Hollywood, la recensione: il grande tributo agli anni d’oro del cinema

recensione di Hollywood

La recensione di Hollywood vi porta a scoprire la nuovissima miniserie dello showrunner Ryan Murphy, al suo secondo lavoro con Netflix, che potrete trovare dal 1 Maggior sulla piattaforma on demand. Un viaggio tra la grande macchina del cinema degli anni d’oro di una Los Angeles ricca di sognatori, combattenti e artisti pronti a fare la differenza.

Ryan Murphy e Ian Brennan dopo Glee e il recente The Politician, sempre di casa Netflix, tornano nuovamente a lavorare insieme, questa volta però omaggiando il grande cinema hollywoodiano della Los Angeles del secondo dopo guerra, gli anni d’oro di Hollywood. Ed oggi con la recensione di Hollywood andremo a vedere perché questa nuova fatica dello showrunner statunitense, creatore di grandi serie come Nip/Tuck, American Horror Story e Pose, è il suo nuovo grande gioiello.

 

 

Miniserie di sette episodi in arrivo su Netflix dal 1 Maggio, Hollywood racconta la storia di un gruppo di aspiranti attori e registi che cercano a qualsiasi costo di sfondare nella grande e magnifica fabbrica di sogni: Hollywood! Giovani attori e attrici, registi e sceneggiatori, tutti accomunati tra loro dal grande sogno di rivalsa e successo, ma anche tutti diversi. Si muovono, infatti, nella loro ingenuità da sognatori in un mondo dominato da pescecani dove, le loro “diversità”, vengono usate come motivo di scredito, fattore invalidante che li allontana sempre di più dal proprio sogno. Colore della pelle, orientamento sessuale, religione d’appartenenza diventano improvvisamente i grandi ostacoli simbolo di un’America conservatrice, bigotta e antiquata. Società che, purtroppo, ancora oggi sembrerebbe inciampare sempre negli stessi errori.

 

recensione di Hollywood

 

E che cos’è il cinema se non un mezzo dove le persone possono rappresentarsi, fuggire con la mente, un modo per far prendere vita alle proprie fantasie? Un universo che dovrebbe andare aldilà del genere, della sessualità o dell’etnia; ma si sà, alle persone però spesso non piace che quella data attrice abbia un colore diverso dal proprio o dei lineamenti non occidentali, o che il protagonista della loro storia sia un omosessuale.

La grande epoca d’oro di Hollywood è il simbolo di rinascita

La grande epoca d’oro di Hollywood è il simbolo di rinascita, di un sogno americano ancora più vivido e rigoglioso, il simbolo di una società incentrata sull’apparenza e sull’involucro delle persone, ma mai sulla loro interiorità. Una coltre di fumo, uno specchietto per allodole che riempie con commediole e filmetti romantici le tasche della grandi case di produzione, come la Ace Production in questa serie.

Ebbene, attraverso il suo taglio e stile provocante ed incisivo, Hollywood e i suoi giovani protagonisti riesce a fungere da uno sguardo diverso, inedito su di un’epoca che, in fondo, proprio con il suo cinema, ascoltando la voce di questi giovani sognatori in grado di ispirare anche chi ha ormai dimenticato da troppo tempo di sognare, può fare davvero la differenza.

 

recensione di Hollywood

 

 

 

Non è tutto oro ciò che luccica

La miniserie di Ryan Murphy (e si, se ve lo stesse chiedendo è autoconclusiva, quindi no, non vedremo una seconda stagione a meno che Mr.Murphy non abbia intenzione di creare un nuovo franchise, ma lo vediamo al quanto improbabile) espone e analizza le dinamiche di potere che per decenni hanno caratterizzato il mondo dell’intrattenimento, ipotizzando un futuro in cui queste siano state eliminate.

 

recensione di Hollywood

 

Qualcuno potrà ritenere la china di Hollywood buonista, ma in quel caso non siete mai stati così lontani dalla realtà. Ciò che Hollywood vuole far comprendere al suo spettatore che, se si vuole, la differenza si può davvero fare; che un cinema ispiratore, un cinema all’interno del quale tutti, ma davvero tutti, possano rappresentarsi, ritrovarsi, sentirsi motivati, sentirsi meno soli, c’è ed è possibile fare. Un cinema che possa essere da monito per la realtà, per la vita di tutti i giorni, per una società che, purtroppo, non è poi così lontana da quella descritta dalla serie di Murphy che, per quanto datata, riesce ad avere uno sguardo drammaticamente attuale.

Gli stessi meccanismi di quella grande industria dell’intrattenimento non sono poi così diversi. Indubbiamente la tolleranza è più ampia, ed un cinema di genere, impegnato è sempre abbastanza presente, per quanto massivamente schiacciato e soffocato dalla costante presenza di blockbuster sotto steroidi utili al fomento e all’ingrassamento costante del conto in banca di chi li produce; ma, appunto, siamo ancora lontani dalla meta, e forse non siamo neanche a metà del percorso.

