Settimana difficile per la Web Tax: gli USA si sono defilati dal confronto e hanno promesso nuovi dazi ai Paesi UE che si ostinano a voler introdurre la tassa.
Mercoledì, gli Stati Uniti hanno abbandonato il tavolo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) che si sta occupando di definire una tassazione globale con cui normare le grandi aziende del web.
Non solo, il segretario statunitense al Tesoro, Steven Mnuchin, ha cercato di intimidire i Ministri dell’Economia di Italia, Francia, Spagna e Regno Unito, promettendo ripercussioni qualora l’Europa si ostinasse a voler mettere le mani nelle tasche dei colossi della Rete.
Provare a portare avanti frettolosamente negoziazioni tanto complesse è una distrazione da questioni molto più importanti. Questo è un periodo in cui i governi di tutto il mondo dovrebbero concentrare la loro attenzione sul reagire ai problemi economici causati da Covid-19 […]
Gli Stati Uniti rimangono contrari alla tassazione dei servizi digitali e a simili misure unilaterali. Come abbiamo ripetutamente detto, se le nazioni dovessero scegliere di raccogliere o adottare simili tasse, gli Stati Uniti risponderanno con appropriate misure commisurate,
avrebbe scritto Mnuchin stando a quanto riportato dal Financial Times.
La posizione USA è stata, usando le parole del ministro francese Bruno Le Maire, una vera e propria “provocazione” che minaccia gli obiettivi concordati dai membri del G20. Proprio per questo motivo, la Commissione UE, pur manifestando la speranza che l’amministrazione Trump cambi idea, si è detta pronta a trovare autonomamente una soluzione.
La Web Tax proposta dall’OCSE si appoggia a due elementi fondamentali: permettere alle nazioni di trattenere una parte dei proventi relativi alle vendite effettuate sotto la loro giurisdizione nazionale e imporre una tassazione minima globale.
Se implementate, le due norme andrebbero a limitare il margine di guadagno delle grandi aziende del web – prevalentemente americane – e arginerebbe la differenza di tassazione che le grazia dalle normali regole di mercato. Per attirare i big del web, infatti, governi di tutto il mondo fanno i salti mortali per garantire agevolazioni straordinarie, cedendo a una concorrenza spietata.
Per prendere misura della situazione, basti sapere che in Italia il tax rate imposto a queste multinazionali è mediamente del 14,1 per cento, ben poca cosa se comparato al 22,5 applicato nella maggior parte dei casi.
Secondo alle stime di Bruxelles, la tanto agognata Web Tax porterebbe all’UE fino a 5 miliardi di euro all’anno, l’ideale per finanziare il Recovery Found e recuperare risorse utili a riprendersi dall’attuale crisi economica.
Nel frattempo, Robert Lighthizer, il rappresentate per il Commercio statunitense, ha annunciato di essere pronto ad avviare le procedure per vagliare la legittimità di un’ipotetica tassa europea sui servizi digitali, accusando l’UE di pratiche commerciali sleali.
Si tratta di uno scenario ricattatorio ben noto agli italiani: solo pochi mesi fa, il Bel Paese è stato “punito” per aver usato gli aiuti europei in supporto al consorzio aeronautico degli Airbus. Ne è conseguita una maggiorazione delle tasse d’importazione di alcuni prodotti Made in Italy, tra cui Parmigiano e mozzarella.
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