Disney+ è senza dubbio un ottimo modo per approfondire finalmente l’immaginario vastissimo di Star Wars. Cerchiamo di darvi una mano in questo lungo percorso, consigliandovi i titoli Star Wars su Disney+ da vedere.
Non è un mistero che una della componenti più interessanti dell’offerta di Disney+ sia quella dedicata a Star Wars. Per nuovi fan e super appassionati, il nuovo servizio di streaming offre davvero di ogni, ma mi rendo conto di come con tale proposta si possa finire per perdersi. Questo articolo serve proprio a farvi da bussola.
D’altronde dall’acquisizione di Lucasfilm da parte di Disney le singole uscite sono decisamente aumentate, tra capitoli principali e spin-off, serie animate e ora live action, con risultati purtroppo alterni e non sempre efficaci, specie sul grande schermo.
Tuttavia non si può negare che negli ultimi anni Star Wars stia ribadendo a più riprese il suo ruolo nell’immaginario popolare – lo vediamo ad esempio dal buzz social scatenato da The Mandalorian -, e per questo può darsi che stiate leggendo questo articolo spinti dalla curiosità di recuperare finalmente una saga immortale.
Partiamo dal presupposto che la conoscenza completa vera e propria dell’universo (o galassia, dovrei dire) inaugurato da George Lucas nel ’77 passa pure per fumetti e libri appartenenti al canon ufficiale, oltre che per serie e film; già solo tenere il passo con questi ultimi due elementi però è un bel passo avanti per non rimanere totalmente tramortiti.
Prima di iniziare vi avverto che in questa analisi ci saranno ovviamente degli spoiler, vecchi spesso di almeno vent’anni, ma cercherò di mantenermi il più vago possibile. Non venite insomma a scrivere nei commenti che non sapevate dell’identità di Anakin come Vader e padre di Luke, quella non è un’anticipazione da quattro decenni.
Dalla trilogia originale a quelle prequel e sequel, passando per The Clone Wars, Rebels e Resistance e arrivando a The Mandalorian, ne avrete per molte settimane.
Quindi, senza indugiare oltre, ecco quali sono, secondo noi, i titoli da vedere Star Wars su Disney+!
La trilogia originale (1977-1983)
Da invasato di Star Wars, penso davvero che tutte le chiacchiere sull’ordine corretto di visione delle trilogie non abbiano semplicemente senso di esistere. Ovviamente gli episodi sequel avviati nel 2015 possono essere compresi solo a patto di aver visto i sei precedenti, ma per il resto a mio avviso è a totale discrezione dello spettatore.
Inizio quindi con la trilogia originale, ma potrei anche partire dalla prequel più recente, visto che la linea cronologica non implica in questo caso problemi nella fruibilità, per ovvi motivi.
Naturalmente Una nuova speranza, L’impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, rispettivamente quarto, quinto e sesto episodio, non sono semplicissimi da digerire se visti in un’ottica ormai abituata nel cinema mainstream a ritmi diversi e a un’attenzione sugli effetti visivi quasi maniacale grazie ai passi in avanti del digitale.
Inutile nasconderlo, l’impatto figlio del suo tempo dello Star Wars del primo Lucas è evidente oggi, nel 2020, riflettendo un modo stupendo di fare cinema privo delle costruzioni in computer grafica e i relativi eccessi (ci arriverò, pazienza).
Questo si nota nelle scenografie, soprattutto, come anche nei rudimentali e relativamente ingessati duelli con spada laser, ma rimane in ogni caso sconvolgente vedere cosa si sia riusciti a fare con i mezzi di circa quarant’anni fa. La battaglia della Morte Nera, le dogfight tra X-Wing e TIE Fighter e le sequenze sul glaciale Hoth all’inizio di Episodio V, per fare qualche esempio, hanno dell’incredibile e contribuiscono al fascino inarrestabile degli effetti dell’epoca.
