Cos’è successo al lievito di birra? Un tempo scadeva nei frigoriferi dei supermercati e oggi non si trova nemmeno a morire. Ecco spiegato l’arcano dai dati raccolti da Nielsen.
Dov’è finito il lievito di birra? Ce lo chiediamo in molti in questo periodo di quarantena.
E se, davanti alle farmacie sono affissi cartelli con frasi del tipo “le mascherine non ci sono e non arriveranno mai”, già alcuni supermercati ne mostrano di analoghi all’ingresso per stroncare le flebili speranze sul nascere dei clienti in coda: “il lievito di birra in cubetti non c’è e non arriverà”.
In realtà non serve un genio per capire perché. Come spesso succede, basta guardare i numeri.
Andiamo allora a scartabellare tra i dati in particolare affidandoci a un un report molto completo diffuso qualche giorno fa da Nielsen che, per chi non la conoscesse, è “un’azienda globale di misurazione e analisi dati che fornisce la più completa e affidabile visione al mondo sui consumatori e sui mercati.”
Nel grafico sottostante sono mostrati come sono cambiati i consumi degli italiani nell’ultimo mese divisi per macro categorie: ingredienti base della drogheria alimentare e pulizia e igiene della casa.
Salta subito all’occhio come siano schizzati con un aumento che si avvicina addirittura al 200% i prodotti della categoria “Farine e Miscele”.
Italiani popolo di tenaci panificatori, non si danno per vinti e, rinchiusi in quarantena , non rinunciano al piacere della pizza e del fragrante pane appena sfornato. Va da sé quindi dove sia finito il lievito di birra…
Comunque, analizzando nel complesso i dati, si osserva che le categorie di prodotti maggiormente impattate durante la settimana che va dal 16 al 22 marzo del 2020, come riportato dagli ultimi dati pubblicati da Nielsen lo scorso 27 marzo, siano legati a tre principali “effetti”.
- effetto “stock”, in ordine di grandezza rispetto al fatturato generato: farina (+186,5%), uova di gallina (+53,7%), latte UHT (+34,1%), surgelati (+6,8%), conserve animali (+32,1%), burro (+79,7%), conserve rosse (+50,8%), pasta (+22,6%), riso (+37,9%) e caffè macinato (+21,5%);
- effetto “prevenzione e salute”, in ordine di grandezza rispetto al fatturato generato: guanti (+263,7%, carta igienica (+28,4%), detergenti superfici (+56,4%), carta casa (+46,4%), candeggina (+87,6%), sapone per le mani, liquido e solido (+73,8%), alcol denaturato (+116,4%), salviettine umidificate (+68,6%) e termometri (+45,9%);
- effetto “resto a casa”, da un lato crescono categorie che potrebbero essere considerate adatte a un aperitivo casereccio, pizza surgelata (+45,7%), vino (+12,4%), birre alcoliche (+11,3%), affettati (+28,1%), mozzarelle (+44,6%), wurstel (+44,2%), patatine (+25,7%), ma cresce anche quello che possiamo considerare “comfort food”, sempre in ordine, spalmabili dolci (+61,3%), gelati (+21,5%), wafer (+16,2%). Da segnalare anche l’aumento notevole delle vendite di camomilla (+76,3%). In calo anche molti segmenti del comparto make-up (-70%), profumeria (-63,6%) e cura viso (-41,1%). Della serie: se nessuno ci vede si può rimanere befane (poveri mariti e conviventi…).
E qualcuno parla già – e non a torto – di aumento dei prezzi, osservando probabilmente un personale incremento nei soldi impiegati per i rifornimenti casalinghi.
L’effetto si può imputare in parte all’andamento dell’intensità promozionale, ovvero la quantità di prezzi in promozione rispetto al totale del venduto come mostra il grafico sottostante.
Si osserva una tendenza alla diminuzione, evidente in particolare nella quarta e nella quinta settimana dell’emergenza, dove si fanno meno promozioni persino rispetto al periodo successivo delle feste natalizie, normalmente pieno invece di offerte.
Non è però solo l’intensità promozionale l’unico fattore responsabile di questo effetto, ma lo svantaggio per il consumatore nasce anche dal fatto che è obbligato ad acquistare in un regime forzato di minore concorrenza, essendo chiamato a scegliere il negozio più vicino a casa e ad accontentarsi di quello che trova sugli scaffali.
Non è il momento giusto per fare scorte
Non serve quindi fare grandi scorte in questo periodo perché non è assolutamente un momento vantaggioso per fare acquisti.
Il nostro consiglio quindi è di comprare l’indispensabile e invece per il problema del lievito di birra niente paura, anche se non lo trovate vi forniamo una soluzione per non lasciare in dispensa tutta la farina che avete acquistato senza poterla trasformare in pane o pizza.
Ecco il link per fare il lievito di birra in casa firmata addirittura da due panificatori professionisti: Luciano Pignataro e Davide Gallera.
- Coronavirus: la spesa in quarantena (nielsen.com)