Bene, pure questa settima stagione di Game of Thrones è finita. Come ci aspettavamo i draghi hanno fatto cose da draghi, i non morti hanno fatto cose da non morti, Jon e Dany hanno… ratificato la loro alleanza.
Dopo aver provocato dolore a tutti i fan della saga con questo riassunto così ben articolato, senza indugi è meglio affrontare subito l’elefante nella stanza, via il dente via il dolore.
Si tratta di un pachiderma libero dal copyright Disney, un commento che è impossibile non trovare in ogni discussione inerente a questa stagione:
Eh, signora mia! GoT è diventato brutto, scontato. Cara, ormai non ci sono più i libri di Martin! Si naviga a vista.
Vero, in parte. Gli ultimi due libri di Martin contengono qualche centinaio di pagine di vuoto pneumatico letterario (per la gioia degli editori per cui l’equazione + pagine = + € è sempre vera). Quindi non nascondiamoci, banalmente, dietro la mancanza della scrittura miracolosa e salvifica di Martin. Provocando altro dolore a tutti quelli che hanno come sogno nel cassetto quello di scrivere, ad aprire mille sotto trame che spaziano ovunque sono capaci un po’ tutti.
Il talento sta nel far correre queste storie in parallelo tra loro, avvicinarsi e poi allontanarsi, rendendole in grado di reggere il peso della distanza corsa e, infine, concludersi dando un senso generale a buona parte della storia raccontata, nonché un minimo di soddisfazione al lettore.
Questo Martin non l’ha ancora fatto, non del tutto almeno. Gli sceneggiatori, invece, si sono trovati con le spalle al muro. È ora di chiudere il cerchio, i nodi devono venire al pettine, chi ha ucciso l’ospite nella sala da pranzo usando il candelabro?
È ora di chiudere il cerchio.
Quello che sicuramente è venuto a mancare nella trasposizione televisiva sono le dettagliate sfaccettature dei personaggi, così ben sfumate nelle stagioni precedenti, che davano agli stessi una bussola – per quanto deviata a livello morale di giusto e sbagliato – con cui muoversi all’interno del mondo creato dallo scrittore. In definitiva, i personaggi sono diventati piatti, delle ombre di se stessi, le loro decisioni puzzano di banale e via dicendo.
Ci torniamo dopo, perché ora abbiamo bisogno di velocità!
Velocità, nonsense e sitcom
Non quella con cui viaggiano i corvi, i draghi o le navi di Guybrush Threepwood sotto mescalina Euron. Quelli sono magici. Si tratta della velocità a cui viaggia tutta la settima stagione, che tra l’altro percorre pure una distanza minore rispetto alle precedenti (7 episodi. Ne avrei preferiti 6, perché 7×6=42 e 42 è la risposta alla vita, all’universo e a tutto quanto).
Gli sceneggiatori, David Benioff e D.B. Weiss, si sono trovati la patata bollente in mano: 13 episodi per chiudere tutto e pagare il conto. Cosa non semplice se consideriamo che in passato il Mastino e Arya, Jorah e Tyrion hanno cazzeggiato per tonnellate di minutaggio solo per spostarsi dal punto A al punto B. Bene, da questo compito non semplice nasce la necessità di chiudere alcune linee narrative, portare gli eroi dove ci sarà il party di mezzanotte e soprattutto, cosa che stride con il carattere crudo di GOT, tenere in vita i personaggi chiave per una morte onorevole/disdicevole nella stagione finale.
Ma non c’è tempo!
Ci sono alcuni appunti di Martin su come la storia debba finire, ci sono un sacco di teorie assurde antivax R+L=J trovate su internet, ci sono i meme su Gendry e la sua barca, su Tormund e Brienne… bisogna correre, anche più veloce di Gendry se necessario, e tralasciare tutto il bagaglio caratteriale, frutto di un evoluzione lenta e dolorosa, che i personaggi si trascinano appresso.
