Linea verde su Marte: una scoperta utile per la calibrazione degli spettri delle lunghezze d’onda

linea verde

L’interazione tra la luce solare e l’ossigeno nell’atmosfera crea una particolare linea verde simile ad un’aurora terrestre nell’atmosfera di Marte.

Il bagliore verde avvistato dagli astronomi su Marte non è tanto diverso da un’aurora terrestre anche se i meccanismi che li generano sono diversi. La scoperta di questa linea verde attorno al pianeta ha conseguenze nello studio dei processi aurorali e per la calibrazione degli spettri delle lunghezze d’onda.

Gli astronomi sfruttando un trucco appreso dagli astronauti della ISS per osservare quella terrestre hanno utilizzato il Nadir e Occultation for MArs Discovery (NOMAD), a bordo dell’ExoMars Trace Gas Orbiter dell’ESA, dalla sua posizione guardando dritto nell’atmosfera di Marte verso l’orizzonte.

Il fenomeno è simile ad un’aurora terrestre perché prodotto delle stesse particelle ma i meccanismi sono diversi: l’aurora è prodotta da particelle cariche del vento solare che ionizzano gli atomi dell’atmosfera.

 

In questo caso quello a cui si assiste, invece, è un debole bagliore verde causato dall’interazione tra luce solare e ossigeno nell’atmosfera superiore.

 

Quando la radiazione solare colpisce l’atmosfera di Marte l’anidride carbonica si divide in monossido di carbonio e ossigeno e sono gli atomi di ossigeno i responsabili del bagliore verde.

Questo risultato ha conseguenze per lo studio dei processi aurorali e di bagliore nell’atmosfera: potrà essere utile per la calibrazione degli spettri delle lunghezze d’onda.

Il bagliore può essere notturno e si verifica quando gli atomi divisi dalla radiazione solare durante il giorno si ricombinano rilasciando la loro energia in eccesso sotto forma di fotoni. Il bagliore notturno era già stato osservato sia su Venere che su Marte, oltre che sulla Terra.

 

Quello osservato ora nell’atmosfera di Marte è il bagliore diurno, più difficile da osservare dato che la sua presenza è debole perché superata dalla luce del giorno.

 

La ricerca è stata pubblicata su Nature Astronomy.

 

 

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