Il 9 dicembre scorso Netflix inseriva nel suo catalogo Spectral. Prodotto dalla Legendary Pictures e promosso dalla Universal Pictures, il film era inizialmente previsto per uscire sul grande schermo. Diretto da Nic Mathieu, al suo debutto assoluto su di un lungometraggio, misto tra un war-movie ed una pellicola di fantascienza e prima grande scommessa della piattaforma di streaming più diffusa al mondo, avrà fatto centro?

 

Nell’estate del 2014, Legendary Pictures e Universal Pictures annunciarono la messa in produzione di un nuovo film di fantascienza che sarebbe stato diretto dal regista esordiente Nic Mathieu. La pellicola avrebbe contato nel suo cast attori già noti al mondo hollywoodiano, seppur non di primissimo piano, quali James Badge Dale, Max Martini, Bruce Greenwood ed Emily Mortimer.

Presentato come una sorta di Black Hawk Down (R. Scott, 2002) in chiave supernatural e sci-fi, la pellicola sarebbe stata incentrata su di un gruppo di soldati delle operazioni speciali in azione in Moldavia, terra flagellata dalla guerra civile ed alle prese con forze ultraterrene non meglio identificate.

Inizialmente previsto per l’uscita sul grande schermo nell’autunno del 2016, il film venne poi “declassato” ed i diritti venduti alla piattaforma di streaming Netflix, che lo rilascerà il 9 dicembre dello stesso anno sul suo catalogo in contemporanea in tutti i paesi in cui è diffusa.

Fatte queste premesse, diamo uno sguardo più approfondito a Spectral.

 

 

Nei primissimi minuti di Spectral è racchiuso tutto ciò che la pellicola ha da offrire. Ovvero, molto poco. Scene di azione condite da elementi soprannaturali nelle quali, anche attraverso l’utilizzo di un’ottima computer grafica, si tenta di creare atmosfere di mistero e tensione che vorrebbero condurre lo spettatore ad un climax emotivo e di curiosità.

Ecco, si tenta. Il film, per tutta la sua durata (di poco più di un’ora e mezza), non riesce mai davvero ad intrattenere, nemmeno chi si accontenta di accettarlo come una semplice produzione volta esclusivamente agli scontri a fuoco ed alla spettacolarità dell’azione, poiché questi risultano di una piattezza sconfortante e di una aridità contenutistica disarmante.

Cerchiamo di procedere con ordine.

 

 

Chiamato al suo primo grande lavoro dietro la macchina da presa, Nic Mathieu sceglie un’ambientazione urbana sporca, corrotta e decadente. La pellicola è infatti ambientata in Moldavia, in un futuro prossimo non meglio precisato. Il Paese è vittima di una guerra civile che vede scontrarsi le forze ribelli del caduto regime e quelle dell’US Army (ma guarda un po’…) a supporto dei combattenti locali. Durante un’operazione nella città di Chișinău, un membro della Delta Force però si imbatte e rimane vittima di una non precisata forma “iperspettrale“.

Qui fa la sua entrata in scena il Dr. Mark Clyne (James Badge Dale), un ricercatore noto per i suoi studi e le sue progettazioni sulle attrezzature in dotazione alle truppe di stanza in Moldavia, che tra le altre cose hanno permesso di immortalare per la prima volta le sconosciute creature.

Il dottore è quindi invitato a partire per la zona di guerra per meglio investigare sull’accaduto, dove incontrerà il generale Orland (Bruce Greenwood) e quella che sarà la sua principale compagna di avventura, l’agente della CIA Fran Madison (Emily Mortimer).

Da qui in poi, la situazione degenera (in tutti i sensi) e scoprire l’origine e la provenienza di questi fantasmi iperspettrali diviene una corsa contro il tempo che mieterà innumerevoli caduti.

Subito si percepisce la grande mancanza di Spectral: sostanzialmente, la pellicola difetta di una qualsivoglia componente di drammatizzazione di quanto messo in scena.

 

 

 

 

La pellicola difetta di una qualsivoglia componente di drammatizzazione di quanto messo in scena.

Nella lotta per la sopravvivenza che si svolgerà nelle devastate vie di una città in rovina, manca un cuore pulsante di caratterizzazione della trama e dei personaggi. Sacchi di carne si muovono imbracciando enormi fucili ed attrezzature all’avanguardia, cadendo uno dopo l’altro sotto i gelidi colpi delle eteree figure degli Atare (così vengono chiamate le creature dalla popolazione locale).

Mathieu prova in più di un frangente a prendere in mano la situazione, si sforza nel tentativo di raddrizzare la baracca lì dove la sceneggiatura dimostra di avere un encefalogramma piatto. Scene d’azione dalle inquadrature pulite e dal taglio preciso  rappresentano l’unico vero momento in cui la pellicola cerca di avere una propria identità, seppur irrimediabilmente sbiadita dalle molte e stucchevoli leziosità che la regia si concede.

