Charles Darwin moriva il 19 aprile del 1882 a 73 anni a Londra, ma ci ha lasciato un’eredità immortale. Ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’origine delle specie.
Nessuno meglio di Darwin incarna il prototipo dello studioso che con i suoi pochi mezzi, quelli della ragione e dell’osservazione, è capace di deviare il corso della storia delle idee, di influenzare l’intero andamento della scienza.
I pochi mezzi erano quelli “scientifici” perché Charles Darwin, rispetto all’epoca, visse in una famiglia benestante.
Darwin nacque il 12 febbraio del 1809 a Shrewsbury
Nacque il 12 febbraio del 1809 a Shrewsbury, città del Regno Unito nella contea dello Shropshire (al confine con il Galles), quinto dei sei figli di Robert Darwin, medico generico del paese con una positiva carriera professionale, e Susannah Wedgwood, ereditiera di una famiglia benestante di imprenditori attivi nell’industria della ceramica; la famiglia di Charles era formata dal ramo paterno da liberali e non credenti, e quello materno da cristiani unitariani favorevoli al progresso tecnologico e scientifico.
Darwin aveva 22 anni quando si unì, nel 1831, alla spedizione esplorativa sul brigantino Beagle.
Il capitano della spedizione, Robert FitzRoy, desiderava infatti avere a bordo un gentleman di compagnia, per esempio un naturalista, che raccogliesse reperti ed osservazioni sulle terre sconosciute che si apprestavano a visitare.
Il viaggio del Beagle
Il 27 dicembre 1831 alle 14:00 il Beagle lasciò il porto di Plymouth per quella che sarebbe diventata una spedizione scientifica, della durata di quasi 5 anni, incredibilmente rivoluzionaria.
La nave si recò a Madera, quindi proseguì per Tenerife, ma temendo l’epidemia di colera in Inghilterra le autorità locali vietarono lo sbarco. Così la prima sosta fu all’isola vulcanica di Santiago nelle isole Capo Verde.
Qui comincia il racconto del diario di Darwin.
Mentre venivano svolte le misurazioni per verificare la precisione della longitudine, egli girovagò per la costa rimanendo affascinato dal paesaggio esotico. La geologia dell’isola risultò estremamente interessante per Darwin; una striscia bianca orizzontale di alcuni chilometri sulle scogliere, composta da materia calcarea di conchiglie, ricoperta da basalto, conferma per Darwin la tesi di Charles Lyell del graduale abbassamento o rialzamento della crosta terrestre in tempi non storici.
Dopo brevi soste nelle isole San Paolo e Fernando de Noronha arrivarono a Bahia (Salvador), in Brasile, il 29 febbraio 1832. Darwin descrive a lungo lo splendore della foresta tropicale.
La nave quindi ripartì il 18 marzo ed arrivò a Rio de Janeiro il 4 aprile.
Una volta attraversato lo Stretto di Magellano il Beagle, prima di fare rotta verso nord lungo la costa occidentale, si recò all’isola di Chiloé che raggiunse il 12 luglio 1834 e poi nell’ Arcipelago dei Chonos. Quindi iniziò le rilevazioni della sponda ovest dell’America Latina, che durarono sei mesi.
Alle Isole Galapagos, Darwin avanza le prime considerazioni sul come siano gli esemplari lì presenti più “adatti” alle condizioni ambientali locali rispetto ai parenti continentali.
La famosa tappa alle Isole Galapagos cominciò il 15 settembre 1835.
Darwin è a questo punto che inizia a interrogarsi sulle origini delle specie organiche presenti sull’isola, valutando come sia dal Sud America che dall’Oceania dovevano aver attraversato il mare semi e uccelli.
Nel suo diario avanza timide considerazioni sul come siano gli esemplari lì presenti più “adatti” alle condizioni ambientali locali rispetto ai parenti continentali.
Le Isole Galapagos vennero lasciate il 20 ottobre e la spedizione proseguì quindi attraverso Tahiti fino all’Australia che avvistò il 12 gennaio 1836.
