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La teoria dell’ambra di Jurassic Park: finzione o realtà?

Nel 1993 Jurassic Park sbancava i botteghini con la trasposizione del romanzo di Michael Crichton, raccontando ai fan di tutto il mondo la teoria che con il sangue di dinosauro succhiato dalla zanzara, imprigionata in una goccia d’ambra, si può dar vita ad una creatura ormai estinta da milioni di anni. Quanto c’è di vero nella teoria ipotizzata dallo scrittore americano e poi riproposta da Spielberg sul grande schermo?

 Il fascino dei dinosauri è un qualcosa che ognuno di noi si porta dentro sin dall’infanzia. Tutti possono rispondere al quesito qual è il tuo dinosauro preferito e non è un mistero che insieme al lavoro dell’astronauta probabilmente quello del paleontologo, alla ricerca di forme di vita estinte in giro per il Pianeta Terra, è la professione più sognata dai bambini.

Questa passione con la storia ideata da Michael Crichton, poi trasposta al cinema da Steven Spielberg, ha subito un drastico cambiamento perché la teoria che si potesse ricreare un dinosauro attraverso i filamenti di DNA ritrovati all’interno delle zanzare fossili, non sembrava così fantascientifica.

Ma andiamo a scoprire quali sono le leggende metropolitane che ruotano attorno a questa teoria e magari cosa c’è di vero in tutta questa storia.

In Jurassic Park il cardine di tutto il progetto è appunto la zanzara avvolta dall’ambra fossile. Innanzitutto l’ambra è una resina emessa dalle conifere, che con il tempo si fossilizza e in alcuni casi solidificandosi intrappola al suo interno, conservandone il più delle volte la tridimensionalità totale, resti vegetali come foglie oppure animali tra cui artropodi e chiaramente insetti.

Nel film proprio le zanzare intrappolate all’interno di questo minerale hanno dato vita ai dinosauri più iconici del mondo giurassico. “Ci sono tracce di sangue in insetti catturati nell’ambra risalenti al Mesozoico – racconta il biologo e science writer Massimo Sandal – come per esempio un ritrovamento di zecche, ma purtroppo devo da subito scardinare il sogno di John Hammond e di tutti i suoi fan.

 

 

Ai tempi di Jurassic Park c’era uno studio scientifico sull’ambra e il DNA trovato al suo interno, ma poi confutato

Alla domanda se si mantiene nel tempo il DNA del sangue fossilizzato si deve rispondere no. Tuttavia Crichton non stava inventando perchè ai tempi di Jurassic Park c’erano in effetti degli studi che sembravano dimostrare che si potesse ottenere DNA da fossili antichissimi, ma sono stati purtroppo confutati in seguito.

Oggi sappiamo, da numerosi dati ed esperimenti, che anche nel copale -il precursore dell’ambra- non si trova DNA in insetti vecchi solo poco più di 10.000 anni. Le speranze di poter ottenere DNA da zanzare dell’epoca dei dinosauri sono davvero remotissime.

 

 

La ricerca che porta all’ambra va di pari passo ad un altro materiale in grado di accogliere e conservare perfettamente le proprietà degli animali estinti: il ghiaccio.

Sì perché nella storia della paleontologia i resti ritrovati nel permafrost sono tra le scoperte più sensazionali mai avute, come i mammut o le tigri dai denti a sciabola. Purtroppo non ci sono ad oggi casi di insetti conservati nel ghiaccio o nel permafrost dal passato “anche se di sicuro ce ne saranno.

Mi vien da dire – continua Massimo Sandal – che nel ghiaccio di certo il DNA ha maggiori chances di conservarsi perché si trova in un ambiente protetto dal freddo, ma di nuovo si tratterebbe al massimo di centinaia di migliaia o pochissimi milioni di anni fa quindi assolutamente lontani dai dinosauri di Jurassic Park”. Tornando alla pellicola realizzata da Spielberg ricordiamo che solo una traccia di DNA, unita a quella di altri rettili faceva ricostruire la mappatura di un intero dinosauro.

 

Facciamo conto che eticamente ci siano le basi per ricreare una creatura estinta, che sia un mammut o un T-Rex, qual è la finzione o la base reale di questa “teoria”?

