Tempo fa vi raccontai la storia di Joe Petrosino, un immigrato di successo, si direbbe oggi, una persona che dalla povertà di un piccolo paesino del sud è arrivato a fare la storia della polizia di New York.
e questa è la memoria
la memoria del Cicala
ma sui libri di storia
Sinán Capudán Pasciá
D’altra parte il sogno americano lo conosciamo tutti, tutti nel nostro piccolo sogniamo di dimostrare il nostro valore nel paese più ricco del mondo, sbattendolo in faccia al paesello che in noi non ha mai creduto.
Lo pensava anche Scipione Cicala, forse.
Solo che il paesello era la Genova del XVI secolo e il sogno era quello Ottomano.
Scipione l’Ottomano
Cicala nasce a Genova e insieme al padre, un Visconte, diventa presto un corsaro. La “lettera di corsa” era una sorta di “licenza di uccidere” di quei tempi e permetteva a chiunque ne possedesse una di agire in nome del governo e commettere le azioni più bieche senza essere punito per i suoi misfatti.
Oltre che possedere molte donne, ovvio.
Le navi corsare (ovvero dotate di lettera di corsa) erano usate principalmente, a quei tempi, come mezzo intimidatorio verso le popolazioni che violavano i confini altrui in cerca di soldi e “avventura”.
La pratica trovò numerose applicazioni nel corso dei secoli fino a tempi relativamente moderni, tanto che gli USA la usarono anche durante la guerra di secessione e fino quasi al 1900.
Il trattato di Utrecht nel 1713 la bandì, ma gli USA non lo firmarono e rimasero in pratica l’unica nazione civile a continuare ad utilizzarlo. Non mi sorprende.
La cosa curiosa, comunque, è che tutto questo è molto simile a quello che oggi molti partiti vorrebbero fare come la legittima difesa “sempre legittima”, i corpi paramilitari volontari “di sicurezza” e via discorrendo.
Sono passati 500 anni, ma poco è cambiato, nella testa di molti.
Ma torniamo al nostro Scipione. Durante una di queste scorribande successe che gli Ottomani ebbero la meglio, così padre e figlio furono catturati. Il Visconte, da vero signore dell’epoca, pagò il proprio riscatto ma lasciò il figlio nelle mani dei turchi.
Nacque così la leggenda di Scipione Cicala, gran Visir dell’Impero Ottomano.
Gesù Cristo chi?
Scipione vide davanti a sè un destino poco attraente, quasi quanto un neo laureato all’Accademia delle Belle Arti. Ma siano nel 1560 e fortunatamente per lui esiste ancora la possibilità di abiura.
Non ci pensò due volte e rinnegò il cristianesimo convertendosi all’Islam, pratica che gli permise di entrare a far parte dell’esercito ottomano che infondo era pur sempre meglio di fare lo schiavo o finire sotto la forca di qualche boia maghrebino.
Fu così arruolato tra i Giannizzeri, un corpo militare famoso ancora oggi e paragonabile alla legione straniera francese.
Ma molto più hard.
La gran parte dei commilitoni proveniva infatti da zone di confine, balcani e Albania principalmente, dove si arruolavano forzatamente i ragazzi più robusti strappandoli alla fede cristiana (e alla famiglia).
La loro vita era una sorta di ritiro spirituale perenne e votato alla violenza. Ai Giannizzeri era proibito ogni rapporto sessuale non tanto per motivi religiosi, ma per evitare che avessero legami sentimentali che ne limitassero la ferocia in battaglia.
È un po come la famosa frase di Ferrari:
Un pilota perde un secondo a giro a ogni figlio che gli nasce.
La cosa positiva di questo corpo è però la meritocrazia: se sei un soldato valoroso puoi fare rapidamente carriera senza alcun pregiudizio. E questa è forse la parte più interessante di tutta la storia di Scipione.
Che intanto ha cambiato nome diventando Cıgalazade Yusuf Sinan.
Ed evidentemente i meriti militari a Yusuf non mancano, vista la sua rapida ascesa militare:
Nel 1575 è aga dei Giannizzeri, nel 1583 Beylerbey (traducibile con governatore) della città di Van, in Turchia e subito dopo Visir. Nel 1591 diventa Kapudanpaşa (Grande ammiraglio) ed ecco a noi Sinana Kapudanpaşa, reso celebre dalla canzone di De Andrè.