Devono agire in un certo modo e fare certe cose, non c’è tempo di dargli una parvenza di congruità. E qui cominciano i nonsense, di seguito elencati per un gusto sadicamente pignolo e per scatenare flame nei commenti, così con il traffico generato Itomi può pagare il carenaggio del suo panfilo ad Approdo del Re:
- le serpi che non usano armi avvelenate nel duello con Euron
- Ditocorto che non scappa a gambe levate quando Bran gli ripete frasi dette a km di distanza, mentre si trovava solo con un’altra persona
- il re della notte che mira al drago in volo e non a quello fermo davanti a lui, su cui – tra l’altro – ci sono una manciata dei personaggi principali
- quattro
- personaggi con mani d’oro e armature pesanti che non annegano
- nell’attacco alla carovana l’unico carro che si salva alla pioggia di fuoco è quello con lo scorpione
- le catene dei non morti usate per ripescare Viserion
- Jorah che guarisce con una seduta di peeling e della crema nivea
- Arya che combatte con Brienne (la scena resta da pelle d’oca, comunque)
- Gandalf non poteva volare con le aquile fino a Mordor e lanciare l’anello nel monte Fato?
- Uncle Ben e la sindrome dell’anta di Titanic
- Cersei che lascia libero Tyrion (si va bene, approdo del re era assediato dalle truppe di Dany)
- Cersei che lascia libero Jaime
- Arya era davvero incazzata con Sansa? Era tutta una finta? Se si, perché? Non si poteva tagliare la gola a Dito Corto senza tutta sta manfrina?
- se non hai le palle, un uomo di approssimativamente 100kg può tirarti ginocchiate nelle gambe senza problemi
- perché non hanno usato le spade infuocate per scaldarsi durante la notte?
- perché andare a prendere un morto così lontano dalla barriera? Non potevano, banalmente, giustiziare un condannato a morte appena oltre i cancelli e aspettare che si tramutasse?
- la trama di Alien Covenant
- Jon non viene colto da sciolta fulminante nonostante la nuotata nel lago ghiacciato e la successiva cavalcata. Probabilmente non aveva mangiato nelle tre ore precedenti al bagno
- lasciare sguarnito il forte di un proprio alleato, Alto Giardino, nonostante sia pieno di oro e viveri
Insomma, questa settima stagione, a livello di sceneggiatura, soffre il suo essere un mezzo di transizione verso un finale ancora nascosto. Riprende personaggi conosciuti e si limita a spostarli, andando creare legami che paiono sin troppo forzati (chi non vorrebbe vedere una sitcom con il Mastino e Tormund che dividono un appartamento? 2 Broke Girls levati proprio).
Ma non è tutto qui.
Dialoghi, recitazione e fanservice
Quello che ha saputo differenziare Games of Thrones dal fantasy a cui eravamo abituati era il suo essere crudo, uno show in cui l’eroe non scappava al patibolo solo perché i suoi compagni arrivavano a salvarlo, stile Robin Hood.
C’era gente uccisa dalla propria superbia, gente trucidata per aver infranto una promessa perché accecata dall’amore, un bambino lanciato dalla finestra, così nel primo episodio, senza considerare i “cattivi”, quelli veri. Un re bambino folle e crudele, un bastardo patricida desideroso di nobiltà; era gente che potevi trovare sui libri di storia, non solo in tv.
Gli attori con uno script del genere potevano brillare. Un Ramsey Bolton quando rideva faceva venire la pelle d’oca al pensiero di quale malvagità vi si celasse dietro. C’era la trasformazione e l’evoluzione dei personaggi: un Jaimie Lannister che più si allontanava da sua sorella, più si scopriva umano.
Con uno script all’altezza, Jack Gleeson, che era un ragazzino e non un attore con anni d’esperienza, è riuscito a farsi odiare dal mondo intero. Il mastino, nomea da macellaio, ma che nella sua ruvidezza badava ad una bambina di 13 anni, perché il mondo era troppo crudele per lasciarla sola.
Ora cosa rimane? Un cattivo, il re della notte, che non parla e si limita ad alzare le braccia.
Jon Snow e Danerys che sono identici al primo episodio della prima stagione. Sguardo da cane bastonato e voce roca per Jon, pronto al sacrificio estremo per il bene di tutti, ambizione e sopracciglia arcate per Dany.
