Fist of the North Star: Lost Paradise

Ecco la nostra recensione del nuovo gioco di Ken il Guerriero creato dagli autori della pluripremiata serie Yakuza.

Fist of the North Star: Lost Paradise (anche noto nella Terra del Sol Levante con il nome di Hokuto ga Gotoku) è un videogioco nato dall’ibridazione tra storia e setting del manga di Tetsuo Hara e Buronson, con lo stile e il gameplay della serie Yakuza di SEGA. Arrivato sugli scaffali nipponici già da marzo 2018, il titolo è disponibile anche in occidente in esclusiva PlayStation 4 a partire da inizio ottobre.

Viste le passate incarnazioni videoludiche non proprio lusinghiere delle storie di Kenshiro, ultime delle quali sono i due capitoli musou Fist of the North Star: Ken’s Rage, sulla carta questa operazione aveva tutto il potenziale per essere l’esperienza definitiva che i fan del personaggio attendono impazientemente ormai da decenni.

Purtroppo, però, al netto di un sistema di gioco comunque molto valido e divertente, ci sono diverse criticità che tolgono valore alla produzione e non le permettono di rivaleggiare ad armi pari con la serie Yakuza, da cui riprende la struttura. Curiosi di saperne di più? Allora non vi resta che proseguire con la lettura della nostra recensione!

 

 

 

Trama

La storia di Fist of the North Star: Lost Paradise si apre con lo scontro tra Kenshiro e Shin, ben noto a tutti i fan del manga/anime, da cui però la narrazione del gioco prende spunto per diramarsi in un what if originale pensato appositamente per questo titolo: nei panni di Ken partiremo alla ricerca del suo amore perduto, Yuria, rapita da Shin dopo il loro scontro che aveva visto sconfitto l’uomo dalle sette stelle.

Dopo una breve parentesi in giro attraverso le terre desolate, veniamo a conoscenza che una donna che si fa chiamare Yuria vive presso la città di Eden, dove dovremo recarci. È un setting molto particolare questa città, un’oasi di prosperità in mezzo ai desolanti deserti; un luogo utopico (e non in senso necessariamente positivo) sia in termini narrativi che per ciò che riguarda il gameplay.

La trama del gioco purtroppo non soddisferà nè gli appassionati di Ken nè chi sperava di poter rivivere il feeling della serie di Kazuma Kiryu in un nuovo contesto.

Scegliere una storia originale è spesso un’arma a doppio taglio: certo si evita da un lato di raccontare per l’ennesima volta una storia già nota agli appassionati, ma dall’altro se non c’è una scrittura degna di nota a sorreggere il tutto si rischia di banalizzare ore di gioco in virtù di un racconto che lascia indifferenti. E questo, purtroppo, è ciò che accade con Fist of the North Star: Lost Paradise, la cui storia manca dell’epicità e dei colpi di scena che hanno reso celebre il manga, e risulta pertanto a stento sufficiente a sorreggere l’esperienza di gioco dall’inizio fino ai titoli di coda.

 

 

La città di Eden fornisce un intelligente escamotage per inscenare, quale hub del gioco che si alterna a sequenze in cui vagheremo anche a bordo di veicoli per le sabbiose e desolate terre selvagge, un buon numero di attività secondarie che risultano però prive di mordente, poco interessanti, a differenza di quanto avviene in Yakuza (poiché nella serie di Toshihiro Nagoshi queste mostrano spaccati di quotidianità della società giapponese).

 

 

 

 

Gameplay

Fist of the North Star: Lost Paradise ricalca fedelmente la struttura da action-game in terza persona della serie Yakuza, con forte enfasi sulle sezioni di combattimento. Queste, giustamente visto che impersoniamo Kenshiro, risultano sensibilmente più aggressive e cruente che con Kazuma, usando come base la classica concatenazione di pugni (tecnica peculiare della Scuola di Hokuto) alla quale affianca l’uso di colpi più potenti in grado di stordire gli avversari per poi massacrarli con le tecniche più letali della Scuola di Jokuto (che avviano spettacolari sequenze di QTE che ci permettono di incrementare il punteggio che otterremo alla fine di ogni scontro).

