spaghetti western. Quando gli ex compagni di classe hanno realizzato insieme Per un pugno di dollari (1964), Morricone aveva già scritto 15 colonne sonore (per i film di, tra gli altri, Lina Wertmüller, Lucio Fulci e Bernardo Bertolucci), ma è grazie al western all’italiana che il suo nome è diventato amatissimo e noto in tutto il mondo.
Durante le interviste si arrabbiava se qualcuno gli citava soltanto il lavoro con Leone, che è in effetti è stato una piccola parte della sua carriera, ma è innegabile che le sue note, unite all’occhio di Leone e a quelli di ghiaccio di, un allora sconosciuto Clint Eastwood, abbiano contribuito in modo fondamentale alla costruzione del suo mito.
Le sue colonne sonore, che uniscono agli strumenti anche il suono della vita reale, dal rumore degli zoccoli dei cavalli a ululati che ricordano quelli dei coyote, hanno reso grandissimo il cinema di Leone, che senza le sue note non sarebbe stato altrettanto suggestivo, e contribuito a formare intere generazioni di nuovi registi e musicisti, Quentin Tarantino e Hans Zimmer, su tutti. La musica di Morricone, esattamente come la fotografia dei grandi artisti della luce, ha cambiato il modo di fare cinema, inventando un linguaggio nuovo. Anche se lui, come dimostra anche una lezione tenuta al Centro Sperimentale di Cinematografia (disponibile sul canale YouTube della scuola) negli anni ’80, diceva che un film, se è davvero un buon film, dovrebbe reggersi sulle sue gambe anche senza utilizzare la musica.
La Trilogia del Dollaro, C’era una volta il west e C’era una volta in America
La Trilogia del Dollaro, composta dal già citato Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) rappresenta la nostra moderna mitologia: dagli dei dell’antica Roma siamo passati ai pistoleri che, in una Spagna spacciata per west americano, si sfidano in un triello. Il brano composto per quella scena, che vede riunite insieme le incredibili facce di Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef, è uno dei più famosi di tutta la sua carriera, insieme ovviamente a Estasi dell’oro: talmente amato da essere usato dai Metallica, ancora oggi, come musica introduttiva ai loro concerti.
Ma tutte le colonne sonore scritte per Leone sono memorabili: l’arrivo alla stazione di Jill (una strepitosa Claudia Cardinale) in C’era una volta il west (1968) è una delle scene più belle di tutta la carriera del regista e non sarebbe la stessa senza la musica di Morricone. Il brano Sean Sean (dal nome del personaggio John H. “Sean” Mallory, interpretato da James Coburn) di Giù la testa (da noi spesso storpiato in “scion scion”) è un altro pezzo indimenticabile, così come quella di C’era una volta in America (1989), che segue la crescita di Noodles, interpretato da adulto da Robert De Niro.
Da Dario Argento a Verdone, il lavoro con i grandi del cinema italiano
Non soltanto Leone dicevamo: nella sua carriera Ennio Morricone ha lavorato con molti dei più importanti registi italiani. Oltre al già citato Fulci, ha composto le musiche per i film di altri maestri dell’horror, come Mario Bava, per cui fece Diabolik (1968), a Dario Argento, per cui ha musicato la Trilogia degli animali (L’uccello dalle piume di cristallo, 1970, Il gatto a nove code, 1971, 4 mosche di velluto grigio, 1971), La sindrome di Stendhal (1996) e Il fantasma dell’Opera (1998).
Sue anche le colonne sonore di: I pugni in tasca, esordio del 1965 di Marco Bellocchio (a cui seguì quella di La Cina è vicina, 1967), Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini, La battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo, il lavoro con Marco Ferrerri, Giuliano Montaldo, Mauro Bolognini, Damiano Damiani, Mario Monicelli, fino alle collaborazioni con Carlo Verdone, con cui ha lavorato, grazie proprio a Sergio Leone, a Un sacco bello (1980) e Bianco, Rosso e Verdone (1981).
Dopo quella con Leone le collaborazioni più importanti sono però state sicuramente quelle con Elio Petri e Giuseppe Tornatore. Riguardo il primo Morricone amava raccontare questo aneddoto: quando si incontrarono per parlare del film Un tranquillo posto in campagna (1968), Petri gli disse che quella sarebbe stata lo loro unica pellicola insieme, perché gli piaceva avere un compositore diverso per ogni nuova storia. Invece poi lo richiamò per tutti i suoi film successivi: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e La classe operaia va in paradiso (1971), entrambi con protagonista Gian Maria Volonté, La proprietà non è più un furto (1973), Todo modo (1976), Le mani sporche (1978, sceneggiato tv in tre episodi) e Le buone notizie (1977). Per quella di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto Morricone voleva qualcosa di grottesco e raccontava di aver inserito il suono di una pernacchia nel tema principale.