Siamo passati da momenti di grande televisione, come il processo di Tyrion, che terminava con un epico “So che in quest’aula non riceverò nessuna giustizia. Lascerò perciò agli dei decidere il mio fato. Io reclamo un processo per combattimento.” accompagnato dai violoncelli della “The rains of Castamere ” sui titoli di coda a “Non sono qui per uccidere. Inchinatevi o morite“.
Questa stagione si allontana dalla favola disincantata di Martin per virare verso i canoni più classici di eroi dai nobili natali, della lotta tra il bene e il male. Non il male ambiguo, quello dell’ambizione umana, della lotta al potere, del riscatto a tutti i costi, ma quello che riconosci al primo colpo, come gli zombie, gli spoiler su internet, ho già scritto gli antivax?
Tutta la stagione sembra un coro di vendetta e riscatto per gli Stark, qui riuniti, forti e cazzuti. Un piacere reso allo spettatore che tanto ha sofferto in passato.
Un fanservice orgasmatico in cui Tyrion reincontra Bronn e Podrick, il Mastino e Brienne sembrano genitori affidatari che parlano con orgoglio della loro piccola figlia adottiva, assassina seriale, Davos e Gendry sfondano la quarta parete facendo l’occhiolino ai meme sulle barche a remi, e il più ambiguo dei cattivi, Ditocorto, quello che ha messo in movimento tutto il meccanismo che ha portato re e uomini a morire, un uomo venuto dal niente e che è diventato Lord, muore in ginocchio, piangendo. Perché ormai non c’è più spazio per questo genere di malvagità. Fottesegha, ora c’è il drago zombie. Quello si che è una nemesi con i fiocchi.
Inoltre, per quanto trovi simpatici Kit Harrington ed Emilia Clark (davvero, andate a cercare i loro video lontani dal set), in questi episodi viene concesso loro un sacco di spazio, ovviamente. Questo, purtroppo, mette in evidenza la loro debolezza recitativa, che in passato veniva ben mascherata dall’intreccio degli altri attori durante le puntate.
E quindi, è tutto una merda? Siete i soliti nerd naif che si perdono in mille dettagli insignificanti e a cui non va bene niente. Ovviamente no.
Stunt, pelle d’oca e conclusioni
Questa stagione ha saputo regalarci momenti di puro piacere visivo, inutile negarlo. La sortita alla carovana da parte dell’esercito dothraki è qualcosa che rimarrà negli annali della televisione. La genialità dell’attacco, ancor prima dell’enorme sforzo tecnico per la sua resa visiva, è porre finalmente personaggi che abbiamo imparato ad amare sul campo di battaglia, gli uni contro gli altri.
Ed è in quel preciso momento che ci sentiamo come Tyrion, in preda ad un’indecisione avvolgente e soffocante. Spettatori lontani e inermi a cui giunge il puzzo dolciastro di carne bruciata, le urla laceranti dei soldati morenti mentre tratteniamo il respiro.
Annichiliti dalla potenza distruttrice scatenata da un drago all’attacco, non sappiamo più a chi debbano andare i nostri pensieri di speranza, di sopravvivenza.
L’abilità assassina di Arya, che se in un primo momento ci lascia perplessi su come potrebbe sopraffare un gruppo di soldati Lannister, ci viene poi mostrata nella sua gloriosa danza di morte durante l’allenamento con Brienne. Infine, la lotta sul ghiaccio in una missione suicida, stupendamente incorniciata dai paesaggi islandesi.
Siccome un video vale più like di mille parole, eccone due che mostrano il dietro le quinte delle scene più iconiche di questa stagione.
In definitiva, questa settima stagione ha mantenuto il suo scopo primario, quello di intrattenere il pubblico.
Una produzione tecnicamente eccelsa si è altalenata a momenti narrativi un po’ deboli, a una recitazione non sempre all’altezza, ma che nonostante tutto ci lascia in attesa, trepidanti, mentre nella nostra testa si ripete incessante il motivetto della sigla.