La resistenza, un mondo governato dalle tenebre, dove viene presagita un’esperienza di vita indesiderabile o spaventosa… è un futuro distopico o la realtà del prossimo futuro? In merito a queste questioni così delicate, abbiamo coinvolto Elisabetta Di Minico, esperta e studiosa di distopia e traduttrice italiana de La Casa di Carta.
Il tema distopico ha, negli ultimi anni, riscosso un successo indiscutibile. Il termine stesso, fino a qualche tempo fa, era una parola solo racchiusa in un neologismo di nicchia, oggi è di pubblico dominio e talvolta persino abusato in maniera errata.
Ma sappiamo davvero cosa sia la distopia? Un po’ come tutte le cose dell’uomo, se la vediamo, la riconosciamo, ci abbiamo sicuramente riflettuto su e magari abbiamo anche una nostra idea specifica.
Senza dubbio, se dovessimo dare dei nomi dove la distopia è il cuore pulsante di quella determinata storia, penseremmo subito a 1984 di George Orwell, V for Vendetta di Alan Moore, Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood o alle serie Tv Black Mirror e La Casa di Carta di Netflix.
La distopia è un genere letterario, cinematografico e fumettistico che racconta dei “luoghi cattivi” (la parola deriva dal greco antico “δυς-τόπος”, ossia, appunto, “luogo cattivo”) e che ci trasporta in mondi da incubo a livello sociale, politico, economico ed ambientale.
La distopia è un genere che racconta i luoghi cattivi e che catapulta il mondo in realtà negative a livello sociale, economiche, politiche e ambientale
Ci troviamo in contesti dove la pubblicità è divenuta fisicamente invasiva, dove emanazioni del Grande Fratello osservano, desentimentalizzano e instillano odio e paura nelle vene dei cittadini, dove la realtà è massacrata da bombe nucleari, inquinamento o virus che si diffondono velocemente, dimezzando la popolazione.
La distopia non inventa, ma trae ispirazione dalla contemporaneità e dalla storia, teatralizzando ed estremizzando, in mondi lontani nel tempo e nello spazio, delle problematiche che sono già presenti nella nostra società.
In questo momento storico, ci siamo ritrovati a vivere in una distopia reale”, racconta la studiosa Elisabetta Di Minico, “una distopia definibile, forse, come medico-apocalittica perché combattiamo ormai da mesi contro un virus (più o meno) sconosciuto che, pur non avendo un’alta mortalità, ha comunque messo in ginocchio tutto il mondo.
In ogni parte del globo, i governi hanno dovuto adottare misure eccezionali, tra cui limitazioni delle libertà civili, chiusura dei confini e tracciamento di persone e spostamenti.
Presumibilmente, entro 12 mesi, supereremo l’emergenza pandemica, ma la società dovrà fronteggiare dei cambiamenti sociali ed economici più o meno gravi ed incisivi: potrebbero cambiare le nostre abitudini quotidiane, perfino quelle alimentari, le possibilità di viaggiare e di conoscere, l’arte, il lavoro, il cinema e così via.
Ho fede, però, che l’uomo sarà in grado di evolversi e adattarsi a queste novità. In parallelo con la distopia medico-apocalittica, però, potrebbe peggiorare anche la distopia politica che già da qualche anno, in particolare dal referendum sulla Brexit e dall’elezione di Trump, sta minacciando le democrazie mondiali e la coesione all’interno dei vari stati.
Possiamo già contare numerose e dolorose prove di questa tendenza. Il primo ministro ungherese Viktor Orban, ad esempio, si è fatto, praticamente, eleggere dittatore, e similmente ha fatto lo sloveno Janez Janša. In tanti paesi, sono aumentati le violenze e gli atti di discriminazione contro cittadini di origine asiatica.
Negli Stati Uniti, un’altissima percentuale di morti per Covid19 fa parte delle classi più povere e etnicamente marginalizzate della popolazione. A Chicago, il 70% delle vittime è afroamericana, così come in Louisiana.
Nel futuro post-pandemico si dovrà scegliere se rendere il mondo un’utopia per pochi o per tutti
L’elenco potrebbe essere infinito.Tutte queste fin troppo visibili ingiustizie razziali, economiche e governative potrebbero portare ad una rapida involuzione antidemocratica in molti paesi ed è per questo che una resistenza più che forte dovrà essere la base di alcune realtà.
