Evoluzione del cervello: cacciare in paesaggi simili alla savana è stato cruciale

Vi siete mai chiesti come gli animali terrestri come gli umani abbiano avuto un’evoluzione del cervello che li ha portati a essere mediamente più intelligenti dei loro antenati acquatici? Possiamo ringraziare il terreno su cui camminiamo e, in particolare, la savana.

Il paesaggio irregolare del Delta dell’Okavango, ritratto nella foto di copertina, è un buon esempio del “paesaggio dei riccioli d’oro” in cui la capacità di pianificare si traduce in un enorme guadagno in termini di possibilità di sopravvivenza: ecco perché in breve la savana potrebbe aver aiutato l’evoluzione del cervello.

I ricercatori della Northwestern University hanno recentemente scoperto che paesaggi complessi, punteggiati di alberi, cespugli, massi e colline, avrebbero potuto aiutare gli animali che abitavano in quelle terre a sviluppare un’intelligenza maggiore rispetto ai loro antenati acquatici.

Rispetto alla vastità del mare aperto, la terra è piena di ostacoli e occlusioni.

Gli habitat possibili sulla terra potrebbero aver contribuito a dare vita a strategie di pianificazione.

Ci sono spazi che le prede possono usare per nascondersi, i predatori, d’altra parte, possono coprirsi per attacchi improvvisi. Gli habitat possibili sulla terra potrebbero aver contribuito a dare vita a strategie di pianificazione, piuttosto che a quelle basate sull’abitudine, per molti degli animali che abitavano e abitano tuttora questi paesaggi.

Ma i ricercatori hanno scoperto che non tutti i paesaggi contribuiscono in ugual modo a sviluppare queste capacità di pianificazione: habitat troppo “semplici” come terreni aperti o al contrario estremamente affollati come una fitta giungla, non creano vantaggi.

Tutti gli animali, a terra o in acqua, hanno avuto lo stesso tempo per evolversi, quindi perché in quelli terrestri si radunano la maggior parte di quelli più intelligenti?

Si è chiesto Malcolm MacIver della Northwestern, che ha guidato lo studio pubblicato su Nature.

E per chi subito pensa a delfini e balene bisogna puntualizzare che essi non rientrano nella categoria delle creature marine meno intelligenti, ma sono mammiferi terrestri che recentemente (in senso evolutivo) sono tornati in acqua.

MacIver è professore di ingegneria biomedica e meccanica presso la McCormick School of Engineering della Northwestern e professore di neurobiologia presso il Weinberg College of Arts and Sciences.

In precedenti lavori, MacIver ha dimostrato che quando gli animali hanno iniziato a invadere la terra 385 milioni di anni fa, hanno acquisito la capacità di vedere circa cento volte più lontano di quanto potessero in acqua.

MacIver ha ipotizzato che essere un predatore o una preda potendo vedere così tanto lontano avrebbe potuto richiedere una maggiore performance cerebrale rispetto alla caccia in acque aperte.

Tuttavia, le simulazioni hanno rivelato che sebbene sia necessario vedere più lontano per migliorare la capacità di pianificazione, questo non è sufficiente. Si tratta più di una combinazione di visione a lungo raggio e tipologia di paesaggi che hanno determinato questo stimolo per una maggiore evoluzione del cervello.

Abbiamo ipotizzato che spostarsi sulla terra abbia spinto l’evoluzione del cervello verso l’operazione cognitiva più difficile che ci sia: immaginare il futuro

ha detto MacIver.

Per testare questa ipotesi, MacIver e il suo team hanno sviluppato simulazioni computazionali per testare i tassi di sopravvivenza delle prede cacciate attivamente da un predatore in base a due diverse strategie decisionali: basate sull’abitudine (automatica, come l’inserimento di una password memorizzata) e basato su un piano (immaginando diversi scenari e selezionando quello migliore).

Il team ha creato un mondo semplice e aperto senza barriere visive per simulare un mondo acquatico. Quindi, hanno aggiunto oggetti di diversa densità per simulare la terra.

E un po’ come nei giochi di ruolo simulati, i ricercatori hanno visto cosa accadeva in questo mondo virtuale: nei semplici ambienti acquatici e terrestri esaminati nello studio, il tasso di sopravvivenza era basso sia per le prede che utilizzavano azioni basate sull’abitudine sia per quelle che avevano la capacità di pianificare. Lo stesso valeva per ambienti molto affollati, come barriere coralline e fitte foreste pluviali.

Quando invece le macchie di vegetazione e topografia sono intervallate da ampie aree aperte simili a una savana, le simulazioni hanno mostrato che la pianificazione comporta un enorme guadagno in termini di sopravvivenza rispetto ai movimenti basati sull’abitudine.

Poiché la pianificazione aumenta le possibilità di sopravvivenza, l’evoluzione avrebbe selezionato i circuiti cerebrali che hanno permesso agli animali di immaginare scenari futuri, valutarli e metterne in atto uno.

“È interessante notare”, ha osservato il professore che “gli studi di paleoecologia indicano che gli uomini abbiamo invaso paesaggi irregolari, simili a quelli evidenziati dal nostro studio, indicando probabilmente che l’intelligenza sviluppata ci permetteva di sfruttare con maggiore profitto l’ambiente in cui il pensiero strategico era determinante per la sopravvivenza.”

 

 

 

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