Regista, sceneggiatore, attore e produttore, nonché Premio Oscar, Ron Howard è l’uomo dietro Solo: A Star Wars Story. Entrato in zona Cesarini, il regista ha preso le redini del progetto, inizialmente affidato al duo Chris Miller e Phil Lord, riuscendo a rappresentare l’idea che Disney aveva di questo secondo spin-off legato alla saga Star Wars. Ma come se la sarà cavata?
Il 23 Maggio, dopo la presentazione al 71° Festival del Cinema di Cannes, SOLO: A Star Wars Story è arrivato al cinema. E proprio in occasione del Festival di Cannes, abbiamo scambiato “quattro chiacchiere” con il regista dietro a questo secondo spin-off, ovvero Ron Howard.
Ron Howard, come molti sapranno, ha iniziato la sua carriera come attore. Per qualche profano sarà assurdo (?) pensare che il rossiccio Richie di Happy Days è proprio il caro Ron Howard, l’uomo dietro a pellicole candidate e vincitrici dell’Oscar come Fuoco Assassino, A Beautiful Mind, Cinderella Man e Frost/Nixon – Il Duello e regista della trasposizione cinematografica della trilogia legata al professor Robert Langdon.
Negli anni Ron Howard ha saputo dimostrarsi un ottimo regista, soprattutto un cercatore di grandi storie, che ha anche saputo variare non poco. Certo, neanche il caro Ron è esonerato dall’aver preso qualche cantonata negli ultimi tempi, ma sicuramente SOLO: A Star Wars Story è stato un colpo non da poco per il regista statunitense (sebbene nelle sue venne scorra sangue olandese, scozzese, inglese, irlandese e tedesco), amico di George Lucas da molto tempo.
Anzi, prima ancora di Episodio IV, in una serata durante un set, Lucas aveva già accennato la sua idea di universo fantascientifico colmo di alieni, ma come protagonista non c’era nessun Luke Skywalker o Han Solo o principesse coraggiose, bensì Flash Gordon.
Ho conosciuto George nel 1972. Lui stava girando American Graffiti, mentre per me era l’estate dopo il mio ultimo anno di liceo. Ho avuto una parte nel film ed è stato come uno shock: sono subito stato folgorato dal suo modo di lavorare, dal suo stile, dalla sua passione.
Notte dopo notte imparavo qualcosa di nuovo. Su quel set c’erano solo studenti di cinema, appassionati e amanti del cinema. Io sono cresciuto ad Hollywood come attore bambino, ma tutto quello era così anti-convenzionale. Mi sembrava di essere su un set di hippie, con l’unica differenza che George non era un hippie.
Ricordo una notte. Io avevo 18 anni mentre George ne aveva 28. Eravamo a San Francisco e ci stavamo preparando a girare una scena. Sapevo tutto di George da THX1138 (L’uomo che fuggì dal futuro) e visto che ero stato accettato alla USC Film School, la sua stessa accademia, sapevo già che era una leggenda.
Così gli ho chiesto cosa stava pensando di fare dopo e George mi ha detto che voleva usare gli effetti speciali che Stanley Kubrick ha introdotto in 2001: Odissea nello spazio e fare una specie di film su Flash Gordon, come i vecchi film seriali. Voleva che fosse fantascientifico e che le cose si muovessero velocemente invece che lentamente.
Questo era tutto ciò che ha veramente detto a riguardo, tranne che voleva un intero universo con molti alieni. Si trattava di una descrizione di un minuto di quello che un giorno sarebbe stato Star Wars.
Pensavo fosse pazzo! Sembrava l’idea più pazza e la cosa più difficile che si possa immaginare. Ma eccoci qui. Se quella sera avessi davvero prestato attenzione, avrei saputo tutto prima di tutti su Star Wars.
Ron Howard è stato ad un passo dall’essere il primo in assoluto a sapere di Star Wars quando ancora era solo un’idea embrionale nella mente di Lucas, ma quando finalmente Episodio IV (il 25 Maggio 1977) ha visto la luce della sala cinematografica, Howard – così come altri registi e fan della saga – è rimasto impressionato, colpito e ispirato dall’opera creata da Lucas, anche se all’epoca dell’uscita del primo Star Wars era ancora un cineasta alle prime armi.