Un immenso lavoro direttamente sul set con costumi, puppet e make up; effetti sviluppati con amanuense pazienza tra modelli in scala, piccole cariche esplosive, prospettive forzate e stop motion, tra mille ingegnose meraviglie.
Al di fuori degli innegabili meriti artistici e tecnologici nel dare vita alla galassia lontana lontana, la prima trilogia è la base narrativa da cui poi si proietta il resto del franchise, in ogni medium. Una nuova speranza introduce il grosso dei personaggi iconici della serie, oltre che l’immaginario stesso, partendo dal desertico pianeta Tatooine fino alle ultime battute con la battaglia di Yavin.
L’impero colpisce ancora è quasi all’opposto del predecessore un film piuttosto cupo e molto meno banale nei risvolti finali del racconto, da molti anche per questo considerato un capolavoro di genere e direi con pochi dubbi una delle migliori iterazioni della serie. La perla di Irvin Kershner tra l’altro introduce l’amatissimo maestro Yoda e nasconde il colpo di scena più famoso della storia del cinema, cult quanto il film a cui appartiene.
Il ritorno dello Jedi è sicuramente quello invecchiato peggio dei tre, un po’ per scelte allucinanti a fare da comic relief, vedasi la presenza ridicola degli Ewok, un po’ per una sceneggiatura maldestra che eccetto per il gran finale va a vanificare gli sforzi di Episodio V di dare spessore drammatico alla formula.
La trilogia prequel (1999-2005)
E qui iniziano i dolori, perché in effetti la trilogia prequel è una strada impervia che inevitabilmente occorre attraversare quando ci si approccia a Star Wars. Non credete a chi vi parla di qualcosa dove ogni elemento rasenta l’imbarazzo, ma certo parliamo di due film abbastanza fuori fuoco, e uno invece ottimo e ingiustamente bistrattato. Andiamo con ordine.
La seconda trilogia – non fosse il termine prequel abbastanza eloquente – racconta del come, del quando e del perché dell’ascesa di Palpatine, della perdizione di Anakin, della nascita di Luke e Leia, della scomparsa dei Jedi e in generale del crollo della Repubblica. Un gigantesco spiegone, alla radice.
Il problema macroscopico dei prequel è chiarissimo anche ad un cieco, ed è la struttura cerebrale da fantapolitica che Lucas ha voluto mettere a forza per innalzare artificiosamente il materiale e calibrarlo su un target di pubblico sicuramente più adulto (quello stesso pubblico che aveva visto gli originali al cinema, per intenderci).
Il risultato è una scrittura che tra i diversi demeriti è pure inutilmente complessa e confusionaria, gettando intrighi politici a schermo senza contestualizzarli e perché sì, oltre allo sviluppo di un tessuto economico, sociale e commerciale della galassia che il 5% degli spettatori avrà compreso in sala nel ’99. É un mondo fantasy che insomma smette di essere propriamente fantasy e vira sulla fantascienza, affogando tuttavia nelle sue stesse pretese.
Anche lo stesso utilizzo grezzo, estensivo e avveniristico della computer grafica, usata in tandem con molto green screen, varie soluzioni analogiche e con risultati notevoli/impressionanti/seminali come spesso terribilmente invecchiati, porta ad un impatto visivo generale oggi abbastanza anonimo (vedasi ad esempio la battaglia di Naboo). Questo oltre all’essere la tecnologia talvolta sfruttata e mostrata senza alcun intento strumentale al racconto; un esempio sono la durata eccessiva della sequenza degli sgusci in Episodio I e lo scontro con le bestie nell’arena su Geonosis in Episodio II.
Se i primi due episodi, La minaccia fantasma e L’attacco dei cloni, soprattutto per “merito” delle loro sceneggiature, viaggiano sulla sottile linea a cavallo della mediocrità, La vendetta dei Sith finisce per riscattare molti dei passi falsi dei due predecessori.