Elisabetta continua così: “Nel futuro post-pandemico dovremo scegliere se rendere il mondo un’utopia per pochi o una distopia per tutti, dovremo essere in grado di costruire una società più inclusiva e più giusta. O ci rialzeremo empaticamente insieme, oppure cadremo disperatamente insieme.
Il Coronavirus ci ha mostrato che non esistono confini, differenze e luoghi sicuri. Nonostante a pagare il prezzo maggiore siano sempre gli ultimi e i più deboli, tutti siamo in pericolo. La pandemia ha messo a nudo la malattia sociale che infetta già da tempo il nostro mondo. Le ferite che il virus lascerà dovrebbero spingere l’umanità verso il bene comune e non verso il solito e raccapricciante luogo cattivo.”
La distopia da anni è sbarcata sia sui fumetti, che nei film che nelle serie tv
Da anni ormai, come abbiamo già detto, la distopia è largamente protagonista di romanzi, fumetti, cinema e serie tv, come in, solo per citare due titoli famosissimi, V per Vendetta di Moore e Lloyd, dove si racconta di uno spietato governo filonazista che trasforma il diverso in pericoloso, e ne La Casa di Carta.
La Casa di Carta mostra con accenni distopici le colpe del sistema capitalistico
Questa osannata serie, pur non avendo nessun dettaglio fantascientifico, mostra con accenni distopici le perversioni e le colpe del sistema capitalista e le zone grigie della politica, promuovendo una potente resistenza socio-culturale.
Abbiamo citato queste due opere anche per una ragione d’immagine: nel fumetto e nel film di James McTeigue, la maschera di V rappresenta l’unione delle lotte del popolo contro i poteri forti e non è un caso che, in moltissime manifestazioni reali, soprattutto del decennio passato, il volto stilizzato di Guy Fawkes sia stato utilizzato come un’icona.
La stessa cosa sta succedendo ultimamente con La Casa di Carta, un prodotto seriale che ha acquisito una forte importanza sociale. Elisabetta, che è anche la traduttrice italiana della serie, ci racconta:
I simboli de La Casa di Carta hanno sfondato la quarta parete e sono diventata reali emblemi di contestazione socio-politica, proprio come la maschera di V o i vestiti rossi delle Ancelle.
Le persone cercano dei riferimenti politici all’interno della finzione, ed è una cosa sia spaventosa, sia affascinante, quasi utopica, da un certo punto di vista. Gran parte delle immagini di contestazione che si vedono nella terza e nella quarta stagione sono “reali”.
Le persone cercano dei riferimenti politici all’interno della finzione è per questo che La Casa di Carta ha assunto un ruolo così importante nella società
Durante le proteste che hanno scosso il Cile a partire da ottobre-novembre 2019, centinaia, migliaia di manifestanti sono scesi in strada con le tute rosse e le maschere di Dalì, così anche in Spagna, in Libano, in Palestina, in Italia e in tantissimi altri paesi.
Il popolo ha dato un valore di reale azione politica ad una serie tv che parla di resistenza e che ha riportato in auge la canzone più celebre dei partigiani, la nostra Bella Ciao.
Molti dei personaggi de La Casa de Papel sono umili, sono stati schiacciati dal sistema, sono ultimi che non hanno mai avuto una speranza e che, ad un certo punto, hanno decidono di rivalersi contro l’intera e ingiusta società che aveva causato i loro problemi e le loro condizioni negative.
Ovviamente esulando dal discorso rapine e violenze, la serie lancia un messaggio importante e invita a combattere contro le ingiustizie. L’empatia, la passione e la forza con cui è narrata la storia sono la ragione per cui questa serie è riuscita a bucare lo schermo.
Speriamo che, al momento giusto, ci ricordi da che parte stare.
Per saperne di più sui vari futuri in bilico e sulla distopia in generale vi consigliamo il libro di Elisabetta Di Minico Il futuro in bilico.
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In testa all’articolo e in cover oggi, elaborazione dell’illustrazione di Grazia La Padula per il libro Il futuro in bilico di Elisabetta Di Minico