Iron Fist, l’Arma Vivente: caduta e redenzione dell’uomo dai Pugni d’Acciaio

Nonostante la tiepida accoglienza riservata alla serie di Netflix, Danny “Iron Fist” Rand si è reso protagonista di una recente grande serie a fumetti realizzata da Kaare Kyle Andrews. Una sorta di “caduta e redenzione” del protettore di K’un L’un dal Pugno d’Acciaio, oggi raccolta in un unico volume da Panini Comics.

Anche se può essere considerato a tutti gli effetti un eroe “secondario” per fama ed importanza nelle continuity Marvel, il personaggio creato da Roy Thomas e Gil Kane nel ‘74 ha sempre goduto di un nutrito fandom, un po’ grazie ad una personalità leggera e spesso scanzonata (contrapposta al rigore delle arti marziali), un po’ perché ha sempre rappresentato un elemento esotico e affascinante nella giungla di cemento di New York, specie durante il lungo sodalizio con Luke Cage (Heroes for Hire). Meno tenebroso e musone (ma non meno tormentato) di Daredevil, più raffinato e singolare di Luke Cage.

Come tutti i supereroi del mondo Marvel ha goduto di popolarità (specie negli anni in cui è stato creato, sulla scia della fama di Bruce Lee e dell’interesse verso i film di arti marziali), poi è caduto in declino, è stato ucciso, fatto risorgere, ha ricoperto ruoli più o meno importanti nei grandi eventi Marvel e via discorrendo.

Se avete visto la serie di Netflix conoscerete a grandi linee la triste storia di Danny Rand: figlio del magnate Wendell Rand e di Heather, rimasto orfano sull’Himalaya a causa dell’odio di Harold Meachum, salvo poi essere cresciuto ed addestrato da Kei Lung “Il Tonante” nella mistica città K’un L’un, fino ad ereditare il potere contenuto nel cuore del drago Shou Lao e quindi divenire l’Iron Fist, l’arma vivente, il protettore dei segreti di K’un L’un  e ancestrale discendente di una casta guerriera.

Ma il nostro Danny tornerà a New York, spinto dal desiderio di vendetta, per poi divenire l’eroe che abbiamo conosciuto e per entrare così a pieno titolo in un tutte le vicende Marvel che ben conosciamo.

Ebbene il nostro orologio torna al 2015 (proprio nell’iniziativa All New – All Different) quando, dopo il successo riscontrato con la mini serie Spiderman: Reign nel 2006 (fumetto molto interessante in cui troveremo un Peter Parker invecchiato stanco e deluso in un mondo sottoposto ad un regime totalitario, in una sorta di “ragno version” de Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro di Miller), viene affidata la nuova serie di Iron Fist a Kaare Kyle Andrews, in qualità di autore completo.

Nasce così una run di 12 numeri (6 brossurati in Italia) chiamata Iron Fist The Living Weapon, e il personaggio esplode, letteralmente.

Danny è ormai lontano da K’un L’un  da troppo tempo. In qualche modo sembra essersi perduto, sembra che abbia dimenticato il suo ruolo di difensore della città mistica e il suo KI non riesce più ad essere efficace come è sempre stato.

 

Quando gli arriva la notizia che il suo vecchio maestro è stato ucciso e che la città rischia di cadere definitivamente per il nostro eroe si spalancheranno le porte dell’inferno.

Quando gli arriva la notizia che il suo vecchio maestro è stato ucciso e che la città rischia di cadere definitivamente per il nostro eroe si spalancheranno le porte dell’inferno; un inferno fatto di fantasmi dal suo passato, un inferno di doveri trascurati e voglia di fare del bene, un inferno di scelte difficili e dolorose per tornare ad essere quello che dovrebbe essere sempre stato: un eroe.

Il suo pugno si farà strada nella serie, andando definitivamente a tagliare il cordone ombelicale della sua fanciullezza (e quindi della suo essere – a volte – infantile e non adatto ad affrontare le malvagità del mondo).

Conosceremo meglio la storia di Danny, le sue paure e le sua aspirazioni, andando a scavare nel profondo, e vedremo come un personaggio caduto sul fondo riuscirà a rialzarsi, grazie ai suoi pugni (metafora ovviamente della sua maturazione) che brilleranno come stelle nella notte.

 

 

Kaare Kyle Andrews realizza una serie davvero potente.
Una storia di caduta e redenzione degna del miglior Frank Miller.

Una storia di caduta e redenzione degna del miglior Frank Miller (non a caso più volte tributato dallo stesso Andrews, sia nei disegni che in alcune sequenze), coniugando un’atmosfera cupa e disperata con i guizzi stilistici e la fluidità dei combattimenti.

Le arti marziali riprodotte restituiscono una grande sensazione di fluidità; proprio come insegnano certe discipline del Kung Fu, i pugni di Iron Fist sono liquidi, si muovono su diversi strati della percezione, toccano il corpo e l’anima, risultando tanto letali quanto poetici, e questo merito nessuno può negarlo al fumettista e scrittore canadese.

 

 

Adoro leggere delle cadute dei grandi supereroi americani.

Adoro leggere delle cadute dei grandi supereroi americani. Alcuni dei miei fumetti preferiti in tal senso riguardano il Diavolo di Hell’S Kitchen, Daredevil (con Born Again e Guardian Devil) e leggendo questa serie ho avuto quasi le stesse sensazioni.

Mi sono riscoperto fan di Kaare Kyle Andrews nel giro di poche pagine (grazie alla segnalazione dell’amico Stefano Grillanda vi parlerò a breve anche di Renato Jones, altra creatura di questo autore), grazie ad un disegno davvero  efficacissimo e straordinariamente dinamico e grazie ad una storia che non mostra punti deboli, neanche quando riprende concetti che comunque abbiamo già avuto modo di vedere su altri personaggi e in altre serie.

Consigliatissimo, anche per riscoprire le origini dell’uomo dal pugno d’acciaio, Iron Fist, e  per allontanare la sensazione di delusione che in molti hanno provato con la serie tv Netflix.

 

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