Tralasciando l’interpretazione di Anakin molto discutibile di Hayden Christensen e le solite parentesi stucchevoli con la Padme di Natalie Portman, diverse scelte coraggiose nel racconto, il completarsi della sfaccettata parabola del prescelto, i duelli impressionanti sul finale, l’Ordine 66 e una caratterizzazione decisamente meglio scandita dei protagonisti hanno portato Episodio III ad entrare in quella dimensione di culto a cui in gran parte non appartengono gli altri due film della trilogia.
Per qualsiasi fan di Star Wars è di sicuro un film chiave e di svolta nella linea narrativa della saga degli Skywalker, con alcuni traguardi tali da settare nuovi standard nell’epica della serie. Primo capitolo della saga che abbia mai visto, e continuo a ritenere sia il migliore in assoluto. Vi segnalo tra gli extra di Episodio III su Disney+ un approfondimento ormai invecchiato, ma comunque sfizioso, sulla tecnologia di Star Wars a confronto con quella esistente.
La trilogia sequel (2015-2019)
Ed eccoci arrivati all’ultimo corso cinematografico di Star Wars, quello gestito da una Lucasfilm sotto il grande ombrello di Disney, avviato da Il risveglio della forza nel 2015 con JJ Abrams alla regia, primo passo della parabola conclusiva dell’arco degli Skywalker avviato con l’episodio originale.
In parallelo a questo ritorno di fiamma, Disney ha anche avviato e concluso una revisione totale del canone, evitandovi un grosso mal di testa nel mettere ordine negli eventi del franchise. Insomma, il 2014 fa da soglia. Tutto ciò che è uscito prima di quell’anno, eccetto la serie animata The Clone Wars e ovviamente i film, appartiene a Legends e non è più considerato nell’universo narrativo della galassia lontana lontana.
Aperta e chiusa questa necessaria parentesi, la nuova trilogia prende piede dopo un corposo salto temporale di una trentina d’anni rispetto alla battaglia di Endor con cui si conclude Il ritorno dello Jedi, dando per scontato molti eventi di mezzo che verranno spiegati solo in alcuni romanzi e fumetti (vi consiglio i tre romanzi di Aftermath e il singolo di Bloodline).
Il risveglio della forza al tempo è stato certamente un evento di proporzioni quasi inaudite per il cinema mainstream, un qualcosa rivisto di recente solo con Avengers: Endgame, complice soprattutto il fatto che Star Wars mancasse sul grande schermo da una decina di anni. Il sequel che si è preso la responsabilità immensa di continuare le avventure dei nostri eroi, prima sospese al cinema dal 1983, è oggettivamente una buona operazione, capace di svecchiare e recuperare le atmosfere appartenenti alla saga molto più degli episodi prequel, oltre che in grado di introdurre di nuovo un villain di spessore.
Il Kylo Ren di Adam Driver, con i suoi complessi di inferiorità rispetto al nonno (Darth Vader/Anakin), sofferente del suo retaggio familiare in toto, corrotto da una forza misteriosa fin da piccolo, e inutilmente addestrato nelle vie Jedi, è un personaggio estremamente tridimensionale che anche per merito del grande talento del suo interprete si piazza come il migliore risultato di questa trilogia.
In generale però Episodio VII è una produzione purtroppo estremamente conservativa, palesemente sulla stesso fil rouge di Episodio IV, per dare una botta al cerchio e una alla botte, non scontentare il bacino pronto a esplodere di vecchi fan e avvicinare un nuovo pubblico con le stesse modalità di un tempo. Non voglio andare troppo nel dettaglio, ma è davvero immediato confrontare 1:1 Il risveglio della forza con Una nuova speranza; cambiano i nomi, i luoghi e i personaggi, ma quasi tutto è specchiato, senza nemmeno eccessivo sforzo nel nasconderlo.
