American Gods: un pilot orgiastico tra fedeltà ed estetica

American Gods

Ha fatto il suo esordio su Starz e su Amazon Prime Video la nuova serie creata da Bryan Fuller, American Gods, basato sull’omonimo romanzo di fantasia di Neil Gaiman. Una serie molto attesa, tra ansia e paura, da tutti gli amanti dello scrittore britannico. Al suo esordio tra States e Italia, American Gods è riuscita a convincere?

American Gods è una delle storie più celebri del poliedrico Neil Gaiman, seconda solo al fumetto The Sandman, e negli anni ha raccolto attorno a sé una schiera di fan sempre più accaniti e speranzosi di vedere un adattamento del libro.

La storia ruota attorno a Shadow Moon, un uomo appena scarcerato che, costretto da spiacevoli eventi, diventa la “guardia del corpo” del misterioso Mr. Wednesday.

Shadow è uno che non fa domande, guardingo e solitario, ma ben presto quello che gli sembra un uomo ricco ed eccentrico, circondato da amici e nemici tanto stravaganti quanto lui, si scopre nascondere molto di più, e Shadow si ritrova inconsapevolmente in una mistica lotta tra antiche e nuove divinità.

Le vecchie divinità trapiantate in America dai migranti di tutto il mondo in cerca di fortuna nella fantomatica “terra promessa”, alla conquista del sogno americano e tutte quelle “divinità” contemporanee, nate dai bisogni, dalla cultura e tendenze delle generazioni odierne, come la tecnologia, il linguaggio dei media e dei new media.

 

American Gods
Gaiman mette in scena un racconto simbolico e metaforico, dai culti egiziani a quelli nordici, passando dalla mitologia irlandese a quella slava, induista e africana, dando vita a personaggi mistici ma dalla stessa natura fallibile e con gli stessi difetti degli esseri umani.

 

Un gioco di scacchi dove Shadow Moon, unico essere umano, sembra avere l’arduo compito di arbitrare una partita tra Dei capricciosi e viziati.

Ufficialmente American Gods è un unico libro, pubblicato nel 2001, ma esistono altri due racconti legati alle vicende della storia, sempre scritti da Neil Gaiman. Il primo è un racconto pubblicato nel 2003 che vede protagonista sempre Shadow Moon, intitolato Il sovrano di Glen (The Monarch of Glen), e che fa riferimento a un’avventura accaduta in Scozia successiva agli avvenimenti narrati in American Gods.

Il secondo, I ragazzi di Anansi (Anansi Boys), è un romanzo pubblicato nel 2005, ambientato nell’universo di American Gods ma che può definirsi uno spin-off del libro principale.

 

American Gods

 

 

Il lavoro di Gaiman è molto vario, eppure lo stile dell’autore è sempre altamente riconoscibile.

Per chi non lo sapesse, il lavoro di Gaiman è molto vario. Dalle storie per ragazzi a quelle per adulti, dai racconti ai romanzi, dalle sceneggiature ai fumetti. Eppure lo stile dell’autore è sempre altamente riconoscibile.

Gaiman si muove in un mondo onirico, dove le suggestioni, le emozioni dei suoi personaggi prendono vita, fondendosi con la realtà. Un universo metafisico, simbolico che l’autore invita a decifrare, a prescindere dal target di riferimento.

 

American Gods

 

Quali altri autori televisivi avrebbero potuto rendere in immagini e le suggestioni narrative di Neil Gaiman, al limite tra l’estatico e il caricaturale, a tratti enfatiche e dalle sfumature presuntuose (perché può permetterselo), se non il visionario e amante del dettaglio Bryan Fuller?

Conosciuto, soprattutto, per Star Trek: Deep Space Nine e Star Trek: Voyager, Bryan Fuller ha saputo stilisticamente distinguersi nella trasposizione televisiva della serie di romanzi di Thomas Harris basati sullo psichiatra cannibale Hannibal Lecter.

Ossessionato dal dettaglio e dalla perfezione delle immagini, Bryan Fuller è capace di rendere la paura, la sofferenza e la violenza delle vere e proprie opere d’arte, in cui perfino il più efferato dei massacri diventa una rappresentazione idilliaca del grottesco.

Fuller trasforma in bellezza tutto quello che tocca, dai banchetti cannibali agli smembramenti, arrivando all’essenza di una suggestione, emozione e pensiero.

American Gods di Neil Gaiman è essenzialmente fatto di questo e Bryan Fuller ha saputo trovare, almeno per quanto concerne questo pilot, una perfetta dimensione in bilico tra la fedeltà del pensiero e dell’immagine di Gaiman all’interno del romanzo e l’originalità nello stile e nella raffigurazione.

 

 

American Gods

 

 

American Gods è stato un progetto dalla lunghissima gestazione.

American Gods è stato un progetto dalla lunghissima gestazione. Non è cosa facile dare vita alle immagini mentali di Neil Gaiman. Riuscire a rendere sullo schermo quello che le parole dello scrittore sono in grado di suscitare all’interno del lettore. Gaiman richiede al suo lettore un atto di fede, esattamente come lo stesso Shadow Moon viene chiamato a fare. 

In un mondo in cui è difficile trovare la fede. Un mondo in cui siamo bombardati da centinaia di stimoli diversi ogni giorno. Dove la religione è diventata propaganda, dove la cultura è consumismo e il mito è andato dimenticato sotto cumuli di social, format e tecnologie sempre più avanzate, Gaiman porta a compiere il suo protagonista, e con lui anche il lettore, un viaggio mitico e mistico, alla riscoperta di tutto quello che è andato perduto e della sua grottesca evoluzione. Alla scoperta della bellezza del dolore, della gioia, del massacro, del brutto e della vita.