Nelle tappe di Tahiti, Nuova Zelanda ed Australia il resoconto di Darwin dà molto meno spazio rispetto alle tappe precedenti alle considerazioni geologiche, botaniche e zoologiche a favore di lunghe divagazioni sulla condizione degli abitanti e sulle questioni politiche che le interessavano.
Quando il Beagle raggiunse Città del Capo Darwin ricevette notizia dalla sorella della stampa e distribuzione privata di dieci sue lettere sulla geologia sudamericana e della reputazione che glien’era derivata in Inghilterra.
Il viaggio proseguì poi con le tappe all’isola di Sant’Elena dove Darwin notò la prevalenza di piante importate dall’Inghilterra ed esaminò uno strato di conchiglie fossili poste a 600 metri sul livello del mare, che erano state indicate come prova del fatto che l’isola era emersa in tempi recenti, ma Darwin non convenne con tale ipotesi in quanto identificò tali conchiglie come appartenenti ad una specie antica ed estinta.
Il Beagle raggiunse poi l’isola di Ascensione il 19 luglio mentre era in corso un’eruzione del vulcano, visibile da grande distanza. Il 23 luglio ripartirono, con grande ansia di tornare a casa per gran parte dell’equipaggio, ma il comandante FitzRoy decise di verificare l’accuratezza delle sue misurazioni della longitudine portando nuovamente la nave al di là dell’Atlantico a Bahia in Brasile.
Darwin colse l’occasione per visitare nuovamente per qualche giorno la foresta tropicale, e poi la ripartenza fu ritardata di altri 11 giorni a causa di avverse condizioni climatiche. La nave ripartì verso casa il 17 agosto e, dopo aver attraversato una tempesta ed aver fatto tappa alle Isole Azzorre per rifornimenti, giunse a Falmouth in Cornovaglia (Inghilterra) il 2 ottobre 1836.
La teoria di evoluzione della specie di Darwin
Osservando animali e natura durante il lungo viaggio per il mondo con il Beagle, raccogliendo fossili e riflettendo sulla somiglianza tra l’uomo e gli esemplari di orango visti allo zoo, alla fine degli anni trenta del diciannovesimo secolo Darwin formula l’ipotesi che una specie vivente possa con il tempo originarne un’altra.
Lo mette per iscritto per la prima volta nel 1842, in un periodo in cui il fermento e l’interesse per il tema infiammano l’ambiente accademico, dove circolano diverse teorie innovative. La difficoltà di accettare queste idee però è grande perché il mondo scientifico è ancora molto influenzato dalla religione cristiana: la stessa scienza è ancora considerata branca della teologia.
In questo contesto ovviamente affermare che l’uomo non solo non sia superiore agli animali, ma non sia nemmeno stato creato da Dio è considerata una grande blasfemia.
Eppure, come dicevo, il fermento sul tema era acceso tanto che già il nonno di Darwin, Erasmus, aveva parlato di trasmutazione delle specie, idea poi sviluppata dal francese Jean-Baptiste Lamarck negli studi sull’ereditarietà dei caratteri acquisiti.
La lettera di Alfred Russel Wallace: il perfetto riassunto della teoria dell’evoluzione per selezione naturale
Il 18 giugno del 1858, Darwin ricevette una lettera nella sua lussuosa Down House: il mittente era il naturalista Alfred Russel Wallace, che Darwin ben conosceva e che ai tempi si trovava nel sudest asiatico, sull’isola di Ternate nelle Molucche.
Il plico conteneva un articolo scientifico di nove pagine e una lettera di introduzione in cui Wallace chiedeva al suo ben più celebre collega di inoltrare il lavoro al geologo Charles Lyell, per avere una valutazione da entrambi.
L’articolo metteva in luce come, secondo l’autore, le limitate risorse costringessero gli esseri viventi a una costante lotta per la sopravvivenza, in cui solo i meglio adattati riuscivano a restare in vita e a riprodursi, trasmettendo così le proprie caratteristiche ai figli.
