Esce oggi in anteprima mondiale Leatherface, il film che indaga sulle origini dell’omonimo personaggio cult degli anni settanta ideato da Tobe Hooper. La pellicola diretta da Alexandre Bustillo e Julien Maury, è un bagno di sangue, che affonda le radici nella parte più oscura e psicologica di Jedidiah Sawyer, creando un interessante spunto e punto di vista differente sulle origini di uno dei mostri sacri del cinema horror.

Non è passato nemmeno un mese dalla terribile scomparsa di uno dei registi più importanti del cinema horror contemporaneo, Tobe Hooper. Arriva, però, oggi un film di cui il regista statunitense andrebbe fiero e che offre allo spettatore un punto di vista differente sulle origini di una delle leggende del cinema horror, Leatherface.

Conosciuto appunto come Faccia di Cuoio, il personaggio è il brutale killer del secondo film come regista di Hooper, Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre). Pellicola che ha sicuramente concesso la notorietà al regista, Non aprite quella porta arriva al cinema nel 1974 e si ispira liberamente alla storia vera di Ed Gein, spietato serial killer americano che uccideva brutalmente le sue vittime, per poi riutilizzare ossa e pelle in svariati oggetti domestici, come lampade, poltrone, cinture, vestiti, soprammobili e anche maschere.

Ed Gein, così come sarà anche per Jedidiah Sawyer, venne educato severamente dalla madre e dal padre, insieme al fratello. I due ragazzi vivevano in un continuo stato di isolamento, costretti a lavori più violenti nella fattoria di famiglia e totalmente plasmati dalla madre verso una lettura estrema della Bibbia. Ciò influì ferocemente sulla psiche del bambino, tanto da trasformarlo nel futuro in uno spietato killer.

 

 

Leatherface

 

 

Leatherface riporta in scena proprio tutto questo, andando ben oltre la semplice apparenza ma scavando in profondità, di cui si ha solo un accenno nel primissimo Non Aprite Quella Porta. Sappiamo perfettamente quanto la famiglia squilibrata di Jedidiah abbia influito sulla sua psiche, a tal punto da ridurlo incapace di intendere e volere, reagendo nei confronti di qualsiasi altro essere umano sempre con violenza, ma non per rabbia e istinto, ma per vera e propria paura.

Eppure tutto questo è solo una piccola parte di un puzzle più grande, in cui si accenna nei vari sequel e remake (più o meno riusciti) del franchise nato nel ’74, ma mai nessuno sul grande schermo ha risposto alla fatidica domanda:

Come nasce Leatherface? Quando Jedidiah Sawyer smette di avere un vero volto?

I giovani Bustillo e Maury, con il loro prequel originale, cercano di rispondere proprio a queste domande, creando un origin story in parte coerente con il passato del personaggio di cui lo spettatore è sempre stato a conoscenza, ma che in parte si prende qualche giusta licenza poetica.

 

Leatherface

 

Leatherface, ancora prima di essere un horror, violento e sanguinoso, è la discesa negli inferi di un’infanzia rubata

Leatherface, ancora prima di essere un horror, violento e sanguinoso, è la discesa negli inferi di un’infanzia rubata, un’adolescenza stuprata e un destino mostruoso inevitabile. Quella di Jedidiah Sawyer è la storia di molti ragazzi “interrotti”, vittime di violenze, abusi e famiglie disastrate, abbandonati a se stessi nei centri “specializzatidove venivano utilizzati come carne da macello, topi da esperimenti. Classificati già feccia umana prima ancora di avere una possibilità. Condannati prima ancora di essersi sporcati le mani. Individui destinati a perdere la propria identità.

Jed non è l’unico personaggio a essere inquadrato, ma si affrontano diverse patologie, differenti traumi e le loro conseguenze su giovani menti. La frustrazione che porta a reazioni esagerate, alimentate dal continuo odio, dalla mancanza di stimoli, che conduce verso il peggioramento, senza possibilità di scelta. In realtà, sono gli stessi registi a chiedere allo spettatore: chi è il vero Leatherface?