 

American Gods

 

Allo stesso modo Bryan Fuller chiede quell’atto di fede nello spettatore, trasportandolo in quelle visioni che dalla carta prendono fedelmente forma in immagini, colori, dialoghi. Un bagno di estetismo, ma non solo. Il tutto prende forma nei dialoghi sopra le righe, dalle sfumature più grottesche e volutamente pretenziose.

 

Immagini orgiastiche raffiguranti sangue, sesso, violenza, tradimenti, ipocrisia, disperazione. Uno studio minuzioso e dettagliato che va dall’uso del colore, dove il rosso (passione, sangue e tentazione) predomina su tutto, alle musiche oniriche e trascendentali.

 

 

American Gods

 

 

Sessanta minuti in cui si viene letteralmente accompagnati, con ben poca gentilezza, in un altro mondo.

Sessanta minuti in cui si viene letteralmente accompagnati, con ben poca gentilezza, in un altro mondo. Un mondo con il quale abbiamo da spartire tanto, se non troppo, e dove gli dei rappresentano il peggio del lato più marcio della medaglia umana.

Unico a distinguersi è proprio l’unico essere umano, Shadow Moon (Ricky Whittle). L’unico del quale, nonostante la profonda disperazione all’interno della sua anima, in grado di osservare il mondo con innocenza e purezza.

Distaccato dall’universo grottesco, esaltato e quasi dozzinale rappresentato dagli dei. Eppure, esattamente come lo spettatore, Shadow resta coinvolto, fino nel profondo del suo essere, da tutto ciò. Costretto a credere in qualcosa di enormemente più grande di lui.

Fin da questo primo episodio ci troviamo di fronte a immagini violente, come combattimenti vichinghi e cascate di sangue – che non possono non ricordare molte delle sequenze presente all’interno delle tre stagioni di Hannibal –  feroci orgasmi cannibali dove la nudità è messa alla totale mercé dello spettatore, e un linguaggio molto spinto, ricco di doppi sensi e dove la volgarità, sempre contestualizzata e mai fine a se stessa, è cruda e vera.

 

American Gods

 

Il continuo richiamo alla dualità delle divinità è presente dal magistrale opening, fino all’ultima sfrenata e disturbante sequenza finale, dove le immagini simbolo, come il richiamo alla figura del bufalo e i totem, sono avvolti da colori brillanti e al neon, come se ci trovassimo all’interno di un casinò di Las Vegas.

Un misto di religioni, culture e miti racchiusi in un immenso calderone caotico chiamato America.

Bryan Fuller, grazie al supporto dello stesso Gaiman e di un cast eccezionale che delizia fin da questo primo episodio, crea il perfetto impianto scenico per American Gods, deliziando occhi e mente.

Seminando omaggi cinematografici, da Shining ad Arancia Meccanica, passando per Alien e invogliando verso la visione e a maledire Starz e Amazon Prime Video che non offrono un tanto gratificante quanto effimero binge-watching allo spettatore.

 

American Gods

 

Merito della riuscita di tutto questo sta anche nel grande cast scelto.

Merito della riuscita di tutto questo sta anche nel grande cast scelto. Gli attori scivolano perfettamente nel ruolo a loro assegnato, risultando follemente convincenti fin dalla loro prima battuta.

Ian McShane magistrale come sempre. Il volto di Mr. Wednesday difficilmente sarebbe potuto essere uno diverso dal suo. All’altezza del compito, sicuramente per la parte più difficile, è Richy Witthle.

Uno Shadow Moon, forse, ancora più umano rispetto a quello scritto da Neil Gaiman, ma che all’interno della rappresentazione di Fuller funziona perfettamente.

Sicuramente American Gods è una visione. Una visione che nella sua brutale bellezza spinge a fagocita la curiosità dello spettatore.

Ci rende ansiosi di vedere come il folle mondo di Neil Gaiman verrà rappresentato in questi otto episodi.

 

 

American Gods

 

 

Nel primo episodio solo alcuni dei primi dei vengono mostrati, dando allo spettatore solo pochissimi pezzi del puzzle.

Nel primo episodio solo alcuni dei primi dei vengono mostrati, dando allo spettatore solo pochissimi pezzi del puzzle.

C’è ancora tantissimo da scoprire per avere un quadro più chiaro della storia, ma tutto ciò che viene fatto vedere racchiude, nella sua essenza onirica, un senso molto più profondo e logico di quanto ci si possa aspettare. Abbiate fede, quella che ormai i vostri nuovi dei vi hanno fatto perdere. C’è ancora così tanto da vedere e da scoprire.

L’oscurità saprà inghiottirvi, lentamente e al massimo del piacere!

 

 

American Gods esce ogni domenica sera su Starz negli states e ogni lunedì su Amazon Prime Video in Italia.

What is legal Online casino for online gambling (2022)
What is legal Online casino for online gambling (2022)
Eddie Murphy: i 10 migliori film con il popolare attore comico
Eddie Murphy: i 10 migliori film con il popolare attore comico
WandaVision, la spiegazione del finale
WandaVision, la spiegazione del finale
Il Principe cerca Figlio, la recensione: Eddie Murphy come Black Panther
Il Principe cerca Figlio, la recensione: Eddie Murphy come Black Panther
WandaVision, la recensione dell’episodio finale: Wanda (e Visione) all along
WandaVision, la recensione dell’episodio finale: Wanda (e Visione) all along
Fino All’Ultimo Indizio, la recensione: quando l'indagine diventa ossessione
Fino All’Ultimo Indizio, la recensione: quando l'indagine diventa ossessione
Albert Einstein
Albert Einstein