Il terzo episodio di Life is Strange 2 è ufficialmente disponibile per tutti i sistemi. Scoprite come ci è sembrato con la nostra recensione.

Un silenzio sepolcrale è calato su Life is Strange 2. Sono passati ben tre mesi da Rules, ovvero l’ultima occasione che abbiamo avuto per metterci nei panni di Sean e Daniel Diaz, i fratellini di origini ispaniche protagonisti della serie a puntate firmata DontNod.

Un periodo lungo, probabilmente troppo, che lascia spazio a dubbi sull’efficacia della formula a episodi.

Per il futuro della saga converrà mantenerne inalterata la struttura oppure forse è arrivato il momento di azzardare una nuova direzione, magari progettando un unico contenuto, più esteso e indivisibile? E qualora prevalesse la prima ipotesi, non sarebbe il caso, almeno, di aumentare la durata dei singoli capitoli, attualmente ridotta all’osso? Per adesso non possiamo che rispondere in base al gusto personale.

Riteniamo che l’attuale spezzatino possa funzionare solo in caso di pubblicazioni a cadenza più ravvicinata, al massimo mensile. Sfidiamo d’altronde a trovare qualcuno disposto a guardare una puntata di una serie TV sapendo in anticipo che quella successiva verrà trasmessa 90 giorni dopo.

 

 

Prima di avviare Wastelands consigliamo senza riserve un ripasso degli accadimenti dei primi due capitoli.

Quando scorre troppa acqua sotto i ponti la memoria si appanna e svanisce la magia faticosamente raggiunta dall’intreccio. Il che sarebbe un vero peccato, considerando l’importanza dell’atmosfera in una sceneggiatura dal taglio autoriale come quella di Life is Strange 2. Prima di avviare Wastelands, consigliamo dunque senza riserve un ripasso degli accadimenti dei primi due capitoli, magari dando un’occhiata alle recensioni pubblicate da questo sito.

Wastelands chiama il giocatore ad assumersi le proprie responsabilità e lo trascina in un vortice di avvenimenti di cui solo in apparenza ha il controllo.

Ciò premesso, la buona notizia è che con Wastelands  finalmente il gioco ingrana la quinta, chiamando il giocatore ad assumersi le proprie responsabilità e trascinandolo, sia pure con la proverbiale lentezza che caratterizza da sempre la produzione, in un vortice di avvenimenti di cui solo in apparenza ha il controllo. E non parliamo di sciocchezze, ma di decisioni che cambieranno per sempre la vita dei protagonisti e determineranno l’assetto degli episodi a venire.

Dopo un breve – e, onestamente, trascurabile – prologo ambientato tre mesi prima dell’incidente di Seattle, ci ritroviamo nella contea di Humboldt, nel nord della California.

 

Nel gennaio del 2017, dopo settimane di vagabondaggio e lavoretti sottopagati, i fratelli Diaz sono stati assunti – si fa per dire – come servi remunerati a ore in una piantagione di cannabis. Sono stati accolti da una comunità di lavoratori che vive lì vicino, in mezzo a una foresta di sequoie giganti. Qui ognuno svolge a turno le faccende domestiche, come pulire i secchi per le feci, alimentare il generatore, rifornire la cucina o lavare i piatti.

La doccia la fanno, quando va di lusso, un paio di volte la settimana. Alla peggio possono pur sempre tuffarsi nell’acqua gelida del lago. La sera siedono tutti insieme attorno al falò. Fumano erba, filosofeggiano sul senso della vita, bevono birra, suonano la chitarra e si rilassano sotto le stelle. Lontani dal mondo, si sentono liberi di essere e fare ciò che vogliono. Non se la passano male.

Gran parte del merito va alle persone che compongono la comunità. Una galassia umana dove c’è tutto e il suo contrario. Jake è un tipo introverso, dalla mente scientifica. E’ pulito e ordinato fino all’ossessione. Ha una sorella di nove anni, la stessa età di Daniel. Non la vede da un pezzo e gli manca da morire. Penny è afroamericano e omosessuale. E’ scontroso e tendente al vittimismo. Difficile biasimarlo: l’uomo di cui era innamorato, un altro lavoratore di una piantagione di cannabis, un bel dì è scomparso – come spesso accade nella contea – nel nulla senza lasciar traccia.

