Facebook, un cavillo nelle policy esenta i negazionisti del cambiamento climatico dal fact-checking

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Facebook permette a chi nega i cambiamenti climatici di diffondere falsità, lo sostengono alcuni ricercatori. Tutto parte da un controverso e contestato editoriale impugnato come un’arma dai negazionisti.

Facebook è impegnata in una lotta senza quartiere contro la disinformazione? Può essere, ma chi nega i cambiamenti climatici è libero di diffondere le sue tesi. L’accusa dei ricercatori: «il social ha creato un cavillo per chiudere un occhio sulla disinformazione sul clima».

Anzi, Facebook starebbe «promuovendo e incitando la diffusione di disinformazione sul clima» usando le parole di Rober Brulle, sociologo del clima della Drexel University. Che continua così: «sono diventati il vettore della disinformazione sul clima, e dovrebbero venire considerati parzialmente responsabili per l’assenza di azioni contro i cambiamenti climatici».

L’anno scorso, riporta la newsletter Popular.info, Facebook aveva creato una task force sul clima: un gruppo di ricercatori e scienziati era stato incaricato di valutare la veridicità dei contenuti inerenti il clima diventati virali sulle piattaforme di Facebook. Un team terzo, con staff esterno al social.

Peccato che ora Facebook abbia deciso di dare ai suoi moderatori la possibilità di bypassare le decisioni della task force —accusano gli ambientalisti—, è sufficiente che un contenuto venga bollato come “opinione”.

Facebook, sempre secondo la tesi degli ambientalisti, avrebbe preso questa decisione dopo le pressioni della CO2 Coalition, un think tank accusato di essere foraggiato dalle lobby dei combustibili fossili.

 

Il casus belli

Il Washington Examiner lo scorso agosto aveva pubblicato un editoriale che accusava la stragrande maggioranza dei modelli sul clima di aver completamente toppato, prevedendo temperature più alte di quelle che sono poi state effettivamente registrate.

L’articolo presentava anche la firma di Pat Michaels, volto noto e alfiere dei negazionisti americani. Una versione dell’articolo è stata condivisa più di 2.000 volte su Facebook, facendo scattare l’interesse della task force sul clima. Morale? L’articolo era completamente falso, secondo gli esperti.

Da qui nasce la reazione della CO2 Coalition, che ha prontamente “impugnato” la decisione della task force con l’obiettivo di persuadere l’azienda a rivedere le sue politiche sugli argomenti inerenti al clima, bollando la posizione dei fact-checker come mera «divergenza di opinioni».

Missione compiuta, a settembre Facebook ha deciso di togliere il bollino “contenuto falso” dall’articolo di Pat Michaels. «È un pezzo d’opinione, non di cronaca», spiega il social.

Secondo gli ambientalisti, la CO2 Coalition avrebbe usato questo precedente per continuare a bombardare il social con contenuti mistificatori sul clima.

Andrew Dessler, uno degli scienziati della task force che aveva bollato l’articolo come falso, non ci sta: «è una str…», attacca, «abbiamo dato un feedback contrario a quel pezzo ed era meritato al 100%».

Dessler sostiene che una cosa siano le opinioni, legittime, sulle policy da adottare sul clima, altra cosa siano i fatti. «Dovremmo implementare una carbon tax, o sussidiare il nucleare, o non fare assolutamente nulla sul clima. Questi non sono fatti, sono opinioni sulle policy», ha detto.

«Ma tutto ciò che riguarda i fenomeni fisici, la salute del pianeta, gli effetti dell’uso del carbone sull’atmosfera, l’accuratezza nel tempo dei modelli climatici. Questi sono fatti, e sono o veri o falsi». Nessuna possibilità d’equivoco.

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