 

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Hollywood: un cinema diverso si può fare!

Hollywood porta a riflettere sul concetto di opportunismo, di egoismo. Tematiche che ancora oggi ci riguardano e riguardano il cinema. Il famoso politicamente corretto di cui tutti, ma proprio tutti, ci lamentiamo. Le solite inutili e sterili polemiche che caratterizzano gli Oscar di anno in anno, ma il problema, come sempre, è alla base.

 

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Hollywood fa proprio questo: porre un focus evidente, tagliente e polemico sul problema, al tempo stesso però dando una soluzione. Mostrando l’altra faccia di una medaglia che non può e non deve essere unicamente di un colore, di un’etnia, di una religione. Lo fa in modo preciso, intelligente e se vogliamo anche un po’ sognante. La visione di un mondo dove il cinema può davvero fare la grande differenza, farci sentire meno soli, farci riconoscere in un personaggio, in una storia e, a volte , per quanto estreme possano essere queste parole, salvarci anche la vita.

 

 

 

La sessualizzazione negli anni d’oro del cinema

Decisamente interessante il discorso portato avanti anche sull’oggettificazione e l’ipersessualizzazione del corpo maschile. La serie di Ryan Murphy avanza un focus sul corpo, su come quello degli attori venisse completamente cambiato, studiato, lavorato. Su come la bellezza, spesso e volentieri, fosse più importante della bravura stessa. Lo sguardo che buca lo schermo. La presenza scenica. E come tutte queste caratteristiche venissero poi plasmate, assieme ai nomi che, inevitabilmente, mutavano in combinazioni più interessanti ed esotiche da cartellone pubblicitario, da manager arrivisti e privi di scrupolo alcuno. Ed in questo centrale è la figura del viscido Henry Willson, interpretato da uno straordinario Jim Parsons (a detta della sottoscritta già candidabile per l’Emmy).

 

 

Persone come Willson sono talmente tanto abili in questo lavoro da scordarsi davvero cosa voglia dire essere umani. Ipocriti, amorali, viscidi. Ciò che conta per Henry è il successo e non gli importa se per arrivarci deve piegarti, umiliarti e farti strisciare, quasi come se volesse trasformarti come lui. Si, perché Henry in realtà è una persona sola, triste, codarda, schiacciata da se stesso e come tanti dei personaggi ormai naviganti in questa industria, ha ormai dimenticato cosa voglia dire sognare, amare davvero il cinema.

 

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Un cast stellare tra vecchi amici e nuove leve

Accanto alla grande interpretazione di Parsons troviamo grandi nomi già consolidati nella scuderia di attori di Murphy come Darren Criss nei panni del regista Raymond, o David Corenswet il River di The Politician nei panni dell’aspirante attore Jack Castello o ancora Dylan McDermott nel ruolo dell’eccentrico e nostalgico Ernie.

 

 

Non mancano neanche i grandi nomi del cinema e del teatro come Patti Lupone, Holland Taylor e Joe Mantello nello straordinario produttore Dick Samuels. E tra questi ci sono anche i giovani talenti come Laura Harrier, Jeremy Pope e l’amatissima Samara Weaving per la prima volta in un ruolo un po’ atipico rispetto al suo range, decisamente meno scream queen del solito.

Parlando di Hollywood non si possono non citare grandi nomi appartenenti al passato che nella serie arrivano come camei o personaggi secondari, avvalorando la costruzione scenica dell’impianto. Tra questi ci sono Rock Hudson, che vedremo in un ruolo centrale (per quanto non del tutto storicamente corretto); l’immortale Vivien Leigh e la bella e dannata Anna May Wong.

 

 

 

 

Emozione tra storicità e fantasia

Per tutti gli amanti del cinema, per gli appassionati sarà come fare un viaggio nel passato, grazie anche alla grandiosità della scenografia, la cura nei costumi, nelle musiche che trascinano in quella che sembra essere la vera e autentica atmosfera della Hollywood d’oro di quegli anni.

Hollywood, la serie, è una realtà romanzata, quasi un “what if”

Probabilmente i più rigorosi nelle costruzioni cronologiche storiche storceranno un po’ il naso, ma non dimenticatevi che Hollywood, per quanto i suoi riferimenti, citazioni e menzioni siano reali, è un’opera di fantasia. Una realtà romanzata, quasi un “what if” su quello che il cinema, fin da subito, avrebbe potuto rappresentare anche per le minoranze.

 

 

Emozionante ed emotivamente coinvolgente (preparate i fazzoletti, mi ringrazierete poi), in conclusione della recensione di Hollywood non possiamo che essere grati a Ryan Murphy per questo piccolo grande gioiello che sa prendere al cuore, sa divertire, sa far soffrire e perfino arrabbiare. Riaccende sogni e speranza. Non vuole concludersi in modo negativo ma, in un modo nell’altro, vuole dare comunque una speranza. Vuole spronare ad essere migliori e a migliorare, anche con il cinema, il mondo che stiamo vivendo.

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