 

 

 

 

Hannah è silenziosa e spesso imbronciata. Anni fa è fuggita a gambe levate dalla madre, un’alcolizzata senza speranze. E’ la capobranco: il carattere duro e autoritario le consente di mandare efficacemente avanti la baracca. Ingrid e Anders sono due turisti svedesi, due tizi di Malmo dal sorriso perennemente stampato sulle labbra. Ambientalisti convinti e progressisti fino al caricaturale, si entusiasmano per ogni cosa. Vogliono esplorare a fondo gli Stati Uniti.

Finn è cresciuto aiutando il babbo a rubare macchine per poi riverniciarle. Uscito dalla galera, si è fatto crescere i dreadlock, ha mandato al diavolo a tutti ed è partito senza saper dove andare. Ama la letteratura, il fumo, lo sballo e, soprattutto, non fare niente. Ha insegnato ai fratelli Diaz a saltare sui treni in corsa clandestinamente. Con Daniel ha legato parecchio, al punto che ne influenza (fin troppo) i comportamenti. E poi c’è lei, Cassidy, la nomade dalla chioma viola, gran casinista e strimpellatrice di chitarra nelle ore notturne. La stabilità, mettere radici o trovare un posto nel mondo, sono questioni che non la sfiorano.

Vuole solo la libertà. Sean ha un debole per lei e probabilmente è corrisposto. Beata gioventù.

Questo equilibrio viene stravolto proprio dall’evoluzione dei due protagonisti. Daniel sta crescendo e pensa – ovviamente sbagliandosi di grosso – di essere già un ometto. Gli piace essere al centro dell’attenzione e tende ad abusare pericolosamente dei suoi poteri. Allo stesso tempo a Sean comincia a stare stretta la parte del baby sitter che la vita gli ha affibbiato. Ha bisogno di nuovi stimoli e le pulsioni sessuali che serpeggiano nel suo corpo di adolescente tendono a spingerlo fuori dalla comfort zone.

Senza svelare nulla, ci limitiamo ad anticiparvi che in Wastelands gli snodi decisivi sono parecchi. In base alle nostre scelte vivremo momenti che i protagonisti si porteranno dentro per sempre. Alcune decisioni segneranno un punto di rottura col passato, incidendo drammaticamente sul rapporto tra i due fratelli.

 

 

Il problema di questo capitolo sta nella staticità dell’ambientazione di gioco, perché tutto si svolge nel giro di pochi chilometri quadrati.

Il problema di questo capitolo sta nella staticità dell’ambientazione di gioco, perché tutto si svolge nel giro di pochi chilometri quadrati. Viene meno quindi il senso di esplorazione, la voglia di scoprire dove finiremo dopo, la varietà delle situazioni cui gli autori ci avevano abituati nelle precedenti puntate. Poco male. Perché in Wastelands la scrittura della trama compie il salto qualitativo che ci si attendeva. A differenza della puntata precedente, la consueta verbosità dei protagonisti qui trova giustificazione nella maturità del racconto: il 90% dei dialoghi si rivela interessante, i racconti delle anime che popolano la comune risultano credibili e per nulla scontati.

Gli autori poi hanno evidentemente deciso di rischiare grosso, mescolando scene di nudo adolescenziale, ecologismo, rabbia sociale, amore eterosessuale, amore omosessuale, solitudine e, addirittura, morte. Wastelands è senza ombra di dubbio il capitolo meglio riuscito tra quelli pubblicati in questa stagione e, più in generale, rappresenta la conferma della maturità stilistica raggiunta dagli autori.

Tuttavia ribadiamo il concetto: di questo passo la serie rischia di incappare nel paradosso di raccontare una bellissima storia di cui a nessuno importa più niente. I titoli di coda arrivano infatti sempre troppo presto ed è impensabile tenere alto l’interesse del pubblico sapendo che bisognerà attendere mesi – la prossima puntata esce a fine agosto – per scoprire cosa accadrà in seguito. E’ tempo di cambiare registro.

84
Life is Strange 2 – Episodio 3
Recensione di Luca Fabbri
ME GUSTA
  • Finalmente la trama decolla
  • Diverse decisioni portano a pesanti conseguenze
  • Entrano in scena alcuni personaggi chiave
  • Colonna sonora di prim'ordine come sempre
FAIL
  • La magia dura poco
  • Tre mesi prima del quarto episodio sono inaccettabili