Uno studio scopre perché alcune parole si ricordano con più facilità di altre: i nostri cervelli usano strategie simili a quelle dei motori di ricerca per memorizzare parole e ricordi.
Combinando test di memoria, registrazioni delle onde cerebrali effettuati su pazienti con epilessia e volontari sani, sondaggi di miliardi di parole pubblicati in libri, articoli di notizie e pagine di enciclopedia su Internet, i ricercatori hanno mostrato come il nostro cervello organizzi migliaia di parole, ma anche i ricordi delle esperienze passate, nella memoria.
Lo studio, condotto dal National Institutes of Health (NIH) suggerisce anche che i nostri cervelli possono usare le strategie simili a quelle adottate dai motori di ricerca per ricordare parole o esperienze.
Abbiamo scoperto che alcune parole si ricordano meglio di altre. I nostri risultati supportano l’idea che i nostri ricordi siano collegati a reti neurali e che i nostri cervelli cerchino questi ricordi, proprio come i motori di ricerca rintracciano le informazioni su Internet.
Ha detto Weizhen (Zane) Xie, Ph.D., psicologo cognitivo e post-doc presso l’Istituto Nazionale di Disturbi neurologici e ictus (NINDS), che ha guidato lo studio pubblicato su Nature Human Behaviour.
Speriamo che questi risultati possano essere utilizzati come una tabella di marcia per valutare la salute della memoria e del cervello di una persona.
L’occasione per eseguire lo studio è nata dall’esigenza di studiare un tipo di epilessia che non risponde ai farmaci.
L’occasione per eseguire questo studio è nata da un’altra esigenza e cioè quella di osservare e capire di più la malattia di pazienti con un tipo di epilessia che non risponde ai farmaci. Alcune di queste persone volontarie si sono sottoposte a un periodo di osservazione ospedaliera presso il Centro clinico del NIH con elettrodi impiantati chirurgicamente e progettati per rilevare i cambiamenti nell’attività cerebrale con lo scopo di comprendere di più sull’origine delle convulsioni. Questa stessa situazione però è stata contemporaneamente usata per comprendere anche il funzionamento di altre capacità cerebrali.
Il nostro obiettivo è quello di trovare ed eliminare la fonte di questi attacchi dannosi e debilitanti.
Ha dichiarato il dott. Zaghloul, neurochirurgo che ha seguito i pazienti che continua:
il periodo di monitoraggio offre anche una rara opportunità di registrare l’attività neurale che controlla altre parti della nostra vita. Con l’aiuto di questi pazienti volontari siamo stati in grado di scoprire alcuni dei meccanismi che ci permettono di ricordare.
I test di memoria sono stati originariamente progettati per valutare i ricordi episodici o le associazioni (chi, cosa, dove e come) attività che facciamo con le nostre esperienze passate. La malattia di Alzheimer e altre forme di demenza spesso distruggono la capacità del cervello di creare questi ricordi.
Per studiare come i circuiti neurali memorizzino i ricordi, ai pazienti sono state mostrate coppie di parole, come “mano” e “mela”, da un elenco di 300 nomi comuni. Pochi secondi dopo è stata mostrata una delle parole, ad esempio “mano”, ed è stato chiesto di ricordare la parola con cui era accoppiata (“mela”).
Quando il dott. Xie e i suoi colleghi hanno riesaminato i risultati del test, hanno scoperto che i pazienti hanno ricordato con successo alcune parole più spesso di altre, indipendentemente dal modo in cui le parole erano state abbinate. In effetti, delle 300 parole usate, si è potuto creare una sorta di classifica e complessivamente le prime cinque avevano in media circa sette volte più probabilità di essere richiamate con successo rispetto alle ultime cinque in fondo alla classifica.
All’inizio, il dott. Zaghloul e il team furono sorpresi dai risultati e anche un po’ scettici: i pazienti ricordavano meglio parole meno comuni rispetto a quelle più comuni.
Per molti anni gli scienziati hanno pensato che riuscire a richiamare una parola accoppiandola correttamente significasse che il cervello riusciva a creare un legame tra le due durante l’apprendimento e un processo simile avrebbe potuto potrebbe spiegare perché alcune esperienze sono più memorizzabili di altre. Inoltre, era difficile spiegare perché parole come “carro armato”, “bambola” e “stagno” venissero ricordate più spesso di parole più comuni come “strada”, “divano” e “nuvola”.
Ma ogni dubbio è stato rapidamente spazzato via quando il team ha visto risultati molto simili nei 2.623 volontari sani che sono stati sottoposti allo stesso test di accoppiamento delle parole.
La conclusione quindi sembra essere che ci siano delle parole intrinsecamente più facili da ricordare per il nostro cervello rispetto ad altre.
Il dott. Zaghloul ha affermato:
questi risultati forniscono anche prove di come il cervello controlli la memoria e crediamo che il meccanismo possa essere valido anche per le persone al di fuori dello studio.
I nostri ricordi svolgono un ruolo fondamentale nel determinare chi siamo e come ci sentiamo, ma ci sono ancora molte cose che non comprendiamo su come esattamente funzioni il nostro cervello.
Una delle maggiori sfide dello studio della memoria per esempio è capire come mai persone diverse ricordano le stesse cose in modi differenti.
Una delle maggiori sfide dello studio della memoria per esempio è capire come mai persone diverse ricordano le stesse cose in modi differenti, caratteristica per esempio che rende difficile per i ricercatori confrontare le prestazioni delle persone nei test di memoria.
