Quinta giornata al Giffoni Film Festival e quarto ospite internazionale di questa 49ma edizione. È Evan Peters, attore feticcio di Ryan Murphy in American Horror Story nonché volto di Quicksilver nella saga degli X-Men dal 2014 in poi.
Continua la scia di giovani artisti al Giffoni Film Festival. Nella quinta giornata di Festival è il turno di Evan Peters sfilare sul blu carpet del festival salernitano, incontrando la stampa e i giovanissimi protagonisti del Festival.
Volto noto della saga di American Horror Story, dal 2014 è Quicksilver nella saga degli X-Men, che ha visto il suo ultimo capitolo con Dark Phoenix proprio qualche mese fa.
Apparentemente introverso e con lo sguardo un po’ “folle” come alcuni dei suoi personaggi che lo hanno visto protagonista di ben otto stagioni di American Horror Story, Evan Peters è in realtà uno di noi: amante dei fumetti, dei cinecomic e della buona musica.
Da bambino vidi Spider-man al cinema e me ne innamorai. Ma sinceramente sono anche molto legato a Batman.
Afferma Peters quando gli viene chiesto quale sia il suo rapporto con il mondo dei supereroi.
Non sono un avido lettore di fumetti, lo riconosco; anzi, non lo sono stato, ma ho sempre avuto una grande passione per il mondo Marvel. Aver avuto modo di lavorare in questo mondo, per me è stato incredibile. Una gioia inaspettate poter far parte di qualcosa che ho sempre visto e amato.
Non appena mi hanno confermato la parte, ho fatto incetta di fumetti, tutti quelli che potevano essere collegati direttamente o indirettamente con il mio personaggio. Ne volevo sapere quanto più possibile!
Il futuro per quanto riguarda gli X-Men, soprattutto dopo Dark Phonix e l’acquisizione della 20th Century Fox da parte della Disney è ancora incerto. Su questo Evan Peters non può dire nulla, proprio perché non ne sa nulla, anche se un desiderio per il suo personaggio, o anche nella veste di qualcu’altro, ce l’ha.
Non è possibile neanche definirlo un cameo, ma in effetti nel secondo Deadpool il personaggio di Quicksilver compare.
Sinceramente? Mi piacerebbe davvero lavorare nel nuovo film di Deadpool!
Supereroi e superpoteri a parte – a questa domanda Evan Peters ha mostrato con ironia la sua abilità mimica nel muovere le sopracciglia, dicendo poi di non essere troppo convincente come supereroe – Evan Peters ha una carriera caratterizzata da personaggi particolarmente oscuri e, spesso e volentieri, coinvolti in situazioni malvagie, tanto sopranaturali quanto reali.
Infatti sebbene la carriera di Evan Peters sia iniziata nei primi 2000, il vero successo per l’attore è esploso grazie allo showrunner Ryan Murphy e alla sua serie antologica a tema horror American Horror Story. Peters ha fatto il suo debutto nella serie fin dalla prima stagione (Murder House) nei panni di Tate Langdon, diventando uno dei volti iconici della serie.
Il prossimo autunno arriverà American Horror Story: 1984, nona stagione della serie, e anche prima in cui non lo vedremo tra il cast.
Non è che io abbia rinunciato a far parte di questa nuova stagione. Non mi sembra il termine giusto “rinunciare”.
È una serie che richiede moltissimo impegno, dedizione e lavoro. Ci vuole davvero tanta forza di volontà nelle riprese, proprio perché una serie complessa che chiede tanto dal suo cast.
Sinceramente in questo momento ho bisogno un attimo di pausa, di staccare un po’. E poi… finalmente potrò vedermi American Horror Story rilassato sul divano!
Non lo si può certo biasimare. Del resto, Ryan Murphy è un genio inarrestabile e instacanbile. Un uomo che negli ultimi anni ci ha regalato tra le migliori serie all’interno del panorama, dai chirurghi di Nip/Tuck fino alla recentissima Pose, pluricandidata ai Golden Globe e ai recentissimi Emmy Awards, passando per la più teen Glee, l’ormai iconica American Horror Story e la versione thriller basata sui più eclatanti fatti di cronaca americani American Crime Story.
Alla sua seconda stagione, Pose è la serie con il più grande cast di transessuali. Ambientata nella New York di fine anni ’80, la storia guarda alla giustapposizione di diversi segmenti della vita e della società: l’ascesa del lussuoso universo dell’era Trump, la scena sociale e letteraria e il mondo della cultura dei ball.
Durante l’incontro con i più giovani, colpito dall’interesse per le domande poste dai ragazzi, Evan Peters, che nella serie interpreta Stan Bowes, uomo di famiglia che si innamora di una prostituta transessuale, senza peli sulla lingua si mostra essere estremamente orgoglioso di essere entrato a far parte di questo cast, definendolo come una vera e propria famiglia unita – proprio come i loro personaggi – contro uomini, pensieri e ideologie fondante sull’odio e mosse da persone come Trump.