 

 

Combattendo senza sosta e concatenando combo caricheremo inoltre un indicatore che simboleggia la costellazione dell’orsa maggiore, tramite il quale attivare una burst mode che aumenta a dismisura, per un breve periodo, la potenza dei nostri attacchi. Al netto di un’inevitabile sensazione di ripetitività, gli scontri, sempre frenetici e affollatissimi, risultano molto appaganti e sapranno fare la gioia di tutti i fan di Kenshiro.

La progressione di Ken si suddivide in quattro alberi delle abilità, ciascuno composto da 48 tecniche, suddivise tra abilità in combattimento, resistenza e salute, tecniche speciali delle sette stelle e non per ultime le abilità collegate ai Talismani del Destino. Questi portano un elemento decisamente originale e interessante rispetto alla formula Yakuza, trattandosi di azioni legate ai vari personaggi dell’universo di Ken (Lin, Rei, Toki, Hyui ecc…) assegnabili ai tasti del d-pad e utilizzabili come supporto durante gli scontri.

Ciascun talismano sblocca un bonus e una funzione diversa che arricchiscono la formula di gioco. L’unica stonatura in questo sistema di progressione è che, mancando di rilievo la trama principale, alcuni dei globi fondamentali per rendere più forte Kenshiro sono legati necessariamente allo svolgimento di barbose attività secondarie. Ma d’altronde non era possibile, forse, gestirla in modo diverso per questa produzione.

 

 

Ciò che stona più di ogni altra cosa nel contesto tragico in cui è ambientata la storia del manga è l’inserimento di attività secondarie letteralmente copia/incollate da Yakuza: dalle corse d’auto clandestine a mini giochi come roulette e a black jack nel Casinò, fino alla preparazione di cocktail e alla gestione di un night club c in veste di manager, pur essendo divertenti dal punto di vista ludico questa attività risultano estremamente fuori contesto all’interno di Eden, mentre hanno senso di esistere nella Kamurocho di Kazuma.

 

 

Grafica e sonoro

Dal punto di vista tecnico e artistico Fist of the North Star: Lost Paradise restituisce non pochi sentimenti contrastanti. Lo stile che sfrutta intelligentemente il cell shading riproduce in modo molto efficace Ken e gli altri personaggi, le cui animazioni sono però legnosette. È vero che le terre selvagge non offrono chissà quale spunto architettonico poi, ma pare che ci si sia concentrati unicamente sui dettagli della città di Eden lasciando un pattern di due o tre rocce, strutture fatiscenti e sabbia a ripetersi all’infinito al di fuori di essa.

In generale, pur avendo un framerate granitico, il gioco appare graficamente inferiore anche a Yakuza 0 e Yakuza Kiwami, con cui condivide l’engine grafico. E visto che il Dragon Engine con cui è stato sviluppato Yakuza 6: The Song of Life era già pronto quando lo sviluppo del titolo è iniziato, viene da chiedersi perché non si sia optati per quella strada che avrebbe permesso possibilità decisamente più ricche a questo titolo. Nulla da eccepire per quanto riguarda invece l’aspetto sonoro, con musiche da pelle d’oca e il doppiaggio originale di altissimo livello (è possibile scegliere l’audio in giapponese o in inglese).

Insomma, Fist of the North Star: Lost Paradise è senz’altro un gioco divertente e non si può che consigliarne l’acquisto a tutti i fan di Ken il Guerriero, perché comunque si tratta di un prodotto molto più profondo e valido dei due Ken’s Rage. Se non siete dei veri fan delle storie di Ken invece valutate bene quanto possa interessarvi un’esperienza di questo tipo, sicuramente appagante in termini di gameplay, ma narrativamente molto povera e anche tecnicamente non al massimo delle proprie capacità.

 

74
ME GUSTA
  • Combattimenti frenetici e divertenti
  • Gameplay valido e appagante
  • Sonoro notevole
FAIL
  • Storia originale poco riuscita
  • Minigiochi di Yakuza un po' forzati
  • Graficamente si poteva fare di più
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