Aquaman

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Il fu DC Extended Universe, ora, a quanto pare, Worlds of DC (nome comunque ancora non ufficiale), non è più chiaramente un universo condiviso. Le avvisaglie c’erano state già con gli ultimi film, ma in Aquaman, diretto da James Wan, questo concetto è ormai lapalissiano.

L’incapacità di gestire un progetto a lungo termine, che non si era preso il tempo di crescere e maturare come fu per il Marvel Cinematic Universe nato più di dieci anni fa, ha portato la produzione ad optare per un film che è sostanzialmente uno stand alone, pur con qualche minimo riferimento a Justice League.

Questo e il fatto che a dirigere la pellicola sarebbe stato un mostro sacro come Wan, ha portato il pubblico a nutrire qualche speranza in più circa il nuovo film in uscita targato DC.

Si sta parlando, inoltre, di un film che ha rischiato la cancellazione e che è stato posticipato più volte, ma che Wan è riuscito a salvare con grande determinazione. Ed è forse proprio la presenza di un grande autore alla regia ha scatenato in me una potentissima delusione.

Aquaman è un cinecomic che non sa che direzione prendere, troppo impegnato ad attingere a tutto l’immaginario collettivo fantasy degli ultimi vent’anni per pensare a costruirsi una propria identità, con gag di pessimo gusto e tamarro – perdonate il termine eccessivamente colloquiale, ma senza dubbio efficace – in maniera oltremodo esagerata.

L’eccesso potrebbe anche essere una qualità in un blockbuster come questo, che punta al puro e semplice intrattenimento, ma si sta parlando di un’esagerazione inutile, che rende quasi grottesche situazioni che non ne avevano alcun bisogno.

 

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I riferimenti a grandi film del passato sono molteplici, ma inseriti senza costrutto, come a voler dimostrare la sua varietà: si passa dal mondo sottomarino, trattato come se fosse lo Spazio di Star Wars, con tanto di richiamo allo scontro con i Tie Fighter nei canali della Morte Nera. Ai film di Indiana JonesAll’inseguimento della Pietra Verde e , ancora, a pellicole come Jurassic Park e il King Kong di Peter Jackson.

Un minestrone male amalgamato che, alla lunga, stufa e lascia spazio alla noia, complice anche l’eccessiva durata di oltre due ore e un quarto.
Una origin story narrata in maniera grezza, dove lo spiegone regna sovrano, quasi senza alcuna vergogna.

Una origin story narrata in maniera grezza, dove lo spiegone regna sovrano, quasi senza alcuna vergogna. Ora, stiamo parlando di un film d’intrattenimento, non ci si aspetta di certo chissà quale profondità o abilità narrativa, ma si presuppone che almeno le basi per una sceneggiatura decente ci siano.

Invece la storia viene raccontata in maniera fin troppo rapida, senza dare tempo allo spettatore per metabolizzare ogni informazione, per non parlare dei villain, che non sono ben equilibrati all’interno del racconto.

Patrick Wilson, interprete di Ocean Master, ha cercato in ogni modo di rendere il personaggio il più viscido e inquietante possibile, ma il suo sforzo è stato limitato da una scrittura pigra, che non va oltre la solita caratterizzazione stereotipata tipica dei villain da cinecomic.

Persino Willem Defoe Nicole Kidman, interpreti rispettivamente di Vulco, consigliere del Re, e di Atlanna, regina di Atlantide, sembrano tragicamente sprecati in ruoli piatti, intrappolati nell’interpretazione di personaggi senza alcun carisma.

Quanto a Jason Momoa, il suo Arthur Curry alias Aquaman, convince fino a un certo punto, ma nel complesso è forse la cosa che funziona di più nell’intero film.

 

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Amber Heard ricopre invece il ruolo di Mera, personaggio femminile forte come, giustamente, ormai è di norma in film come questi, ma intrappolata in un’atroce contraddizione: la sua forza e la sua indipendenza sono rese vane dal tentativo ossessivo di mostrare il suo corpo in tutta la sua bellezza, anche quando non è assolutamente necessario, oggettificandola quasi totalmente. Va però detto che la stessa cosa accade per Aquaman stesso, per cui non si parla di sessismo, ma della probabile consapevolezza che in un disastro del genere, puntare sull’estetica spicciola è forse la cosa più facile.

Dal punto di vista tecnico, il film delude su più di un fronte.

Dal punto di vista tecnico, il film delude su più di un fronte. Innanzitutto la regia di Wan è confusa, nonostante cerchi di risollevarsi con virtuosisimi inutili e che non funzionano, ma lo ammetto a fatica, data la stima che ho sempre nutrito per un mostro sacro del suo livello, il quale ha contribuito a risollevare, e non poco, il genere horror post 2000.

A complicare le cose ci pensano gli effetti visivi, che in alcune scene sono semplicemente inaccettabili, con scenografie digitali eccessive nel concept design e nei colori, luminosissimi fino a fare quasi male agli occhi.

Il tentativo era chiaramente quello di regalare ambientazioni coloratissime e suggestive come nella maggior parte dei film del marvel Cinematic Universe, ma ciò che ne risulta è l’ennesimo pasticcio, un vortice di forme e colori che riempiono oltremodo lo schermo.

La rovina del film è proprio l’eccesso, il non essersi saputi regolare nella composizione dei background, nella scrittura, nelle scene action inutilmente ricche di scontri spesso incomprensibili.

Eppure, il film sta ricevendo riscontri positivi e in Giappone ha già superato i 100 milioni di dollari di incasso. la domanda che sorge spontanea è “Perchè?”. Come può un film con difetti tanto evidenti e innegabili fare così presa sul pubblico?

La risposta sta nel fatto che ormai il pubblico guarda sempre di più alla forma – che anche in questo caso non si può dire curata, ma in qualche modo probabilmente risulta efficace a chi si accontenta di una baracconata fracassona – e meno alla sostanza, per quanto riguarda l’intrattenimento. Un esempio calzante è il recente Venom: un film disastroso sotto ogni punto di vista, che è piaciuto al pubblico e ha incassato quasi un miliardo.

Come in quel caso, Aquaman ha il potenziale per rivelarsi un successo presso il pubblico enorme, composto soprattutto da spettatori casuali che vogliono soltanto godersi due ore e mezza circa di botte da orbi, creature dai colori sgargianti e personaggi che sembrano usciti da un’operetta di quart’ordine.

 

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È un male? No, non credo. Di fatto ognuno è libero di apprezzare ciò che vuole.

È un male? No, non credo. Di fatto ognuno è libero di apprezzare ciò che vuole, ma quello che mi domando è se certe produzioni avranno voglia, in futuro, di impegnarsi anima e corpo in blockbuster ben scritti e più complicati da girare, quando prodotti obiettivamente mediocri vengono ugualmente premiati con incassi stellari.

La risposta, forse, è racchiusa proprio nel probabile successo di qeusto Aquaman, film scialbo diretto da un grande autore, che persino con un film inserito nella discutibile come Fast&Furious (nella fattispecie il settimo capitolo), era riuscito a combinare qualcosa di buono, tutto sommato, ma che qui si è come perso per strada.

Dal successo di questo film dipende il futuro della DC al Cinema e, se la pellicola verrà premiata al box office, la tendenza che l’universo cinematografico in questione potrebbe cambiare radicalmente.

E le premesse, per quel che mi riguarda, non sono poi così buone.

 

 

Aquaman arriva al cinema dal 1 gennaio.

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