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É un risveglio per Star Wars che ha lasciato quindi per questo una certa tiepidezza, seguita poi dal putiferio che ha accompagnato l’Episodio VIII di Rian Johnson, AKA Gli Ultimi Jedi nel 2017. A ridosso del Natale di tre anni fa non si è parlato di altro, e non penso di aver mai visto esplodere il mio feed social a tal punto prima di quel momento: una gigantesca shitstorm proveniente da una fanbase schizofrenica e incontentabile, assecondata pure da una direzione recente di Lucasfilm troppo spesso disposta ad assecondare a convenienza.
Gli Ultimi Jedi – tra i quattro film più riusciti del franchise, tutto sommato – è a prova di questo una chiara reazione alla poca volontà di innovare di Episodio VII. Un film anarchico e a tratti allegorico, che vuole chiaramente superare con irruenza gli archetipi della serie a cui appartiene, conservando tuttavia la sacralità necessaria per la messa in scena di determinati scontri, duelli e punti di svolta.
Episodio VIII aggiorna l’immaginario con scelte radicali e discutibili, come molto coraggiose, costruisce scene tra le più brillanti per direzione artistica (gli splendidi colori della battaglia di Crait, sul finale) e tra le meglio dirette (lo scontro con le guardie pretoriane) della serie. Un film dunque eccellente, ma azzoppato da due grandi colpe: un intreccio statico con qualche soluzione eccessiva e parentesi riempitivo, e l’anima semi-rivoluzionaria nonostante l’essere il penultimo episodio di un percorso.
Vi invito tra l’altro a recuperare la versione del film commentata in voice over da Johnson, presente nel menù extra de Gli Ultimi Jedi.
L’anima democristiana della Lucasfilm disneyana a cui facevo riferimento prima colpisce invece a pieno con Episodio IX. L’ascesa di Skywalker di JJ Abrams è nelle intenzioni e nello sviluppo un perfetto retcon del precedente. Un cambio di rotta in zona Cesarini verso il cauto approccio di Episodio VII, in diversi tratti al limite dell’imbarazzante per quanto evidente.
In ogni caso, l’ultimo episodio della lunga epopea degli Skywalker non è ancora disponibile su Disney+, ma a giudicare da quanto genericamente comunicato dagli account social del servizio non dovrebbe mancare molto.
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Gli spin-off: Solo e Rogue One
Nei piani iniziali di Disney c’era di sicuro un utilizzo decisamente aggressivo della proprietà intellettuale Star Wars, ambizioni smorzate dalla parziale debacle della direzione di Lucasfilm di Kathleen Kennedy e compagnia, che non ha di sicuro rispettato le aspettative commerciali sia per gli ultimi due capitoli della nuova trilogia, sia per l’ultimo dei due spin-off. Il risultato è stato che i piani per i nuovi film della serie, ormai al di fuori della “saga degli Skywalker”, sono stati posticipati con decisione, con conseguente chiara incertezza sulla direzione del franchise.
Gli unici due frutti di questo percorso sul grande schermo emancipato dal racconto principale sono quindi ad oggi esclusivamente Rogue One e Solo, due film molto diversi sia per tono che per genere, ma accomunati da qualche problema in produzione di troppo, più il secondo uscito nelle sale per miracolo che il primo.
Rogue One inizia adiacente ad Una nuova speranza e si conclude legandosi esattamente all’inizio di Episodio IV, costruendo le sue due ore abbondanti sul sacrificio dei ribelli per ottenere quei piani della Morte Nera che Leia riuscirà ad inviare ad Obi-Wan Kenobi prima di essere catturata.
É una produzione che a tratti può ricordare un war movie (vedasi la battaglia di Scarif), con una sceneggiatura sorprendentemente cupa per gli standard della serie e con un finale splendido, coraggioso e non istantaneo da digerire. Un ottimo cast, anche degnamente/ben caratterizzato, la grande colonna sonora di Michael Giacchino, diverse scene di culto (Vader), la scelta ragionata di allontanarsi dal manicheismo tipico della serie già dalle prime battute e tante altre decisioni creative azzeccate segnano il Rogue One di Gareth Edwards come uno dei film giustamente più amati dell’intero Star Wars.