Generazione dopo generazione, gli organismi viventi erano così sempre meglio adattati all’ambiente.
Darwin rimase scioccato: quello era un perfetto riassunto della teoria dell’evoluzione per selezione naturale a cui stava lavorando da circa vent’anni, ma che ancora non aveva reso nota al grande pubblico.
Wallace e Darwin decisero quindi di presentare una formulazione congiunta in un saggio che fu pubblicato a luglio del 1858.
Dovrà passare ancora poi circa un anno quando, il 24 novembre 1859, si giunse alla pubblicazione di quello che poi diventò il suo lavoro più famoso, stampato in 1250 copie, con il titolo completo L’origine della specie per mezzo della selezione naturale.
La teoria di Darwin ai giorni nostri
Nel 2015 un sondaggio online elesse “L’evoluzione della specie” di Charles Darwin come il volume accademico più influente di sempre.
Darwin non voleva mettersi contro alla Chiesa ma armonizzare l’idea della creazione con la sua visione scientifica
Non c’è dubbio dell’importanza epocale della rivoluzione nella visione dell’uomo e della scienza che Darwin portò tanto che ancora oggi spesso si tende a male interpretare o a esagerare l’effetto della sua opera sul pubblico e sul dibattito nei più diversi ambiti.
Questo è particolarmente evidente in ambito religioso, dove ancora oggi non è stata espressa una posizione unanime riguardo all’evoluzione. Sorprendentemente, però, le reazioni più dure alla opere di Darwin non arrivano dalla Chiesa, ma dai colleghi scienziati e c’è anche chi, come il sacerdote Charles Kingsley, interpreta da subito la selezione della specie come parte del grande disegno divino, seguendo quello che è il pensiero di fondo dell’autore.
Darwin, infatti, era molto religioso, sua moglie era molto devota e aveva diversi amici ecclesiastici. Dal punto di vista politico era un conservatore e non voleva confutare l’idea di un Dio Creatore, ma armonizzarla alla sua visione scientifica.
Ma quante persone non credono nella teoria dell’evoluzione di Darwin?
Negli Stati Uniti il 40% delle persone credono che l’uomo sia stato creato da Dio nella sua forma attuale
Da anni negli Stati Uniti l’Istituto di ricerca Gallup tiene sotto controllo l’opinione della popolazione sul tema dell’evoluzione. Nel 2019 è risultato che addirittura il 40% delle persone pensano che l’uomo non sia il prodotto dell’evoluzione e sia stato creato da Dio nella sua forma attuale.
Il 33%, ritiene invece che l’uomo sia il prodotto di una evoluzione, guidata però da Dio, secondo quella che viene chiamata teoria del disegno intelligente (intelligent design).
Il 22% degli statunitensi ritiene che l’uomo sia il prodotto dell’evoluzione naturale, senza alcun intervento da parte di Dio, mentre il 5% dichiara di non avere un’opinione a riguardo.
Guardano la variazione del dato di chi pensa che l’uomo sia il prodotto dell’evoluzione naturale senza alcun intervento divino si osserva una crescita: 10 anni fa solo il 14% lo pensava e 20 anni fa solo il 9%. Coloro che credono che l’evoluzione umana sia stata un processo dovuto alla natura, senza alcun intervento divino, benché ancora in minoranza sono in crescita.
È comunque interessante – e a parer mio un po’ sconvolgente – osservare quanto lentamente questa teoria venga accettata.
In Europa non esistono dati altrettanto analitici.
Nel 2005 l’osservatorio statistico dell’Unione europea Eurostat pose la domanda in una forma diversa.
Chiese ai cittadini dell’Unione e di altri Paesi del nostro Continente:
è vera o falsa l’affermazione che l’uomo come lo vediamo oggi sia il frutto dell’evoluzione da specie animali più antiche?
Non venne fatto un riferimento specifico all’intervento o meno di Dio.
Il risultato fu che il 70% delle persone si disse d’accordo, il 20% disse di ritenere falsa questa affermazione e il 10% si dichiarò indeciso.
