King Arthur e il potere della spada: storia di un mito di cui possiamo trovare tracce in Italia

Potrà sembrare surreale eppure, camminando lungo i colli senesi, è possibile imbattersi in un’autentica spada nella roccia. Un oggetto leggendario che è reale, lì davanti a noi, anzi se non si trovasse sotto una teca ci verrebbe perfino voglia di estrarla, ma saremmo noi degni di farlo?

Ci troviamo in Toscana a Montesiepi, dentro l’Eremo di San Galgano, dal nome del cavaliere che nel 1180, in seguito a un fatto miracoloso, avrebbe conficcato questa spada in una roccia, la stessa che sembra aver ispirato la saga arturiana.

Sì perché alcuni anni dopo la morte di Galgano, il poeta francese Robert de Boron avrebbe inserito questo particolare non di poco conto nella storia di re Artù che stava già diventando famosa grazie al testo “Storia dei re della Britannia” di Goffredo da Monmouth.

Galgano, cavaliere dissoluto, in seguito ad una visione di San Michele Arcangelo e all’incontro su Monte Siepi con gli Apostoli; in seguito anche alla decisione del suo cavallo di cambiare strada e condurlo nello stesso luogo della visione dell’Arcangelo, decise di abbandonare la sua vita materiale per diventare un Santo cavaliere.

Volle erigere un altare, ma non trovando legna per costruire una croce, estrasse la spada e la conficcò nella roccia a formare con l’elsa una croce, trasformando così un oggetto di offesa in un elemento di preghiera.

 

Eppure questo non è il solo riferimento ad Artù che abbiamo in Italia, ce ne sono altri che si trovano nelle lunette di due chiese molto famose: il Duomo di Modena e il Duomo di Bari.

Il primo sopra la Porta della Pescheria riporta un bassorilievo di una saga arturiana scolpito anni prima del testo di Goffredo da Monmouth, in cui si fanno perfino nomi e cognomi. Al centro abbiamo Winlogee/Ginevra, tenuta prigioniera da Murdoc/Mordred, si trovano dentro una fortezza attaccata da Artus de Bretania che insieme ai suoi cavalieri Isdernus, Burmaltus, Galvariun e Che è in procinto abbatterne la porta per liberare la regina.

 

Duomo di Modena, Porta della Pescheria.

 

La stessa scena viene rappresentata nel Duomo di Bari, anche se priva di nomi, ma talmente simile alla Porta della Pescheria da non avere dubbi sul riferimento al ciclo arturiano.

Questa presenza tutta italiana non dovrebbe sorprendere, in quanto sembra che lo stesso personaggio di re Artù sia stato ispirato proprio da un ufficiale romano, Lucius Artorius Castus, originario della Campania e vissuto nel II secolo d.C.

Artorius fece carriera velocemente, motivo per cui l’imperatore Commodo gli affidò un compito difficilissimo, la difesa del Vallo di Adriano in Britannia.

Nato dal nulla e molto bravo a combattere, Artorius fece carriera velocemente, motivo per cui l’imperatore Commodo gli affidò un compito difficilissimo, la difesa del Vallo di Adriano in Britannia (la Britannia dell’Impero Romano è l’attuale Inghilterra) ultimo baluardo per fermare l’avanzata dell’esercito anglosassone.

Artorius da solo non poteva certo contrastare un intero esercito, anche ad avere con sé un’ipotetica Excalibur. Per sua fortuna gli vennero affiancati 5500 cavalieri Sarmati, provenienti dall’Ucraina, dalle regioni degli Urali meridionali e dalla steppa del Kazakistan occidentale.

Erano talmente bravi in battaglia che, nonostante all’inizio contrastavano Roma, Marco Aurelio anziché sterminarli nel 175 li ingaggiò, affiancandoli ad Artorius in Britannia. E così, oltre alle spade, portarono nella Legio VI Victrix anche le loro tradizioni, che ritroveremo nelle saghe arturiane.

Indossavano armature a scaglie scintillanti, elmi conici, spada lunga, lancia e frecce, molto diverse alle armature a cui erano abituati gli abitanti del posto facendoli apparire come “mitici”, allevavano cavalli ed erano cavalieri molto bravi e poderosi, avevano sciamani simili alla figura di Merlino che officiavano rituali con calderoni magici da cui respiravano fumi allucinogeni, che ricordano oltre al Graal, anche i calderoni magici delle saghe arturiane, avevano il drago nel vessillo identico al simbolo di Uther Pendragon il padre di Artù, ma soprattutto veneravano le spade e le conficcavano nel terreno, come la spada nella roccia di Artù e la già citata spada di San Galgano, motivo che ci fa pensare che Robert de Buron potrebbe essersi ispirato anche a loro.

Ma da dove proviene l’usanza di infilare le spade nella roccia?

La Terra è un essere vivente con energie telluriche che scorrono continuamente, come le correnti d’acqua sotterranee, i vulcani, i terremoti e lo sfregamento delle faglie tettoniche, l’energia piezoelettrica, i geyser, il magnetismo, energie forti e costanti che si raccolgono in determinati punti, individuati da sacerdoti o uomini molto sensibili, che indicavano questi luoghi di forza per costruirvi templi o soprattutto conficcarvi menhir di pietra, pietre che seguivano in cerchio o in linea retta queste correnti da formare cromlech e la stessa Stonehenge.

L’energia tellurica non poteva essere raccolta con dei contenitori, occorreva inserire un oggetto per impregnarlo di tale energia benefica, diventando così rigenerante e guaritore. E così come alcuni popoli infilavano i menhir, altri come i Sarmati o anche gli Shardana, inserivano le spade lungo questi stessi canali energetici, affinché l’arma si caricasse diventando invincibile.

La sua fama malvagia lo ricorda nella storia anglosassone come il peggior tiranno bretone.

Ma un altro personaggio realmente esistito, a cui la figura di Artù potrebbe essersi ispirata, è Ambrosio Aureliano, un capo romano-britannico vissuto più tardi, nel IV secolo d.C., rimanendo celebre per le sue gesta nel difendere i britanni dai temibili sassoni guidati da Vortigern, il tiranno realmente esistito protagonista nel film “Artù, il potere della spada”. La sua fama malvagia lo ricorda nella storia anglosassone come il peggior tiranno bretone al punto da essersi alleato con i nemici del suo popolo che lo avrebbero infine tradito e ucciso.

“Le fiabe sono miti in miniatura” diceva Levi Strauss. Come dargli torto, è sbagliato interpretare leggende e favole come invenzioni, esse provengono da simbologie e antichi miti, riscritti e immessi in un contesto avventuroso, magico e più reale di quanto a volte, possiamo immaginare.

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