Arriva al Festival di Venezia il primo film in lingua inglese del regista Jacques Audiard: The Sisters Brothers, con protagonisti Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake Gyllenhaal e Riz Ahmed. Un western diverso dal solito, dove a dominare non è solo l’azione e i colpi di pistola, ma anche i sentimenti e la strada verso la redenzione.
Capeggiato da un cast stellare, al Lido di Venezia arriva The Sisters Brothers, il primo film di Jacques Audiard in lingua inglese, adattamento del romanzo Arrivano i Sister scritto da Patrick Dewitt.
Il film ruota, appunto, attorno i fratelli Sister, Eli (John C. Reilly) e Charlie (Joaquin Phoenix), mercenari senza morale ai comandi del Commodore (Rutger Hauer) del loro villaggio in Oregon.
Il compito dei Sister, che per soldi sarebbero disposti perfino a “perdere un braccio”, è quello di arrivare lì dove la legge non può. Essere, per così dire, i sicari del loro superiore. La loro ultima missione è quella di seguire il detective Hermann Kermit Warm (Jake Gyllenhaal) sulle tracce di un chimico, Morris (Riz Ahmed) che ha creato una formula per trovare l’oro in modo più facile e veloce.
Quello dei Sister sarà un viaggio che dall’Oregon li porterà fino a San Francisco e che cambierà per sempre le loro vite, così come quella di Hermann e Morris.
Infatti, se in un primo momento tutto sembra facile, e il film acquista i toni da black comedy action, tra violente sparatorie e volgari battute, il destino vuole che i quattro protagonisti nel loro cammino facciano un vero e proprio percorso di redenzione.
Un viaggio fatto di rimorsi e rimpianti, dove sarà necessario fare i conti con i propri fantasmi del passato, le ombre di padri assenti, i dolore celato in anni di sangue, cinismo e solitudine interiore.
Jacques Audiard con il suo The Sisters Brothers riesce a portare al cinema una storia incredibile, differente da quella che avremmo potuto immaginarci. Complessa e viscerale, dove ogni personaggio viene del tutto spogliato del suo involucro. Una storia di fratellanza e ricerca di sé stessi.
Tutti i proiettili sparati, i cazzotti dati e ricevuti, il mood più grezzo e l’aspetto cafone dei personaggi, passa in secondo piano; o meglio, diventa solo la base per una storia estremamente più complessa dove, alla fine della giostra, non ci sono né vinti né vincitori, ma solo l’angosciante bisogno di pace, silenzio, di un raggio di sole nella propria stanza d’infanzia.
Audiard riesce in una delle imprese più complesse, ovvero portare al cinema i sentimenti maschili. L’aspetto più privato delle ombre di personaggi abituati a vivere a testa alta, avvolti nella loro corazza fatta di apparenza.
E questo è esattamente il caso dei fratelli Eli e Charlie. È proprio con loro che il regista sviscera questo sentimento di negazione, quasi accanimento nei confronti della vita, del passato, dandoci anche un accenno del burrascoso rapporto con il padre.
Una sorta di incubo nella realtà che, man mano che la narrazione va avanti, prende confini sempre più delineati. In questo magistrali le interpretazioni di Reilly e Phoenix, il primo in un ruolo quasi inedito, dove il cinismo viene presto abbandonato dalla voglia di dimenticare quel tipo di vita e aprire un nuovo capitolo. Una vita più serena, stabile normale. Probabilmente una delle migliori interpretazioni dell’attore, che è anche quello che conduce poi, quasi per mano, tutti gli altri personaggi, in uno strano senso di dolcezza e leggerezza.
Il secondo, Joaquin Phoenix, si mette alla prova con un personaggio apparentemente semplice da comprendere. Quello che, perdonate il termine poco tecnico e professionale, chiameremmo “cazzone”. Il portamento serio, orgoglioso, da spaccone. L’espressione sul viso da furbo, la certezza di essere abile e piacente. Per poi dimostrarsi l’esatto opposto: fragile, tormentato. Assistiamo a una vera caduta della sicurezza di questo personaggio, e lo vediamo dai gesti più semplici, come l’andare a cavallo o sostenere lo sguardo di qualcuno.
Analoga capovolgimento anche per il personaggio di Jake Gyllenhaal, sebbene in modo differente; eppure è proprio lui il primo ad assestare il colpo contro se stesso, rendendosi conto di non aver mai vissuto il presente, se non in funzione di qualche nuovo incarico, ricerca di un nuovo bersaglio.
Il rapporto tra il suo personaggio e quello più giovane, quasi sognante e coraggioso di Riz Ahmed, gli permette di approcciarsi in modo del tutto differente alla vita di tutto i giorni, tornando a conquistare quella libertà che egli stesso si era negato.
Una vera e propria sorpresa The Sisters Brothers, un film che sicuramente si fa ricordare per le sequenze, i dialoghi sagaci e gli attori bravissimi, ma che al tempo stesso porta lo spettatore a compiere un viaggio all’interno della mente dei personaggi, degli ambienti e delle strutture.
Al tempo stesso The Sisters Brothers è una commedia piacevole, a tratti verbosa mentre per altri spassosa, dove il pubblico oltre ad empatizzare con i personaggi, ride anche con loro. Si unisce alle gioie, ai dolori, ai momenti più goliardici che costellano il film. Una serie di scene che sembrano rendere il film già un vero cult; sicuramente uno dei favoriti di questa ricca, ricchissima, 75° edizione del Festival di Venezia.