Per quanto riguarda Jurassic Park la base teorica è che, siccome condividiamo una grossa parte del DNA con le specie viventi a noi vicine (e anche meno vicine, volendo) si può pensare di ricostruire un genoma antico noto anche solo per pochi frammenti riempendo i buchi con DNA presente.

La somiglianza tra i genomi a livello di singole sequenze è vera, volendo, ma la realtà è più complessa. La maggioranza delle differenze tra specie diverse sta nelle sequenze non codificanti, ovvero non i geni in sé ma quelle che dicono ai geni come e quanto attivarsi durante lo sviluppo.

Se queste sequenze differiscono, differisce anche l’animale che si svilupperà. Un ibrido rana-dinosauro o pollo-dinosauro quindi, ottenuto per taglia e cuci come fanno in Jurassic Park, difficilmente assomiglierebbe molto a un dinosauro (e dubito sarebbe vitale). 

 

 

Questa somiglianza tra genomi  – continua il biologo Sandal – può però essere sfruttata nel caso di specie estinte di cui abbiamo il genoma intero o quasi, come il mammut. Il problema qui è che la sequenza è intera solo sui nostri computer, essendo stata assemblata al calcolatore a partire da miriadi di piccoli frammenti di DNA.

Il risultato di un mix di DNA sarebbe quello di una creatura ibrida con scarse possibilità di vita

Quindi dobbiamo riottenere un genoma fisico, concreto, intero di mammut, fatto di DNA, non come file su hard disk. Per farlo un’idea è quella di prendere un animale molto vicino evolutivamente, come un elefante indiano, e “correggere” il suo DNA per renderlo sempre più simile a quello di un mammut.

Il problema è che comunque queste piccole differenze sono troppe, oggi, tecnicamente, per correggerle tutte, e dobbiamo quindi decidere quali e quante tenere in conto. Anche qui quindi il risultato sarà una sorta di ibrido, ma le chances che sia vitale e approssimativamente simile all’animale desiderato sono assai maggiori”.

In conclusione l’ambra risulta un meraviglioso minerale che preserva perfettamente la forma tridimensionale dell’animale, dandoci l’idea che sia defunto il giorno prima: è questa suggestione che ci ha portato a pensare una tecnica come quella di JP.  

 

Quindi quali sono le informazioni utili che siamo riusciti a ricavare dall’estrazione del Dna o semplicemente dall’insetto imprigionato nell’ambra?

“Dal DNA in ambra, direi nulla. Come detto prima, gli studi che negli anni Novanta dichiararono di aver trovato sequenze di DNA nell’ambra o altri fossili mesozoici sono stati tutti confutati.

Il DNA sequenziato si trattava solo di DNA che si trovava nell’ambiente dei laboratori: oggi infatti sappiamo che questi sono esperimenti che richiedono una enorme pulizia e rigore sperimentale. Questo non vuol dire che i fossili in ambra siano inutili, anzi!

L’ambra ci affascina perché appunto preserva con dettaglio pressoché perfetto la forma dell’animale. In realtà, benché la forma sia preservata, chimicamente l’organismo in ambra è assai alterato.

Ma l’ambra è l’unica modalità di fossilizzazione che ci permette di rivedere un animale o una pianta com’era in dettaglio tridimensionale, e ci ha permesso di ricostruire tantissimo su organismi altrimenti difficili o impossibili da trovare fossilizzati, come appunto piccoli insetti.

Ci ha quindi chiarito molto sull’evoluzione e il ruolo degli insetti e altri artropodi nel passato – ma perfino piccoli frammenti di dinosauro e uccelli sono stati trovati in ambra, conservati in ogni dettaglio di pelle e piume. I fossili in ambra sono una risorsa insostituibile in vari rami della paleontologia: semplicemente non torneranno a rivivere”.

Il sogno di John Hammond, nonostante come lui amava ricordare di non badare a spese, rimane un bellissimo ma utopico sogno, un parco di dinosauri viventi non potrà, secondo le tecniche odierne, mai essere realizzato anche perché il film e il libro insegnano: sicuri di poter gestire un parco con creature estinte da milioni di anni?

 

Massimo Sandal, biologo e science writer ha scritto “La Malinconia dei Mammut” per Il Saggiatore.

 

 

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