La recensione di The Vast of Night, interessante esordio alla regia di Andrew Patterson che ci propone un sci-fi in sala anni cinquanta che strizza, volutamente, l’occhio al tradizionale Ai Confini della Realtà, ma con un pizzico di autorialità in più. Dal 29 Maggio su Amazon Prime Video.
Chiamate telefoniche interrotte, segnali radio AM, nastri segreti dimenticati in biblioteca. Questi sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano l’esordio alla regia del regista Andrew Patterson, di cui vi parlo oggi con la recensione di The Vast of Night.
Presentato in anteprima allo Slamdance Film Festival del 2019, dove ha anche vinto il Premio del Pubblico, arriva su Amazon Prime Video il film sci-fi tributo ad un grande classico come Ai Confini della Realtà in una salsa ancora più pop e suggestiva.
Siamo alla fine degli anni ’50, potremmo quasi definirlo un crepuscolo di decennio, e nella tranquilla città di Cayuga (si, come quella Cayuga Productions di Rod Serling che ha proprio creato Ai Confini della Realtà) sembra procedere tutto come sempre. Questo almeno fino a quando la centralista Fay (Sierra McCormick), intenta a fare il suo turno di notte, non riceve una strana chiamata con un segnale mai sentito prima. Stranita dall’accaduto, decide di far ascoltare la registrazione al migliore amico Everett (Jake Horowitz), carismatico ed eccentrico DJ.
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Curioso come qualsiasi adolescente – o poco più – protagonista di questo genere, assaporando già sulla punta della lingua l’eccitazione dell’avventura, Everett decide di trasmettere il segnale, nella vana speranza che qualcuno lo riconosca e possa dargli qualche info in più.
Per quanto questo all’inizio possa sembrare solo una follia, un episodio di poco conto a cui due annoiati adolescenti di una fittizia cittadina del New Mexico stanno dando troppa importanza, arriva davvero la testimonianza di qualcuno all’appello del DJ. Billy è un veterano di guerra e quel segnale lo ha proprio sentito quando era nell’esercito, ma non appena l’uomo sta per scendere di più in succulenti dettagli… la chiamata misteriosamente si interrompe a causa di un blackout che fa sprofondare nelle tenebre l’intera città.
Ok, è ufficiale: qualcosa di strano, molto molto strano, sta accadendo.
Se avete mai giocato alla bellissima avventura grafica di Night School Studio, Oxenfree, preparatevi ad affrontare con The Vast of Night un viaggio molto simile tra inquietanti frequenze radio, segnali interrotti, nastri dimenticati e linee incrociate pronte a svelare segreti e nuovi mondi.
Come spesso accade in pellicole di questo genere, il “accade tutto in una notte” è il giusto escamotage per raccontare una storia fantastica, di genere sci-fi che sappia appassionare, divertire, un po’ spaventare, senza mai annoiare o far perdere l’attenzione dello spettatore.
Una pellicola dal sapore vintage e che ci riporta indietro nel passato quando il sci-fi aveva un gusto tutto nuovo
Andrew Patterson non solo confeziona un film coinvolgente, una pellicola dal sapore vintage e che ci riporta indietro nel passato quando il sci-fi aveva un gusto tutto nuovo, tutto diverso che, ora come ora, potremmo quasi definire ingenuo, ma forse proprio per questo anche più puro; gioca, si diverte, con una serie di virtuosismi di macchina che ci fanno perdere, in senso positivo, in un girotondo di sequenze ed immagini sempre più suggestive.
Parliamo di una pellicola che prende in prestito da diversi generi del cinema, oltre che dal fantascientifico, come l’horror dove ci ritroviamo piani sequenza con movimenti di macchina raso terra, dando quasi una sensazione amatoriale al film, per poi far evolvere il movimento in qualcosa di più pulito, stabile e sapiente.