Su Disney+ vi segnalo un interessante extra che tratta della ricostruzione digitale di Leia e Tarkin, dategli un’occhiata.
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Il secondo spin off targato Disney invece è stato decisamente un buco nell’acqua, quantomeno dal punto di vista commerciale. Arrivato a circa 400 mln $ su un budget di poco meno di 300 mln $, travagliato da un visibile e severo cambio di regia verso Ron Howard in corsa, con il reshooting di un qualcosa come il 70% del totale, Solo deve essere stato un bel mal di testa per i vertici di Disney e Lucasfilm.
Come il nome spiega di per sé, il film narra delle origini di Han Solo nelle modalità con cui lo abbiamo imparato a conoscere nella prima trilogia, a partire dal suo rapporto con Qi’ra (Emilia Clarke) e dall’addestramento presso la marina imperiale.
Solo di sicuro non riesce a nascondere completamente la schizofrenia della sua produzione, ma, considerato anche quello che ha attraversato, è già notevole che sia riuscito ad emergere come uno spin-off dalle sfumature western in fin dei conti abbastanza solido.
Vero pure in ogni caso che il film è una miniera senza fondo di fan service da far scoppiare il cervello, e gli ultimi minuti sono una mossa incredibilmente audace nel loro dichiarare con forza un legame netto con le serie animate (ricordo ancora la mia reazione da appassionato a quella determinata scena).
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Le serie animate
Essenziali e ricchissime di informazioni e dettagli se si vuole comprendere con un minimo di ratio i vari eventi collaterali, complementari e paralleli a quelli portati sul grande schermo, le serie animate di Star Wars sono in gran parte sottovalutate dal grande pubblico, ma con l’arrivo di Disney+ sono finalmente raggruppate al completo e a portata praticamente di chiunque. Non lasciatevele quindi sfuggire, anche perché sono perlopiù tra le gemme più luminose che il mondo ideato da Lucas possa offrire.
The Clone Wars fa da ponte tra Episodio II ed Episodio III, fino a chiudersi con una settima ed ultima stagione (in conclusione su Disney+) che si va a sovrapporre con l’esecuzione dell’Ordine 66 e la definitiva ascesa dell’Impero. Le stagioni della serie, eccetto le ultime due tutte composte da una ventina di episodi da 20 minuti, offrono un panorama abbastanza esteso e dettagliato dello scacchiere politico, economico e criminale della galassia durante la guerra (costruita) tra Repubblica e Separatisti.
Diciamo che The Clone Wars, seppure con molti alti e molti bassi, spiega così bene la tela sci-fi della trilogia prequel, chiarendone mille punti oscuri, che in pratica diventa una sorta di ammissione di colpevolezza di Lucas riguardo l’incapacità di gestire quella mole di informazioni in tre film. La serie poi ci ha regalato Ahsoka e Mandalore (e dunque The Mandalorian), tra gli infiniti meriti, e tanto basta per benedirla.
Avanti veloce a non molto prima dell’inizio di Episodio IV e infine a ridosso di Rogue One, è il momento di Star Wars Rebels, incentrato su un gruppo di ribelli del pianeta Lothal, fino al loro ingresso nel più ampio movimento dell’Alleanza, che avrebbe poi scatenato la guerra civile galattica contro il dominio imperiale.
Nel corso delle quattro stagioni, complice la presenza nel gruppo di protagonisti di un Jedi sopravvissuto all’Ordine 66 (Kanan Jarrus) e un ragazzo sensibile alla Forza che diventerà suo apprendista (Ezra Bridger), Rebels affonda molto nella mitologia del franchise, aggiunge dettagli clamorosi o idee nuove di zecca in grado di stravolgere le regole del gioco finora poste.
