Fame a Downhill

Priscilla Vegance è intelligente. Molto intelligente. Una vita passata nella reclusione e nello studio può portare una giovane donna alla saggezza, oppure …

Fu alle 2:00 di notte di un punto che Trevor Nox si alzò di scatto. Gli addominali si irrigidirono e in una frazione di secondo era già in piedi.

“Che c’è T ” la voce di Sally era spaventata

“Ho sentito un rumore” Trevor tese l’orecchio guardando nell’oscurità. “Ecco! Hai sentito”

Sally gli si aggrappò a lui “Che è stato?” disse

“Resta qui” L’uomo alzò le dita della donna serrate sul suo braccio. Si alzò tenendo fissi gli occhi sulla porta, un’apertura oscura nel cuore della grande villa Nox a Downhill. Si chinò e raccolse la mazza da baseball che teneva sotto il letto padronale. La pianta dei piedi del padrone di casa faceva soffrire il parquet di abete rosso ad ogni passo.

Ancora rumori. Venivano dalla cucina. Varcò la porta della stanza e strinse con entrambe le mani la sua arma. Sapeva bene come usarla. Quattro volte campione dei Cormorans nelle ultime quattro stagioni. Un suo colpo poteva mandare la testa di qualsiasi intruso fuori dall’isolato staccandola dal corpo. TNT Trevor lo chiamavano. Il braccio più forte della lega. Si incamminò giù per le scale. Al limitare della cucina appoggiò al mano sugli interruttori. Il cuore continuava a pompare instancabile, come quando doveva battere l’ultimo inning decisivo della partita. Prese un forte respiro. Con un colpo secco accese tutte le luci.

“Vi faccio secchi figli di puttana!” La mazza ben alzata dietro la nuca.

Quattro procioni sollevarono tutta la spazzatura sparsa per la cucina e si accalcarono verso la porticina di Zeta. Trevor espirò e si sedette a terra mentre gli ultimi due animali rimanevano incastrati nella piccola uscita. Zeta arrivò abbaiando come un forsennato. Il piccolo Schnauzer cacciò gli intrusi e lesto si presentò davanti al suo padrone per ricevere dei complimenti.

“Oh vattene! Bestia inutile”

I piedi perfetti di Sally spuntarono sulle scale “Tutto ok T?”

“Tutto ok, amore”

“Ci pensi tu ai bambini?”

“Sì ci penso io”

“Sei un tesoro”

Lo so. Spense le luci e ritornò di sopra.  Superò la piccola sala allenamenti e si affacciò sulla cameretta.

“Papà che succede?” un ragazzino riccioluto con  i capelli ramati spostò le coperte e si strofinò gli occhi.

“Niente Bill, torna a dormire”

Junior,  un minuscolo ammasso di tenerezza, dormiva serenamente in una culla. Gli accarezzò la testa. I primi capelli scuri cominciavano a crescere. Mi chiedo se ci sia qualcosa che possa svegliare questo bambino.

Erano i suoi due campioni. La sua vita. Lasciò la mazza  ai piedi del suo letto e si rigettò tra le coperte. L’odore di Sally gli riempì le narici. Un odore di rose e fiori primaverili. Non poteva spiegarsi come tutto di lei fosse così leggero e poetico. Le palpebre caddero pressoché subito. Erano al sicuro.

 

***

 

“C’è nessuno?” chiese Priscilla. Le sue nocche colpirono il pesante portone in legno. Cominciava a fare male. Si era alzata presto quella mattina, aveva attraversato tutta la città per arrivare in Saints Street 142, come diceva l’annuncio. Stava per bussare di nuovo quando il citofono del piccolo edificio in mattoni produsse un interferenza.

Sì?” disse una voce metallica

“Sono Priscilla Vegance.  L’ho chiamata ieri per l’annuncio” disse lei.

Annuncio. Quale annuncio? Scusi, scusi un momento” La voce ora era più distante “Dug! Dug! Abbiamo messo qualche annuncio sul giornale? Che diavolo ci è saltato in mente? Come? Oh, quell’annuncio, sì, sì, va bene” Si schiarì la voce “Salga. Secondo piano, le scale sulla destra mi raccomando”

La comunicazione si interruppe di colpo.

