È in sala Piccole donne, quinta trasposizione cinematografica del classico di Louisa May Alcott, a cui Greta Gerwig, sia regista che sceneggiatrice, dà nuova linfa grazie a un punto di vista moderno e a un cast eccellente, tra cui spiccano, oltre alla protagonista Saoirse Ronan, Florence Pugh e Timothée Chalamet.
Un classico è un’opera che, con il passare del tempo, non perde la sua forza, anzi, assume un nuovo significato per ogni nuova generazione.
Piccole donne, così come Pinocchio, è sicuramente una di queste: non è un caso quindi che siano arrivati nelle nostre sale, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, due film che ripropongono queste storie immortali, che sembrano non perdere mai il proprio potere di far appassionare i giovani spettatori (e non solo: nel caso del burattino di legno creato da Carlo Collodi è presto in arrivo anche un adattamento in stop motion firmato da Guillermo Del Toro).
In sala dal 9 gennaio, Piccole donne è il quinto adattamento cinematografico della tetralogia di Louisa May Alcott, testi considerati classici della letteratura per ragazzi: dopo il film muto del 1919, quello anni ’30 di George Cuckor con Katharine Hepburn nel ruolo di Jo, quello del ’49, diretto da Mervyn LeRoy, con protagoniste Elizabeth Taylor e Janeth Leigh, e la pellicola del 1994 di Gillian Armstrong, con Winona Ryder, Kristen Dunst e Claire Danes, è ora Greta Gerwig a cimentarsi con la storia delle sorelle March.
Sia regista che sceneggiatrice, Greta Gerwig ha fatto tre cose molto intelligenti approcciandosi all’opera di Alcott: ha scelto un cast giovane fenomenale (a cui fanno “da spalle” veterani come Meryl Streep, Laura Dern e Chris Cooper), è rimasta fedele allo spirito dell’opera riuscendo al tempo stesso a darle nuova linfa grazie a un punto di vista più moderno e, infine, ha nascosto se stessa dietro a una storia già consolidata, proprio lei che, fino a ora, ha impresso molto della propria biografia nei film a cui ha lavorato.
Piccole donne: quattro donne e, sopratutto, quattro sorelle
Chiunque conosca la storia della quattro sorelle March, Meg, Jo, Beth e Amy – che si trovano a dover affrontare la difficoltà di crescere in ristrettezze economiche sullo sfondo della Guerra di secessione americana – sa che Jo, la secondogenita, è il personaggio più forte, nonché l’alter ego della scrittrice. Tutti i film fatti fino a ora si sono concentrati sopratutto su di lei e anche in questo è chiaro che la regista si rispecchi nella più volitiva, ambiziosa e ribelle delle ragazze. È stata dunque cruciale per il ruolo la scelta di Saoirse Ronan che, a soli 25 anni, è uno dei talenti più luminosi del cinema contemporaneo, vantando già tre nomination Oscar (che a breve potrebbero diventare quattro, proprio grazie a questo film) e la vittoria di un Golden Globe, ottenuto per la sua interpretazione in Lady Bird, secondo film da regista proprio di Gerwig.
Il sodalizio tra le due è di quelli fortunati e felici: è chiaro che tra loro ci sia completa fiducia e sintonia. La loro Jo March non sfigura di fronte a nessuna delle precedenti versioni cinematografiche, nemmeno quella di Katharine Hepburn. Ma questo era prevedibile. La vera sorpresa è altrove: con grande sapienza, la regista e sceneggiatrice ha fatto quello che nessuno aveva osato fino a ora, ovvero dare pari dignità ai personaggi di Amy e Laurie. Il ruolo della più giovane delle sorelle March è andato all’astro nascente Florence Pugh (che, dopo Midsommar e The Little Drummer Girl, si conferma un talento esplosivo), mentre quello del ricco erede della famiglia Laurence è ancora una volta di Timothée Chalamet, ormai l’”attor giovine” più amato di Hollywood.
Se Jo è infatti come la ricordavamo, intraprendente, restia a sposarsi, concentrata sulle proprie passioni, Amy e Laurie nel film di Gerwig assumono tutta un’altra levatura: non più una semplice ragazzina vanitosa preoccupata soltanto del suo aspetto, Amy diventa qui una co-protagonista, con ambizioni artistiche pari a quelle della sorella, ma che si accorge presto di non avere lo stesso talento e, sopratutto, gli stessi desideri.
Laurie invece non è soltanto il ragazzo ricco in balia della propria fascinazione per le belle vicine di casa, ma un adolescente tormentato, che si interroga sul suo futuro, sui propri sentimenti, che non dà per scontato l’amore e la posizione sociale. Questo tris di attori splendidi, che fanno a gara di bravura senza mai prevaricarsi, anzi, mettendosi al servizio l’uno dell’altro, ci dà qualcosa di inedito: un dialogo, un crescere insieme confrontando le proprie differenze, che, per quanto inconciliabili, ci aiutano a capire meglio chi siamo.
E se Jo e Amy litigano, si fanno i dispetti e in certi momenti, come succede a tutti i fratelli, non si sopportano, si vogliono comunque sempre bene, si sostengono a vicenda e sopratutto si rispettano.
La bellezza di questo Piccole donne sta proprio nell’esplorare diverse forme di femminilità (e mascolinità) senza dare a nessuna più dignità dell’altra.
Non c’è colpa nel desiderare il matrimonio, così come nel volersi concentrare sulla propria carriera. La cosa più importante è la sorellanza.
La Hollywood di oggi nell’’800
La più grande libertà che Greta Gerwig si prende in Piccole donne è nel finale che, tranquilli, non sveleremo: quella scena è il culmine di un discorso che la regista rende ben chiaro fin dalle prime immagini. Jo, che ha sempre sognato di diventare una scrittrice, quando vede le sue parole stampate su carta è come se stesse assistendo alla nascita di un figlio: in quelle pagine ci sono tutti i suoi sogni, l’ambizione e la passione che la guidano.
È nata una grande regista.
Non si vive di sola fuoco sacro però: se l’artista deve avere come primo pensiero l’opera, non può non pensare anche al mondo in cui la lascerà in eredità. Ecco perché Jo per tutto il film ci mostra chiaro e tondo che il vero punto su cui concentrarsi non è “matrimonio sì, matrimonio no”, “cuore sì, cuore no”, ma l’istruzione prima di tutto, la sicurezza nelle proprie capacità e infine ottenere un sostegno economico grazie al proprio talento. Nella Jo ormai scrittrice in affari c’è tutto ciò per cui le donne di oggi lottano: il diritto a studiare, il diritto di potersi mantenere da sole, di avere un equo compenso e, perché no, di trasformare il proprio lavoro in un’attività di successo.
Inevitabile quindi non pensare al movimento #MeToo e al dibattito, sempre più animato, che popola il cinema in questi giorni: l’arte vale meno se diventa un franchise? Greta Gerwig, grazie a un’ottima scrittura, è riuscita a inserire tutto questo in Piccole donne, facendo convivere il meglio di una storia di fine ‘800 e la Hollywood di oggi. È nata una grande regista.