É una serie animata stupenda, che dopo la prima debole stagione scoppia tanto da far esplodere il cuore di qualsiasi appassionato. L’intreccio diventa maturo, sfaccettato, lucido e perlopiù ben distribuito in orizzontale tra un episodio e l’altro, ogni protagonista si muove su una caratterizzazione solida, interessante e credibile, il fan service è sempre brillante e puntuale, con vette inaudite, persino per i capitoli cinematografici direi, e ogni finale di stagione è semplicemente una perla.
Rebels dopotutto, nonostante dalle prime battute non sembri, è praticamente diretto seguito di The Clone Wars, di cui dopo qualche passo falso recupera ogni singolo punto di forza. Il meglio del meglio di Star Wars, lo dico senza particolari titubanze.
L’ultima in ordine cronologico e di uscita, conclusasi lo scorso gennaio con solo due stagioni, Star Wars Resistance si piazza invece a ridosso de Il risveglio della forza, sviluppandosi poi in estensione su tutta la nuova trilogia.
Resistance vede protagonista Kazuda Xiono, figlio di un senatore della Nuova Repubblica (l’organo istituzionale debole sostituto dell’impero galattico, per approfondire leggete Bloodline), che una volta assoldato nella Resistenza contro il Primo Ordine (la nuova fazione di cattivoni) finisce per lavorare sotto copertura per conto di Poe Dameron.
A causa pure della piatta mediocrità dei primi episodi della stagione introduttiva, tralasciando lo stile d’animazione a mio avviso davvero piacevole ed azzeccato, ammetto di non essere ancora andato oltre un quarto della tornata iniziale.
Su Resistance quindi sospendo il giudizio qualitativo, ne riparleremo comunque a breve qui su Lega Nerd
The Mandalorian
Vera star del lancio di Disney+ e forse il contenuto più bramato del neonato servizio di streaming, The Mandalorian è il primo grande passo verso un futuro di Star Wars che dovrà puntare su televisione e streaming esattamente con la stessa considerazione del medium cinematografico, nel perfezionamento di un progetto transmediale coerente e a tutto tondo.
Non più animazione, ma tutto in live action, immenso valore produttivo alle spalle di una messa in scena che recupera le atmosfere della trilogia originale, effetti a metà strada tra digitale e analogico, un protagonista laconico e dal volto sempre nascosto sotto un elmo, una creatura affascinante, riconoscibile e adorabile per fare impazzire i social: la gigantesca risonanza della serie non è poi così difficile da spiegare.
Composta da otto episodi dal minutaggio abbastanza insolito di trenta/quaranta minuti, e retta dalle menti di Jon Favreau e del veterano Dave Filoni, The Mandalorian è ambientata circa cinque anni dopo la battaglia di Endor alla fine di Episodio VI, e circa venticinque anni prima degli eventi de Il risveglio della forza.
Al centro della serie il mandaloriano, un cacciatore di taglie aderente ad una sorta di credo radicale emerso dalle ceneri della cultura bellica di Mandalore, un individuo di cui a primo acchito non conosciamo praticamente nulla, tantomeno nome e vera e propria origine.
Di sicuro anche per impatto The Mandalorian funziona molto bene nei suoi primi tre episodi e negli ultimi due piuttosto concitati, mentre tutto l’atto intermedio a tratti soffre di uno sviluppo eccessivamente verticale che annacqua il racconto e ne evidenzia frazioni per intero filler.
In ogni caso però The Mandalorian è intrattenimento eccellente sia per l’appassionato, che troverà mille esplicite chicche di fan service e tanti richiami visivi e sonori alla prima trilogia, sia per lo spettatore più naïf che comunque godrà di un prodotto carismatico e di alto profilo influenzato palesemente da una sensibilità western.
In testa all’articolo e in cover oggi il poster della Star Wars Celebraion Chicago del 2019