Alzi la mano chi veramente sperava in questo nuovo Man In Black… Ecco, ora abbassatela perché avete fatto l’ennesima figura ridicola della vostra carriera da veggenti.
Qualche giorno fa abbiamo avuto la (s)fortuna di vedere in anteprima il quarto capitolo del franchise fumettistico reso grande da Will Smith e Tommy Lee Jones. Partiamo infatti proprio da questo, prima di analizzare la bruttura generale della realizzazione.
Il suffisso “International”, come è facile intuire, demanda alla natura non-americana dell’ambientazione di questo nuovo capitolo. Un po’ come recentemente accaduto con Spiderman Far From Home, anche qui ci si allontana da New York (la si vede solo in un prologo utile ad entrare nell’iconica “reception” che ben conosciamo, per trasferirsi nella sede di Londra e da qui girovagare tra l’Europa e il Nord Africa.
Questi elementi sono utili ad essere sfruttati come pretesti per cancellare totalmente i vecchi agenti dalle menti dello spettatore, se non fosse per un quadro appeso nell’ufficio di Liam Neeson (capo della sede di Londra) che ritrae i vecchi eroi accanto ai nuovi. Tessa Thompson, alias Molly, è una ragazza newyorkese che da bambina ha avuto modo di scoprire l’esistenza degli alieni, non venendo poi “sparaflashata” per cancellarne la memoria.
Passerà tutta la vita a tentare di ritrovare gli uomini-in-nero, finché un giorno non riesce nell’impresa e fa di tutto per essere reclutata. Tralasciando una imbarazzante sequenza, che si riduce a due minuti di chiacchiere ridicole per convincere un capo ad entrare nella più sofisticata e segreta società del mondo, questo evento da il via all’intreccio.
A Londra Molly incontrerà Chris Hemsworth, in un ruolo che non gli si addice, e che lo mostra anche in situazioni estremamente imbarazzanti (come quando si autocita con un martello per richiamare il suo Thor). A condire un gruppo poco amalgamato, ci pensa un Liam Neeson ingessato e nascosto dietro ad un personaggio stereotipato e dall’arco narrativo prevedibile e scontato più del Black Friday.
Le problematiche narrative del film potrebbero già da sole bastare per raccontare di un prodotto mediocre, scritto approssimativamente, con tempi sbagliati, umorismo gratuito e poco incalzante e un finale comprensibile dopo letteralmente dieci minuti di film. La realtà purtroppo è peggiore della fantasia, e ciò che fa realmente impressione, è vedere come tecnicamente il film non funzioni.
Andando a vedere Man in Black International, avrete modo di assistere ad una delle scene d’azione più statica del ventunesimo secolo. Alla quasi totale mancanza degli alieni che hanno fatto grande il franchise. All’inettitudine di una messa in scena che racconta poco e ancor meno in maniera fumettistica. Un montaggio poco presente e una regia scialba (non)condiscono tutto questo piatto che potrà facilmente rimanervi indigesto.
Noi dal canto nostro non abbiamo idea di come tutto possa esser andato così male, almeno finché non facciamo riaffiorare alla mente il ricordo dell’ultimo Ghostbusters, e capiamo facilmente come non ci sia mai limite al peggio.
Non siamo tra coloro che disdegnano reboot e remake, tutt’altro, ma tendiamo a credere che ciò che è morto, meriti di resuscitare solo quando si pensa davvero di essere in grado di fare un miracolo, come si racconta in un mito di qualche millennio addietro.
In questo specifico caso, niente e nessuno ci convincerà che, professionalmente, i responsabili della pellicola abbiamo mai pensato che potesse funzionare, proprio per il fatto che nessun elemento della pellicola riesce neanche lontanamente a mantenersi in piedi.
È sconsolante parlare in questo modo di un capitolo di un franchise che così tanto abbiamo amato e che, proprio per questo affetto viscerale, ci porta ad essere meno indulgenti nei confronti di chi non gli ha reso onore e non lo ha rispettato.
La percezione durante la visione è quella di un film realizzato svogliatamente, senza alcun tipo di procedimento artistico dietro e con la sola ed unica consapevolezza di poter incassare facilmente grazie ad un nome che, però, non consente nemmeno di stare così tranquilli guardando al botteghino.
La proverbiale ciliegina sulla torta è poi gentilmente offerta dalla ormai stucchevole e degradante necessità di dover rimarcare sempre la grandezza femminile. Ritrovarsi a discutere nel film riguardo alla dicitura MAN in Black o dover puntualizzare sul fatto che tutte le donne sono principesse, inizia seriamente a portare all’effetto contrario al voluto.
La ricerca di una parità, di un’uguale considerazione nel mondo, che sia cinematografico o a tutto tondo, è quanto di più giusto e legittimo si possa tentare.
Trasformare questa “lotta giusta” nell’apologia della superiorità di un genere su un altro, sbandierandolo costantemente e tentando in maniera poco ironica di giocarci con le battute, sta portando sempre più le sale cinematografiche a sbuffare di fronte a questi fenomeni di costume. A prescindere poi dalla realtà di ciò che leggete in giro o meno, anche quelli che ne innalzano le motivazioni, sono quelli che non ne possono più di ascoltare le solite battute femministe. Rispettate i generi. Tutti. Dal primo all’ultimo. Così come sarebbe il caso che il cinema rispettasse un po’ di più i propri spettatori paganti e non.
Man In Black International è al cinema dal 25 luglio.