Spero non sia un ciarlatano. Pensò Priscilla. La porta si aprì autonomamente. Dei meccanismi sferragliarono attorno ai cardini. Wow. Si sistemò gli spessi occhiali da vista ed entrò. Due rampe di scale si dividevano su lati opposti. Al centro la tromba di un ascensore era aperta e vuota, ma protetta da bindelle di lavori in corso. Si concedette un’occhiata nel baratro, ma vide solo buio. La scala di sinistra portava in uno stabile adiacente, più moderno. Quella che stava salendo portava invece al secondo piano dell’edificio in mattoni rossi. Non passava mai da queste parti, ma un edificio vecchio due secoli doveva ben distinguersi in questo recente quartiere popolare. Si ritrovò davanti a una porta di legno simile a quella di sotto.

Bussò di nuovo. Sempre legno durissimo.

Un citofono era appeso anche qui “Sì?”

“Sono Priscilla. Ci siamo parlati un secondo fa”

Oh! Certo, l’annuncio! Arrivo subito

Altri meccanismi rumoreggiarono e finalmente la donna entrò nell’appartamento. Era più un laboratorio che una casa. Ferraglia, metallo ovunque. Bidoni con molle che straripavano, lastre, travi, macchinari legati a bombole erano distribuiti per la stanza. Su un banco lungo oltre sei metri, delle ampolle contenevano liquidi che bollivano sotto fiamme blu. I fumi che producevano venivano incanalati in percorsi arzigogolati che si perdevano per la stanza. Bottiglie, fiale e polveri popolavano gli scaffali che nascondevano le pareti. L’uomo minuto intento a maneggiare un cacciavite era  il solo essere umano nella stanza oltre a lei. Era completamente calvo. Si voltò rivelando un rigoglioso pizzetto grigio e due occhi tondi e scuri. Posò il cacciavite e si mise delle lenti mentre si avvicinava alla donna.

Tese la mano, ferma e marziale. “Professor Silliban. Ernesto Silliban. Molto piacere”

“Priscilla”

“Lo so, lo so. Me lo hai detto prima, ricordi? Ecco vieni siediti” Porse uno sgabello la cui pelle era sgualcita e dove un taglio rivelava l’imbottitura in gommapiuma.

La donna si sedette stringendo l’ampia borsa in grembo, quasi pentendosi della scelta avventata di venire in quel luogo.

“Così sei riuscita a decifrare il mio annuncio? O sei qui per caso?”

“Sì l’ho decifrato” disse Priscilla accennando un mezzo sorriso

“Oh! Ma che bella notizia! Sei la prima che ci riesce, devi avere tanta materia grigia in quella testolina. Dobbiamo brindare, brindare a questo intelletto!” Cominciò a dimenarsi in cerca di due bicchieri

“Non si disturbi” si sistemò una ciocca dei lunghi capelli lisci “non bevo alcolici”

Il professore rise “Ci sono malattie peggiori mia cara”

Lei non si scompose “Mi dica, è vero l’annuncio che ha messo? O è solo una farsa per prendersi gioco della gente?”

L’uomo si risedette lentamente.”Vero sì. Pensavo che nessuno l’avrebbe mai decifrato, ne ero certo. Così tanti metodi di codifica mescolati in poche righe. Può capire la mia eccitazione”

“Non si deve scherzare su certe cose”

Il professore deglutì e si grattò la gola. “Allora è qui davvero per l’annuncio?

“Sì”

“Dunque, abbiamo bisogno di sedie un po’ più comode e di alcolici più forti” alzò una mano “Pardon, almeno per me. Mi segua”

Il professore la portò in un’altra stanza, molto meglio ammobiliata. E anche di buon gusto notò Priscilla. Una solida scrivania in noce dominava lo spazio. Sembrava più lo studio di un avvocato che di uno scienziato.

“Ecco si sieda.” Lui la imitò e si lasciò andare sulla poltrona foderata guardandola dritta negli occhi. “Sei della polizia?”

Priscilla scosse la testa. Tenendo lo sguardo basso disse “In Saints Street 142 stesura contratti per vite ingiuste, vite rovinate, unico pagamento la giustizia dell’etica morale, chiedete ciò che è giusto e questo vi sarà dato” Gli occhi verdi della giovane donna puntarono verso Silliban “Sono venuta a chiedere ciò che è giusto”

“La tua serietà mi fa già intuire di cosa si tratta mia cara. Ebbene io sono uomo di parola e se quello che chiedi è giusto io e Dug faremo ogni cosa in nostro potere per dartelo”

Chissà se era vero. Ma d’altronde, non aveva più nulla da perdere “Chiedo una vita”

“Che vita?”