Quello di Leatherface è un percorso fatto di traumi, a partire dalla morbosa educazione della madre Verna Sawyer (Lili Taylor), dall’obbligo nell’uccidere e diffidare di chiunque al di fuori dalla famiglia fin dalla tenere età, passando per l’inumano Istituto di Recupero alla violenta perdita di quei pochi elementi che hanno permesso alla mente del giovane Jed di restare attaccato con la propria umanità.

 

 

Leatherface

 

 

I due giovani registi riescono a costruire un racconto fatto di molte sfumature, alternano violente scene splatter a momenti di profonda riflessione psicologica. Una sorta di “viaggio dell’eroe” al contrario, dove il protagonista invece di andare verso la superficie, viene costretto a discendere sempre più verso le tenebre. Assistiamo alla totale perdita di una coscienza. Una terrificante lotta umana, in cui i colpi più violenti non sono quelli fisici, ma quelli verbali, quelli emotivi. È il pensato, e analitico, distacco della coscienza umana dal proprio corpo, esasperata, umiliata e annullata.

L’interessante nascita di un mostro dove, per una delle prime volte nel cinema horror, lo spettatore viene portato totalmente ad empatizzare con esso.

L’interessante nascita di un mostro dove, per una delle prime volte nel cinema horror, lo spettatore viene portato totalmente ad empatizzare con esso. La pellicola porta quasi a comprendere le terribile e finali azioni, preludio di un lungo percorso fatto di sangue e sofferenza. In questo Alexandre Bustillo e Julien Maury fanno decisamente centro, realizzando uno dei migliori prequel degli ultimi tempi su un personaggio storico della cinematografia horror.

 

Leatherface

 

La costruzione della narrazione riesce a tenere alto l’intero livello della pellicola, nonostante alcuni difetti dettati dalle mani poco esperte dei registi, come alcuni dialoghi didascalici, le scene violente concentrate nella parte finale e qualche sviluppo prevedibile o piccolo eccesso. C’è una buona alternanza di sangue per quasi tutta la pellicola, ma il vero fulcro, quello che rimanda al palese e voluto omaggio nei confronti della pellicola originale del 1974, è sicuramente concentrato negli ultimi passaggi (ad eccezione di un gustoso omaggio nei confronti di un personaggio).

Non mancano nemmeno scene cult che strizzano l’occhio al vecchio horror…

Non mancano nemmeno scene cult che strizzano l’occhio al vecchio horror, come fermarsi in mezzo alla strada per aiutare un bambino, entrare in un capanno abbandonato, non correre quando si dovrebbe correre e scappare quando non si dovrebbe scappare. Piccoli momenti classici, nati proprio nei filoni di film come Non Aprite Quella Porta, che seminati all’interno della pellicola sanno fare il loro lavoro. Mantenendo il bilico tra il nuovo horror e il vecchio horror, ma senza risultare forzati o esageratamente falsi.

Ottimo lavoro di sceneggiatura nelle parti di maggiore ansia e anche nella leggera linea thriller che fino alla fine fa dubitare sulla vera identità del futuro Faccia di Cuoio, mescolando la carte in tavola. Resta quasi l’alone del dubbio, del mistero, forza motrice della pellicola, facendo quasi sospettare che, dietro quella maschera, c’è ancora molto altro.

 

Leatherface

 

Leatherface, nella sua essenza di film semplice, sa essere estremamente efficace, una chicca soprattutto per gli appassionati del personaggio, che vogliono “sadicamente” scavare nelle cruente origini di un mito. Interessante e coinvolgente dall’inizio alla fine.

Consigliabile la visione in lingua originale e in una sala che sappia esaltare il sonoro!

 

Leatherface sarà nella sale cinematografiche di tutto il mondo dal 14 Settembre