Da febbraio è disponibile su Netflix la nuova serie Russian Doll, ideata da Natasha Lyonne, Amy Poehler e Leslye Headland. Scoprite come ci è sembrata con la nostra recensione.
Toc, toc. Qualcuno bussa alla porta. Lo specchio posto sopra al lavandino di un bagno dall’arredo piuttosto eccentrico ci restituisce l’immagine di una donna con i capelli rossi non particolarmente accesi, quasi del colore della polpa di un albero di cedro. Lei è la nostra protagonista, Nadia (Natasha Lyonne) che con un sorrisetto beffardo e un vestito nero con le spalline rigide dal gusto retrò si appresta a uscire da quel bagno.
In sottofondo sentiamo la canzone Gotta Get Up, di Harry Nilsson. Fissate bene in testa questa immagine perché la rivedrete decine e decine di volte già solo nei primi episodi. Nadia, uscita dal bagno, si ritrova nel bel mezzo della propria festa di compleanno che l’amica Maxine (Greta Lee) ha organizzato nel suo appartamento.
In un marasma di frivole conversazioni newyorkesi, la nostra protagonista di origini russe – il che spiega, in prima battuta, il titolo della serie – è leggermente preoccupata perché il suo gatto pare scomparso; poi la troviamo intenta a flirtare con un tale che si porterà a casa per una sveltina. Fatto ciò che c’era da fare, Nadia liquida l’uomo chiamandogli un Uber e si mette al computer per lavorare (è un’informatica che sviluppa videogiochi).
Ci starebbe proprio una sigaretta, peccato che siano finite. E come ogni bravo tabagista Nadia esce di casa per andare a comprare le sigarette quando, tornando verso casa, il gatto fa inaspettatamente la sua comparsa. Nadia attraversa la strada ma viene investita da una macchina e purtroppo muore spiaccicata sull’asfalto. Fine.
No, scherzo, non finisce qui ovviamente. Bagno, specchio, bussano alla porta: toc, toc. I capelli rossi di Nadia, il vestito con le spalline nere e Gotta Get Up di Harry Nilsson. Che è successo? Lo sguardo di Nadia non mostra più un sorriso beffardo ma una smorfia di disappunto e incomprensione. La nostra povera matrioska è rimasta bloccata in un loop, ma ancora non ne è del tutto consapevole. Esce dal bagno, in preda a un costante senso di déjà vu, così cerca di non ripetere le stesse azioni che una parte della sua mente ricorda di aver fatto.
Risultato? Muore di nuovo. Bagno, specchio, toc, toc. Ci risiamo, solo nell’arco della prima puntata il loop si ripete cinque o sei volte. Nadia muore nei modi più disparati e assurdi, cade in un tombino, giù da una rampa di scale, provoca un incidente d’auto dell’ambulanza che la sta portando in ricovero. Questa era venuta a prenderla dopo che Nadia l’aveva richiesta confessando di essere in un loop di morte e ripartenza.
Con chiunque Nadia ne parli finirà sempre per essere derisa o presa per pazza – e come dare torto a chi si sente raccontare una storia del genere? L’idea del loop temporale non è certo delle più originali, ok, ma non per questo Russian Doll è un prodotto banale. C’è un aspetto che lascia scorrere i primi episodi velocissimi senza che nemmeno riusciate a concretizzare di essere già arrivati al quarto: la serie è fondamentalmente una comedy.
Russian Doll non ha bisogno di prendersi troppo sul serio, e non lo fa. A dispetto di ciò che si potrebbe pensare trovandosi di fronte a un prodotto ideato, diretto, scritto e per la maggior parte interpretato da donne – ovvero che si tratti di una serie femminista – siamo fin da subito portati a cambiare idea.
Nella prima parte il messaggio pare quasi un rovesciamento degli stereotipi del machismo, dell’uomo che non deve chiedere mai, perché sono i personaggi femminili a essere forti e sopra le righe, mentre quelli maschili appaiono delle macchiette funzionali a intelaiare questo quadro.
Non è un messaggio femminista però quello che veicola tale contrasto: gli atteggiamenti di Nadia in primis, ma anche delle sue amiche, sono semplicemente utili per creare una percezione di grottesco e di tragicomico a fronte di una situazione inspiegabile.
Per cui la nostra bambola russa, rassegnata all’idea di dover rivivere in loop il proprio 36esimo compleanno, si concede anche mix di alcol e droghe pesanti, ammucchiate e ancora un gran numero di azioni non-sense che forse chiunque farebbe, a un certo punto, se fosse nella sua situazione. Ma dalla seconda metà della serie il tono di eccessi si smorza quanto basta per razionalizzare un po’ cosa stia accadendo e chiudere il tutto.
Quello di Nadia è un personaggio complesso, imperfetto e bellissimo come lo sono, più o meno, anche gli altri personaggi che incrocerà in questa storia paradossale. Sebbene non ci siano volti estremamente noti il cast è davvero azzeccato e le interpretazioni sono di alto profilo. Natasha Lyonne riesce a caratterizzare un personaggio ruvido, cinico e pieno di tic, una trentaseienne single a New York intrappolata in una situazione assurda.
È il personaggio di Nadia che tiene in piedi la serie, volutamente piena di inutilità. Non sono importanti i dettagli che vedremo in ogni puntata, ogni sua morte, il modo in cui morirà, quanto tempo sarà trascorso tra una morte e l’altra, tra ogni morte e l’inizio del loop successivo. Sarete inevitabilmente portati a notare più elementi di quelli utili nella speranza di scorgere l’artificio, sbrogliare la matassa e comprendere l’intreccio prima del tempo, ma arrivati alla fine vi renderete conto di aver fatto della fatica inutile.
Per banale che possa sembrare vista nel suo complesso, se seguiamo puntata dopo puntata il personaggio di Nadia ci accorgiamo di come Russian Doll sia una storia sulla crescita personale, sul lasciarsi alle spalle i macigni che tutti trasciniamo da una vita, e trasmette un messaggio tutt’altro che banale per una serie tv comedy. Poi la messa in scena è davvero di altissimo livello e basterebbe anche solo quella per consigliarvela.