“La vita che mi è stata rubata” Gli occhi gli si inumidirono

“Come immaginavo. È vendetta quello che cerchi, non è così?” Si sporse in avanti “Priscilla, non sono un sicario se è questo che stai cercando, ma come ti dicevo posso aiutarti. Vedi, io venero la meccanica e la scienza, e in tutto ci deve essere un ordine. Se una persona fa del male allora è giusto che essa paghi. Se questa non sconta nessuna pena allora c’è un disequilibrio. Mi segui? Oh! Ma certo che sì, sei una ragazza così intelligente”

Le gote della ragazza si arrossarono, ma non cambiò espressione.

“Ora io ho il potere di far accadere quello che tu vuoi, ma è raro e costoso. Inoltre stiamo parlando di una vita, non possiamo trattare l’argomento con leggerezza, quindi ho bisogno di sapere tutto e bisogno di sapere se è vero” si voltò verso la porta”Dug! Raggiungici in studio per favore”

Si udì uno sferragliare nell’altra sala. Poi dei passi pesanti. Quando Dug entrò nella stanza la donna ebbe un sussulto.

“Non si spaventi la prego. Lui è Dug, Dug questa è Priscilla. È un’amica”

L’essere alzò la mano in segno di saluto. Aveva una struttura umanoide, ma il suo aspetto e la sua stazza erano fuori dal comune. Il cranio era metallico e diversi occhi si muovevano sulla parte frontale, alcuni in involucri di vetro altri guardinghi nelle fessure del metallo. Una grande cappa di vetro sulla nuca conteneva un gas luminoso bianco che si agitava in continuazione. Non aveva bocca o altre aperture. Il corpo era un ammasso di ferraglia, legno e pezzi di … animali. La mano sinistra era quella di uno scimpanzé e la gambe e pezzi di carne più o meno pelosi si alternavano agli altri materiali artificiali.

“Dug aiutami con questa” Il professore prese un macchinario da un cassetto. Dug allacciò i polsi della ragazza in due fasce di alluminio e ne mise una terza sulla testa. Il tutto era collegato allo strano marchingegno che segnava una linea oscillante su una bobina di carta. Priscilla cominciò a tremare. Aveva paura. Un pazzo con ideali assurdi e un cyborg orripilante la stavano legando a quello che sembrava essere  a un macchinario della verità. E lei non opponeva resistenza. Doveva tentare. Era la sua unica possibilità.

“Bene.” Disse Silliban “Raccontami tutto”

 

***

 

Trevor inspirò profondamente. Espirò lasciando andare le preoccupazioni e i pensieri che lo distoglievano dal suo avversario. Il lanciatore dei Niks caricò il tiro.

Tende a sinistra. Sarà un lancio forte.

Con un unico gesto fluido il lanciatore si protese accompagnando la palla da baseball in un lancio potentissimo. Il battitore dei Cormorans roteò la mazza e il suono secco della palla sul legno fece esplodere un boato tra gli spalti. Cominciò a correre verso la prima base mentre il pubblico ammirava la traiettoria della sfera bianca sovrastare il campo. La palla ora stava scendendo. Atterrò sugli spalti. Fuori campo. Fine della partita.

Sei il migliore Trevor. Il migliore.

I compagni di squadra lo abbracciarono e il pubblico lo acclamava. Si avviarono verso gli spalti dove Sally lo stava aspettando con i ragazzi. Junior stava in braccio alla mamma mentre Bill portava la maglia e il cappellino della squadra. Sorrideva radioso. Era il suo eroe.

“Ecco papà!” urlò.

L’uomo si avvicinò e li prese entrambi tra le braccia.

“Voglio diventare anche io un giocatore di baseball” disse Bill.

“Lo sarai. Tutto è possibile” Guardò Sally e si sporse per darle un bacio. Faceva caldo e lei portava un top minuscolo. Forse troppo. Una volta a casa glielo avrebbe detto. Vide gli occhi dei suoi compagni di squadra svestirla nella loro immaginazione. Cercò di ignorarli. Anche Teresa, la sua ex-moglie, era una bella donna, ma non di quelle che la gente si girava a guardare per strada. Era una bellezza naturale, campagnola. Sally invece, aveva posato per qualche testata di moda diventando popolare nel giro di pochi mesi. Tutti impazzivano per lei. E lui più di tutti.

“Non aspettarmi sveglia stasera. Usciamo a festeggiare con i ragazzi”

“Va bene, non bere troppo” disse con uno sguardo di intesa.

Trevor fece il suo sorriso da bambino dispettoso come per dire “non ti rispondo perché sappiamo entrambi che lo farò”.

Cenarono da Francis Burger. Era una tradizione della squadra e Francis considerava ormai ognuno dei giocatori come un proprio nipote. Caraffe di birra venivano servite senza sosta. Trevor non si tirò indietro e dopo qualche ora si fece accompagnare a casa.