È più di un secolo che si cerca il modo di unificare questa variabilità: se fossimo in grado di prevedere in anticipo ciò che le persone potrebbero ricordare e capire come il nostro cervello funzioni, allora potremmo anche essere in grado di sviluppare modi migliori per valutare la salute generale del cervello di qualcuno.
Ma la storia non finisce qui, ma anzi si aggiunge un ulteriore pezzo del puzzle grazie all’incontro a una festa tra il dr. Xie e la dott.ssa Wilma Bainbridge.
Ma la storia non finisce qui, ma anzi si aggiunge un ulteriore pezzo del puzzle grazie all’incontro a una festa tra il dr. Xie e la dott.ssa Wilma Bainbridge, Ph.D., professoressa associata nel dipartimento di psicologia dell’Università di Chicago, che all’epoca (circa due anni fa) lavorava come post-doc presso il National Institute of Mental Health del NIH (NIMH).
Anche la Bainbridge stava cercando di affrontare questo stesso problema studiando se alcune cose che vediamo sono più facilmente memorizzabili di altre.
Ad esempio, in una serie di studi su oltre 1000 volontari sani, la dott.ssa Bainbridge e i suoi colleghi avevano scoperto che alcuni volti sono più facilmente memorizzabili di altri.
La stessa Bainbridge racconta:
la nostra incredibile scoperta è che ci sono alcune immagini di persone o luoghi che sono intrinsecamente più facilmente memorizzabili per tutti, anche se ognuno di noi ha visto cose diverse nelle sua vita. Se la memorizzazione delle immagini è così potente, ciò significa che possiamo sapere in anticipo cosa è probabile che le persone ricordino o dimentichino.
Tuttavia, questi risultati erano limitati alla comprensione di come funzionano i nostri cervelli quando riconosciamo qualcosa.
Alla festa, il dott. Xie e Bainbridge si chiedevano se questa idea potesse essere applicata anche a come si richiamano i ricordi, esattamente lo stesso argomento che stava studiando il team del dottor Zaghloul.
Se fosse stato così, cosa ci avrebbe potuto dire questa evidenza su come il cervello ricorda le nostre esperienze passate?
Il Dr. Xie ha proposto che i principi di una teoria consolidata, nota come modello di ricerca della memoria associativa (SAM), possano aiutare a spiegare i loro risultati iniziali ottenuti sui pazienti con epilessia e sui controlli sani.
Abbiamo pensato che un modo per comprendere i risultati dei test delle coppie di parole era applicare le teorie di rete usate per spiegare come il cervello ricorda le esperienze passate. Dobbiamo pensare che i ricordi delle parole assomiglino a una rete o alle mappe dei terminal dell’aeroporto: le parole più memorizzabili dovrebbero apparire come punti grandi e molto trafficati collegati a punti più piccoli che rappresentano invece le parole meno memorizabbili.
Ha spiegato il dott. Xie.
Ma cosa collega le parole?
Per risolvere questo problema, i ricercatori hanno scritto un programma ad hoc di modellizzazione computerizzata che ha verificato se determinate regole per definire il modo in cui le parole sono collegate possono prevedere i risultati della memorizzabilità che hanno osservato nello studio.
Per scrivere le regole i ricercatori si sono basati su studi linguistici e hanno analizzato migliaia di frasi da libri, articoli e pagine di Wikipedia.
Inizialmente, hanno scoperto che idee apparentemente semplici per collegare le parole non potevano spiegare i loro risultati. Ad esempio, le parole più memorizzabili non apparivano semplicemente più spesso nelle frasi rispetto a quelle meno memorizzabili. Allo stesso modo, non sono riusciti a trovare un legame tra la “concretezza” relativa della definizione di una parola e la sua facilità di memorizzazione.
Una parola come “falena” non era più facile da ricordare rispetto a una parola come “padrone” con significato più astratto.
Sono invece riusciti a spiegare i loro risultati osservando che le parole erano più facilmente memorizzabili se semanticamente simili o collegate ai significati di altre parole usate in lingua inglese.
Quando i ricercatori hanno inserito i dati di somiglianza semantica nel modello al computer, hanno indovinato correttamente quali parole erano più facilmente memorizzabili. Al contrario, ciò non è accaduto quando hanno usato dati sulla frequenza delle parole o sulla concretezza.
Ulteriori risultati supportano l’idea che le parole più memorizzabili rappresentino punti molto trafficati della rete di memoria del cervello.
I pazienti con epilessia hanno correttamente ricordato le parole più memorizzabili anche più velocemente di altre.
Le registrazioni elettriche del lobo temporale anteriore dei pazienti, nella parte del centro linguistico, hanno mostrato che il loro cervello riproduceva più velocemente le “firme neurali” dietro quelle parole prima di quelle meno memorizzabili. Questo quindi significa anche che le parole più memorizzabili sono più facili da trovare per il cervello.
Sai quando digiti le parole in un motore di ricerca e ti mostra un elenco di ipotesi molto rilevanti? Sembra che il motore di ricerca stia leggendo la tua mente. Bene, i nostri risultati suggeriscono che il cervello abbia fatto qualcosa di simile quando ha cercato di ricordare una parola accoppiata e pensiamo che ciò possa accadere anche quando ricordiamo le nostre esperienze passate.
Ha concluso il dott. Xie.
Il team sta attualmente esplorando i modi per integrare i risultati e il modello al computer nello sviluppo di test di memoria per il morbo di Alzheimer e altre forme di demenza.