La macchina da presa spesso indugia sui personaggi, gli avvolge, gli schiaccia e soffoca, amplificando il senso di inquietudine, stranezza e disagio che trasmette meravigliosamente il film, facendo provare un piacevole formicolio dietro alla schiena. E poi si cambia violentemente registro: la macchina diventa più frenetica, più veloce, quasi più violenta. Ci spiazza questo esordiente in trovate ed esercisti di stile che, però, non sono mai fine a se stessi ma hanno sempre uno scopo di narrazione ben preciso, sottolineando in modo assai più intenso quanto inteso dalla sceneggiatura.
Una sera di acerba estate, la stanza buia, una bella birra fresca in mano e si comincia il viaggio assieme a Fay ed Everett, interpretati dai giovani Sierra McCormick e Jake Horowitz che fin da subito entrano nel cuore degli spettatori.
La loro alchimia è deliziosa e risulta essere fin da subito coinvolgente. Bucano lo schermo e hanno un ritmo di botta e risposta davvero notevole. La loro interpretazione fa immergere completamente nell’atmosfera un po’ fantascientifica del film. Inoltre, accanto a loro ci sono due spalle che spiazzano completamente con due monologhi al limite del teatrale: Bruce Davis nel ruolo della voce dell’ex militare Billy e Gail Cronauer interprete, invece, di uno strano anziano che saprà intrattenerci, senza prendere neanche per un momento il respiro, con un lungo monologo di oltre dieci minuti.
Interessante è il montaggio usato all’interno del film, che sa alternare stacchi più decisi e violenti, segnando una narrazione più serrata, a tagli, invece, più morbidi ed accompagnati. Inizialmente si potrebbe rimanere spiazzati, ma poi ci si fa l’abitudine in fretta.
Il lavoro fatto sul sound design è suggestivo
Altro elemento interessante è sicuramente la componente sonora. Considerando che l’intera pellicola si muove sulla base di uno strano segnale che ci apre al mondo delle interferenze e frequenze radio, il tutto accompagnato da un sound disturbante che da la sensazione allo spettatore che per l’intero film ci sia un’interferenza continua che ha lo scopo di contribuire al mood creepy e angosciante, il lavoro fatto sul sound design è suggestivo.
Il senso di claustrofobia sul quale si muove quasi l’intera pellicola, viene amplificato dal lavoro compiuto sul sonoro, che agisce sul film quasi come se fosse un vero e proprio personaggio.
Certo, in quello che sembra essere l’esordio perfetto di un regista, qualcosa che scricchiola c’è sempre. Bisogna ricordare che il film è un omaggio fortemente dichiarato ad Ai Confini della Realtà e, per quanto alla fine il film risulta essere efficace e convincente, il fattore originalità non è certo la caratteristica più lusinghiera di questa pellicola.
Il film parte in modo eccelso. Un’apertura forte, quasi violenta, e che sa subito come prendere alla bocca dello stomaco. A lungo andare, però, una buona parte della tensione iniziale scende. La narrazione tende ad appoggiarsi più – forse troppo – sull’omaggio e su pretesti narrativi che, per quanto animino l’effetto nostalgia, sanno fin troppo di stantio e già visto.
A lungo andare, però, una buona parte della tensione iniziale scende
Il registro della narrazione gioca su quelle che erano le messe in scene tradizionali di un certo periodo, sul quale giocava e gioca tutt’ora anche l’horror, ovvero un essere umano più spaventato e suggestionato dall’irreale piuttosto che dal reale. Si ha sempre fin troppa paura del mostro sotto al letto e mai del vicino di casa… Ma poi, chissà perché, è proprio il vicino di casa l’unica vera minaccia.
In conclusione della recensione di The Vast of Night, possiamo dire che la pellicola di Patterson, pur nei suoi limiti narrativi, riesce ad essere coinvolgente. Fa di necessità virtù, sfruttando a proprio vantaggio e a vantaggio dell’atmosfera del film location anguste, movimenti di macchina serrati e opprimenti, un sound design e una colonna sonora presenti e angoscianti, riuscendo perfettamente a ricreare l’atmosfera di un film sci-fi old school.
Attraverso un virtuosismo tecnico degno di nota e la sana passione di ricreare un mondo, un genere, un modo di fare cinema ormai dimenticato, The Vast of Night riesce ad essere una piacevole e angosciante sorpresa.