Scese barcollante dall’auto salutando i compagni. Il vialetto era illuminato dai nuovi lampioni installati nel quartiere. I coni di luce si alternavano alla fitta oscurità della notte.

“Che ore sono?” si guardò il polso. Mise a fuoco le lancette. Due e un quarto. “Niente male”

Si avvicinò al cancello della villa. Maneggiò il mazzo di chiavi che scivolò dalle sue mani cadendo vicino a un tombino.

“Per un pelo” si inchinò per raccoglierle. Quando si alzò una mano pelosa gli si appoggiò sulla spalla. Era ubriaco o quella era la mano di una scimmia? Si voltò incredulo e poi ci fu solo buio.

 

***

 

Quando riprese conoscenza fu messo in piedi sul ponte della ferrovia. Sentiva le acque scorrere rapide sei metri sotto di sé. Aveva le mani dietro la schiena, i polsi legati da una cordicella. Una fune gli stringeva il collo. Era assicurata ad una robusta trave sopra il sui capo e la corda in eccesso gli penzolava all’altezza del ginocchio.

Dug tolse il cappuccio dell’uomo.

“Ma che cazzo significa tutto questo?!”

“Pagherai per quello che hai fatto Trevor” disse una voce di donna.

“Chi diavolo sei?” disse Trevor

“Priscilla Vegance”

“E che diamine vuoi da me?! Vuoi dei soldi? Toglietemi questa corda dal collo!” Trevor si dimenava. L’adrenalina aveva riacceso i suoi sensi. Per poco non perse l’equilibrio. Si fermò.

“Non ti ricordi nemmeno di quello che mi hai fatto?”

“Non ti ho mai visto prima d’ora, né tu né il tuo amico” Dug stava immobile al lato della strada.

“Scuola superiore di Downhill, cinque marzo del 2003. A una festa a casa di Dave Huston in via Kennedy 37, mi portasti in camera di Dave dicendomi che ti eri innamorato di me—”

“Tutto questo per una cotta? Mi sembra un po’ esagerato!”

“—ci sedemmo sul letto e mi baciasti. Poi mi cominciasti a togliermi i vestiti. Io non volevo, ma tu hai insistito. Poi mi hai chiesto di provare una cosa—“

Gli occhi di Trevor si ingigantirono “Aspetta!”

Priscilla cominciò a piangere “—ti ricordi ora bastardo? Non ho mai fatto l’amore con un uomo da quando mi infilasti—“

“Aspetta! Priscilla ti prego! Eravamo ragazzi, cazzo era solo un gioco!”

Si asciugò le lacrime. I suoi occhi freddi come le lame di un coltello. “Ho pensato di uccidermi sai? Ero una ragazza distrutta, in tutti i sensi. Ho appeso un cappio nello scantinato. Per cinque giorni tutte le sere preparavo il nodo e appendevo la corda. Il quinto giorno ho capito. Perché ero io a dover morire? Perché doveva pagare ancora la povera Priscilla?”

“Cazzo Priscilla ho dei figli!”

“E una moglie bellissima, credi che non ti abbia visto sulla televisione? Mi dispiace TNT Trevor. È giusto che tu paghi per quello che mi hai fatto”

“Era solo un gioco! Una ragazzata!”

“Dug, è il momento”

Il cyborg alzò la mano scimmiesca e impassibile spinse l’uomo. La corda si tese e la voce di Trevor si strozzò sotto di loro.

Dug guardò verso Priscilla. I suoi diversi occhi vuoti e senza espressione. Una voce distorta fuoriuscì dalla faccia dell’essere.

Ebbene, il nostro contratto si è concluso. Abbia cura di lei signorina Vegance. Addio”. Il gas bianco e luminoso racchiuso nella calotta sulla nuca di Dug si agitò. Uscì velocemente da dei piccoli orifizi ai lati del suo cranio e si disperse nell’aria. Il gigante si spense e si stese sul bordo del ponte ribaltandosi al di là di esso. Superò il corpo penzolante di Trevor  e si schiantò sull’acqua scura.

Priscilla cadde in ginocchio. Pianse, pianse per tutto il dolore che aveva provato in questi anni, per tutta la rabbia che aveva accumulato per quel momento. Quel breve momento di follia. Sfoderò una nove millimetri infilata nel retro dei pantaloni e la caricò. Fu un gesto lento, goffo e doloroso. Guardò verso la cittadina di Downhill. Il patto con il dottor Silliban era concluso.

“Il nostro patto è concluso professore. Ma io non ho ancora finito”

 

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