Il termine Kapudan ha tra l’altro un’origine interessante. Deriva infatti dal termine “Capitano” usata nelle flotte italiane e denota come, già allora, lo scambio culturale fosse già molto forte anche tra zone in costante battaglia.
Ma i titoli non sono finiti e nel 1596 per i meriti nelle battaglie contro Persia e Austria viene nominato Gran Visir.
I settimanali scandalistici però anche allora non mancano e le malelingue sulla rapida ascesa dovuta a meriti fisici non tardano ad arrivare.
Si vocifera infatti di un debole dell’imperatore Solimano il magnifico verso di lui, debole dovuto alla, pare, “straordinaria bellezza” del genovese. La realtà è che non esistono prove al riguardo e Yusuf fu benvisto, e pure molto, anche dall’imperatore successivo che gli diede in sposa due delle sue nipoti. #arabthreesome
Il suo titolo di granvisirato però dura poco perchè il suo pugno di ferro viene malvisto da molti e dopo 40 giorni viene deposto in favore del suo predecessore.
Torna così a fare il suo primo lavoro, quello del corsaro, questa volta per l’impero ottomano. È durante una di queste scorribande contro i persiani che perde la vita, nel 1605.
Prima di questo ha l’occasione di assediare la Calabria con la sua flotta, fallendo.
Opportunista, traditore o semplicemente uomo?
Personalmente trovo la storia di Scipione molto interessante per vari motivi. Uno di questi è vedere come, anche nel 1500, il mondo fosse già un posto piccolo.
Mi immagino i calabresi urlare “Mamma li turchi” per poi scoprire che a capo dell’invasione ci fosse un genovese, sembra incredibile.
C’è poi la chiave di lettura riguardo alla rivincita sociale che pare più attuale anche del mondo in cui viviamo. Scipione passò dall’essere l’uomo più insignificante dell’impero, paragonabile ad uno schiavo, ad essere uno dei membri più importanti della società. Fu forse un caso, vero, ma emblematico.
È una di quelle storie simili a quelle che oggi si sentono riguardo a calciatori di serie A arrivati in Italia su un gommone e che trovo personalmente molto belle anche se, ovviamente, rare. Ma se possibile ancora più moderna perché a dare la fama a Scipione, come a condannarlo, fu lo Stato.
Si può discutere, ed è giusto farlo, sulla mancata divisione tra Stato e religione di quell’impero, ma questo nulla toglie alla cavalcata sociale di Scipione, una cavalcata in cui lo stato per primo è “costretto” a fare di quello schiavo uno dei membri più in vista dell’impero.
Ma la parte più affascinante rimane quella riguardo l’abiura. Se io fossi messo con le spalle al muro, davanti alla scelta di rinnegare il mio Dio o morire, non ci penserei un secondo.
Anche perché non ho un Dio da rinnegare, ma questo infondo non è importante.
Nel 1500 la situazione era diversa e il fatto va contestualizzato. Oltre a rischiare provvedimenti nel tuo paese di origine resta il dubbio morale e l’eterno dilemma: nel 1500 erano davvero tutti così credenti? In una società dove la religione era parte integrante della vita la gente aveva il minimo dubbio che la verità potesse essere un’altra? Se sì, quanto è costata moralmente l’abiura a Scipione?
Difficile dirlo senza essere immersi in quella società.
Forse Scipione fu un vero cristiano, obbligato ad abbracciare l’islam dalla semplice mancanza di coraggio.
Forse fu un opportunista che sacrificò le proprio credenze in favore della carriera e dei beni materiali.
Forse ancora non credeva a nulla e agì come deve agire un uomo razionale messo davanti ad una scelta simile.
O forse, ancora, ci dice De Andrè come andò, facendo di Scipione uno dei primi troll della storia:
E digli a chi mi chiama rinnegato
che a tutte le ricchezze all’argento e all’oro
Sinán ha concesso di luccicare al sole
bestemmiando Maometto al posto del Signore
E comunque il mio verso preferito di questa canzone è un altro, se volete saperlo. E recita più o meno così:
la sfortuna è un cazzo
che vola intorno al sedere più vicino
e questa è la mia storia
e te la voglio raccontare
Grazie di tutto Faber, anche di averci fatto conoscere la storia di Scipione l’Ottomano.
- Pagina Wiki di Scipione Cicala
- Pagina Wiki del corpo dei Giannizzeri
- Link al testo originale (in genovese antico e traduzione) di Sinan capudan Pascià
- In testa all’articolo e in cover oggi: “La Battaglia di Lepanto” di Antonio Brugada