I più decisamente evoluzionisti risultarono norvegesi (85%), svedesi e danesi (83%).
I più scettici sulla scienza risultarono invece i turchi (solo il 23% pensava che l’evoluzione della specie umana fosse vera). Gli italiani risultarono perfettamente in media con il resto degli europei (69%).
A livello mondiale è stata fatta nel 2010 un’indagine dall’Istituto francese Ipsos per la Reuters nel 2010. Sono state intervistate persone in 23 Paesi all’interno di un sondaggio che era in realtà dedicato anche all’atteggiamento verso l’esistenza di Dio e la vita dopo la morte.
Per quello che riguarda però la parte sull’evoluzione delle specie, la domanda in chiedeva di scegliere tra evoluzionismo e creazionismo ma nella formulazione c’era un esplicito riferimento alla fede. Veniva cioè chiesto se si ritiene che l’uomo sia stato creato da una forza spirituale come il Dio in cui si crede e quindi di non credere che si sia evoluto da altre specie animali.
Il risultato del sondaggio Ipsos è stato che in media a credere nell’evoluzione è il 41% della popolazione mondiale. Il 28% si dichiara invece creazionista. Il 31% è incerto.
In questo caso gli italiani sono tra i più incerti, gli svedesi e tedeschi (insieme anche ai cinesi) sono quelli più convinti nell’evoluzionismo, confermando in qualche modo il dato del sondaggio del 2005, mentre in coda Arabia Saudita, Turchia, Indonesia e Sud Africa.
L’evoluzionismo, insomma, prevale, ma in modo non molto netto e non raggiunge la maggioranza assoluta dei consensi.
Infine uno degli ultimi sondaggi a riguardo che ho trovato è del 2020 ma non è un’intervista alla popolazione generale ma si concentra su quanto sia accettata la teoria dell’evoluzione dagli studenti del primo anno dell’università in “Life Science”.
In particolare è stato studiato quanto sia accettata la teoria dell’evoluzione biologica in 344 studenti universitari del primo anno in Scienze della vita attraverso cinque programmi presso l’Università di Roehampton, nel Regno Unito.
Le conclusioni sono che, in linea con i risultati precedenti nelle università britanniche, è stato scoperto che il 9% degli studenti non accettano l’evoluzione per selezione naturale, percentuale che aumenta al 16% se si parla di evoluzione umana.
Sia il credo religioso sia il programma di studio sono significativamente correlati ai livelli di accettazione degli studenti. In particolare, una minore accettazione è associata alle credenze musulmane o cristiane e ai programmi di scienze biomediche e nutrizione e salute (rispetto ad antropologia, zoologia e scienze biologiche).
Che si creda o no, la teoria di Darwin, ha ricevuto e continua a ricevere numerosissime conferme sperimentali anche di parti che lo stesso Darwin per mancanza di mezzi e tempo non riuscì a dimostrare completamente.
Una delle ultime è stata pubblicata a marzo di quest’anno e proviene da una dottoranda in antropologia biologica di Cambridge che sostiene di aver dimostrato l’ipotesi secondo la quale una specie che appartiene a un genere molto ampio debba necessariamente includere più sottospecie. Un assunto che il naturalista ed esploratore britannico non spiegò né riuscì provare.
Il lavoro di Laura van Holstein, pubblicato dalla Royal Society, è quello di aver compreso, grazie alla modellazione informatica della sterminata mole di dati che ha raccolto, che il numero delle sottospecie è correlato al numero delle specie al cui genere quella specie appartiene.
Insomma, provando questo rapporto ha anche potuto capire come le sottospecie siano le “radici” della formazione di nuove specie: il loro sviluppo e la loro conservazione sono essenziali, non accidentali o superflue.
In questo momento più che mai è importante ricordare il lavoro di questo incredibile scienziato e tenere a mente una delle sue più celebri frasi:
Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti
- Charles Darwin (royalsociety.org)
- 5 errori che facciamo sull’evoluzione (wired.it)