Di Tornatore ha musicato invece 11 film, da Nuovo Cinema Paradiso (1988, Oscar al miglior film straniero), a Una pura formalità (1994) e La leggenda del pianista sull’oceano (1998), ma è proprio la scena finale della loro prima collaborazione a essere diventata una delle più famose della carriera di entrambi. La faccia piena di gioia del piccolo Salvaore, mentre guarda scorrere sullo schermo di una sala cinematografica tutti i baci tagliati della censura, è un ricordo indelebile per tutti gli appassionati di cinema.
Malick, Carpenter, De Palma e il lavoro con i registi internazionali
Non soltanto cinema italiano: Morricone ha lavorato moltissimo anche con registi stranieri. Uno dei suoi primi film fuori dalla penisola è stato L’avventuriero (1967), di Terence Young, Gli avvoltoi hanno fame (1970) di Don Siegel, ancora con Eastwood, e il bellissimo I giorno del cielo (1978) di Terrence Malick, secondo film del regista texano, con protagonista un giovanissimo Richard Gere, in cui se l’occhio di Malick fa danzare l’erba, l’orecchio di Morricone la fa cantare.
Altro capolavoro la colonna sonora di La cosa (1982) di John Carpenter: una delle più inquietanti della sua carriera. E occhio che questo lavoro, insieme alla neve, torneranno più avanti. Citiamo di nuovo The Mission di Roland Joffé e proseguiamo con quella di The Untouchables – Gli intoccabili (1987) di Brian De Palma, altro lavoro fondamentale. La scena sulla scalinata della stazione di Chicago è ormai un classico. Continuiamo con Assassino senza colpa? (1987) di William Friedkin, Frantic (1988) di Roman Polański, Légami! (1990) di Pedro Almodóvar, Il lungo silenzio (1993) di Margarethe von Trotta, Wolf – La belva è fuori (1994) di Mike Nichols e U Turn – Inversione di marcia (1997) di Oliver Stone.
Quentin Tarantino ed Ennio Morricone: un corteggiamento durato 20 anni
Tra i tanti autori stranieri con cui ha lavorato, nessuno lo ha amato, celebrato, studiato e cercato più di Quentin Tarantino. Fin dai primi anni ’90 il regista americano ha parlato del suo amore per i film di Sergio Leone, dell’horror all’italiana di Fulci, Bava e Argento, delle pellicole di Corbucci. Tutte avevano una cosa in comune: la musica di Morricone.
Dopo aver usato suoi brani preesistenti in Kill Bill (2003), Bastardi senza gloria (2009, per cui aveva chiesto a Morricone di scrivere la colonna sonora, ma, per problemi di tempo, non si fece nulla) e Django Unchained (2012), finalmente Tarantino è riuscito a lavorare con Morricone per The Hateful Eight (2015). Vi ricordate quando vi abbiamo detto di tenere a mente la colonna sonora di La cosa? Ebbene tre brani scartati da Carpenter sono finiti proprio nel film di Tarantino, insieme a musica nuova. Non è quindi forse un caso che il regista abbia deciso di aprire The Hateful Eight proprio con una spettacolare scena in mezzo alla neve.
Vincitore di numerosi premi nel corso della sua carriera (3 Grammy, 4 Golden Globes, 6 BAFTA, 10 David di Donatello, 11 Nastri d’Argento, un Leone D’Oro alla carriera, a cui si aggiungono oltre 70 milioni di dischi venduti), Morricone prima non aveva inspiegabilmente mai vinto un Oscar per la migliore colonna sonora (nel 2007 aveva ottenuto quello alla carriera): finalmente, proprio per The Hateful Eight, nel 2016 è riuscito a togliersi anche questa soddisfazione.
L’affetto tra i due è stato suggello anche dalla cerimonia in onore per la stella dedicata a Morricone sulla Hollywood Walk of Fame (la numero 2574), avvenuta il 26 febbraio 2016: in quell’occasione c’era proprio Tarantino a fargli da presentatore. Quella stella potrà anche sbiadirsi a furia di essere calpestata, ma per fortuna lo stesso non succederà alle note del Maestro che, dalla sua casa nel quartiere Trastevere di Roma, fino ai quattro angoli del mondo ha brillato come solo i grandissimi riescono a fare.