Più ridimensionato l’attore con i giornalisti, dove invece racconta del suo rapporto con il personaggio e con il tipo di casting per il quale Murphy ha puntato per questa serie.
Stan è uno dei personaggi che ho più amato fare nel corso delle mia carriera. Il cast di Pose è davvero incredibile e il fatto che siano dei veri transessuali, che quel tipo di situazioni le hanno vissute sulla propria pelle, l’odio, il rifiuto, la disperata ricerca del proprio posto nel mondo… è un valore aggiunto alla serie.
Pose mostra il loro continuo confronto con un mondo che li rifiuta. Sono davvero ottimi attori che sanno cosa fare, perché fa parte del loro vissuto e secondo me tanto nelle serie TV quanto nel cinema dovrebbe essere sempre così.
In questi anni sono stati tanti e diversi i personaggi che hanno visto coinvolto Peters nel progetto American Horror Story, dal fragile e disturbato Tate al più recente ed eccentrico Mr. Gallant, passando per il giovane Kyle, il tormentato Kit Walker o l’omicida James Patrick March.
Un calderone interessante di personaggi che hanno visto Evan Peters a confronto con le differenti sfumature del male.
Ci sono stati tantissimi personaggi in questi anni, ma credo che i miei preferiti siano stati Tate (American Horror Story: Murder House) e Mr. March (American Horror Story: Hotel).
Il lavoro con James Patrick March è stato molto interessante, un po’ come capita spesso quando devi interpretare personaggi di epoche passate. Mi è piaciuto immergermi nella storia, farmi trascinare dal periodo e anche dal tipo di personaggio incarnato da March.
Devo dire che interessante è stato anche il lavoro che ho fatto su Kyle (American Horror Story: Coven). Lui è una sottospecie di Frankenstein e mi sono ispirato moltissimo a quello interpretato Benedict Cumberbatch nel 2011.
Potrà sembrare estremamente tenebroso e poco incline all’essere sociale, ma invece Evan Peters è l’esatto opposto, rivelandosi anche un po’ “stanco” di interpretare personaggi così cupi.
In American Horror Story ho sempre interpretato ruoli estremamente cupi. Spesso e volentieri cercavamo di mettere qualche nota più ironica proprio per smorzare l’atmosfera fin troppo oscura che aleggiava attorno al personaggio.
È sbagliato pensare che anche io sia così, perché non è vero.
Posso definirmi forse una persona eccentrica, ma non ne sono troppo sicuro; o meglio, mi si dovrebbe conoscere meglio per poterlo davvero dire.
Sicuramente quando recito cerco di alzare sempre l’asticella di alcuni estremismi, come appunto l’eccentricità, per dar vita al meglio al personaggio. Dipende tutto da cosa richiede la sua caratterizzazione.
E infatti per il futuro Evan Peters spera in qualche ruolo opposto al mood di American Horror Story.
É sempre difficile pensare al futuro o ai personaggi che si vorrebbero interpretare, ma sinceramente mi piacerebbe davvero fare qualcosa legato all’amore, magari una storia d’amore, qualcosa anche di musicale e molto lontano da tutto quello che ho fatto fino a questo momento.
Non sarà cupo come i suoi personaggi Evan Peters, eppure un po’ “outsider” nel corso della sua carriera si è sentito anche lui, ma in modo differente rispetto a come potremmo immaginare.
Se mi sono sentito emarginato? Chiunque faccia questo lavoro si sente un emarginato, perché ti costringe a spostarti in continuazione. A cambiare luoghi, case, modo di vivere. Conosci persone per tre mesi e poi sei nuovamente pronto a ripartire. Non hai davvero tempo di fare amicizia con loro e questo a lungo andare può risultare alienante.
La prima volta che dal Michigan me ne sono andato per trasferirmi a Los Angeles mi sono sentito davvero solo, messo ai margini; ma, ripeto, credo sia una sensazione che qualsiasi attore prova nel corso della sua carriera.
L’incontro con l’attore si conclude con un’ironica smentita riguardante una voce secondo cui Evan Peters stesse lasciando il mondo del cinema e televisione per dedicarsi unicamente a quello della musica.
No, no. Assolutamente. Se dovessi diventare un musicista professionista – e sottolineo se perché non credo di esserne capace – tutta la gioia che provo nel suonare o anche solo nell’ascoltare musica svanirebbe. La musica per me è un divertimento, qualcosa che mi serve per rilassarmi.
Un hobby ma anche una via di fuga dal mondo del lavoro, della recitazione. No, decisamente non ho intenzione di intraprendere una carriera da musicista.