Inizialmente Star Wars mi ha ispirato da appassionato di cinema. All’epoca ero ancora ai miei primi cortometraggi e stavo cercando di capire come realizzare il mio primo film. Ero molto lontano dal poter applicare l’ispirazione che potesse derivare da un genio come George. Dovevo ancora capire cosa io, come regista, fossi capace di fare.
Quando poi ho avuto l’opportunità di lavorare per George e realizzare Willow, mi sembrava di aver ottenuto il mio dottorato in cinema. In quel periodo avevo fatto diversi film, ottenuto il successo, avevo capito cosa volesse dire lavorare con e per il cinema, ma c’era ancora qualcosa che mi mancava.
Lavorare su una storia di George, come nel caso di Willow, mi ha permesso di affrontare delle nuove sfide. Il confronto con lui è stato qualcosa di fondamentale per il regista che sono adesso.
Mi è sembrato di apprendere una conoscenza monumentale del cinema. La cosa più importante che George mi ha insegnato, attraverso quell’esperienza, è stato credere nelle mie capacità e continuare a provare a raccontare le storie nel modo in cui io desiderassi fare.
Sappiamo che per questo SOLO: A Star Wars Story, Ron Howard non è stato la prima scelta della produzione, sebbene Disney non hai mai nascosto la possibilità di affidare qualche Star Wars al regista.
Per un film con un personaggio come Han Solo, la casa di Topolino avrà pensato che un duo dinamico e leggero come Chris Miller e Phil Lord potesse fare al caso loro; ma come sappiamo, le cose sono andate molto diversamente e le classiche “divergenze artistiche” hanno lasciato a metà strada i genitori di The Lego Movie e fatto salire a bordo del Millennium Falcon sulla rotta di Kessel Ron Howard.
Per me questo film ha rappresentato una grande sfida e una grande opportunità. Sono grato per tutte le esperienze passate che ho avuto lavorando nel mondo del cinema, perché è come se ogni set mi avesse preparato a questo momento. Mi avesse preparato per lavorare al meglio con i produttori e gli sceneggiatori di questa emozionante storia.
Per qualcuno – come per la sottoscritta – Ron Howard non ha certo fatto il miracolo. Solo: A Star Wars Story è un film che ha diviso, per molteplici motivi. Una pellicola amata dal fan ma molto meno dalla critica che non è riuscita ad andare oltre gli evidenti problemi tecnici e di produzione.
C’è da dire che la pellicola soffre, notevolmente, della presenza di due stili nettamente differenti, e nonostante il massiccio apporto fatto da Howard, lo stile di Miller e Lord è ancora molto forte. Chissà, forse con sei mesi in più, come ha appena fatto il meticoloso J.J. Abrams, Ron Howard avrebbe potuto realmente compiere il miracolo.
Ma nonostante questo il regista sembra essere molto fiducioso sull’accoglienza e sul futuro, soprattutto sul messaggio celato all’interno di questo spin-off. Messaggio che riguarda tutti i nuovi Star Wars e l’incredibile capacità di questo franchise nell’essere un ponte tra più e più generazioni.
Dico solo questo: continuate a pizzicarmi! Sta davvero succedendo! Il pubblico si espande e anche l’universo di Star Wars si espande, e questo è possibile perché c’è una compagnia alla base di questo progetto formata da produttori disposti a sperimentare, a trovare delle nuove leve, a fare qualcosa di sempre più grande. Non è solo cinema, ma sono delle vere opere d’arte.
È un momento emozionante perché la tecnologia consente al team del regista, al regista stesso e a tutti gli altri coinvolti, di spingere i confini di ciò che può essere realizzato all’interno della galassia.
Questo è bello per i fan, ma è davvero bello per le persone che ci sono dentro, alla ricerca di modi per essere fedeli a Star Wars, ma aggiungere quella nuova idea o quel tocco che spinge verso una nuova direzione.