In aiuto degli inevitabili limiti e difficoltà di un regista esordiente, viene una formidabile CGI, lascito della grande azienda produttrice che c’è dietro, quale la Legendary. Un budget evidentemente elevato, seppur non ai livelli di una produzione cinematografica destinata ad uscire effettivamente nelle sale, garantisce al film di mettere in tavola un ottimo comparto tecnico che rende la pellicola qualitativamente superiore agli altri progetti a marchio Netflix, ed in grado di sfoderare i muscoli nel tentativo di far camminare sulle proprie gambe la creatura.

Peccato che l’ossatura del resto del corpo sia talmente fragile da risultare quasi evanescente, esattamente come i cattivi su schermo. I personaggi messi in scena sono succubi di copioni che appiattiscono all’inverosimile la loro dimensione e che li rendono delle ridicole macchiette che non fanno altro se non occupare il loro posticino e creare massa umana.

Dale e Mortimer tentano di dare uno spessore psicologico ed emotivo ai loro personaggi, ma lì dove la capacità recitativa prova timidamente a spingersi, intervengono le ridicole briglie di copione che costringono i protagonisti a discorsi talmente elementari e forzati da risultare ai limiti del ridicolo. Per quanto un attore possa dimostrarsi eccezionale (e purtroppo questo non è il caso dei sopracitati, con tutto il rispetto possibile), come potrebbe mai fronteggiare banalità del tipo “se inverto la polarità di questa bobina” e “signori, questo è il momento di fare la storia” frutte dei migliori cliché hollywoodiani?

 

 

Per chi bazzica nell’ambiente videoludico, una delle primissime impressioni che si hanno durante la visione di Spectral, è quella di trovarsi di fronte ad una trasposizione cinematografica del più classico degli shooter, che si alterna tra terza e prima persona.

La regia di Mathieu si incentra molto sul dare questa particolare impostazione, con tagli che (troppo) spesso propongono inquadrature dai caschi e dalle attrezzature dei soldati. Quest’ultimi impugnano e trafficano con armi enormi, assemblate in quattro e quattr’otto dal Dr. Clyne dopo aver invertito un paio di cavi ed unito insieme due batterie, incentivando ancor di più la sensazione di trovarsi di fronte ad un mancato videogioco. Ancora una volta è però necessario lodare la qualità tecnica di quanto proposto, con costumi ed attrezzature di certo non innovative nell’immaginario fantascientifico, ma sicuramente di ottima fattura e che non a caso sono marchiate dal Weta Workshop di Peter Jackson, così come lo è la CGI.

Il problema è che non vi è un buon pretesto nemmeno per lo spettatore/videogiocatore nel proseguire la visione del film. La “spettacolarità” dei momenti d’azione si basa esclusivamente su di esplosioni in pieno stile bayano e scontri privi di un qualsiasi spessore drammatico ed emotivo, dove più di una volta vengono proposte scene a rallentatore nel tentativo di creare un climax di tensione che però si rivela fallimentare e superfluo, lasciando in bocca quel sapore melmoso di film di serie B degli anni ’90.

La trama, anche peggio. Il tema di fondo non è assolutamente nuovo ne originale, ma comunque presentava degli spunti sui quali sviluppare un minimo di interesse e contestualizzazione degli avvenimenti.

Peccato che nel momento in cui si necessita di un minimo in più di narrazione, il tutto si esaurisce rapidamente in un “bene, andiamo qui, spariamo, esplosioni, vittoria, fine del livello” mandando a quel paese una possibile curiosità sul background che avvolge la vicenda.

Alla luce di tutto questo, è evidente quante poche pretese avesse la pellicola.

Risulta azzeccata, quindi, la scelta della Universal di vendere i diritti a Netflix e limitare la diffusione su larga scala del film, conscia anche del recente flop al botteghino dell’altra grande produzione targata Legendary ed uscita pochi mesi prima, ovvero Warcraft.

In definitiva è difficile anche capire a quale pubblico Spectral voglia realmente attingere. Il sottoscritto in primis ha premuto il tasto play per passare un paio d’ore non impegnative e conscio del fatto che non avrebbe assistito ad un nuovo Aliens. Il film si dimostra essere vuoto ed obsoleto, con scelte di sceneggiatura e regia che renderebbero interessante anche il più anonimo degli sparattutto di inizio anni duemila, vista la familiarità e la volontà della pellicola di assomigliare ad un videogame.

Anche senza avere troppe pretese, Spectral invoglia più di una volta a chiudere tutto, senza passare dal tasto pausa. Forse il film potrebbe presentare un remoto appeal per un target di pubblico molto giovane ed invasato dai fumi di COD, oppure molto disinteressato, ma di certo non sa mai imporsi con decisione sullo schermo, rivelandosi un prodotto destinato ad essere dimenticato ed a cadere nell’oblio dal quale è sfortunatamente uscito.

 

Pubblicato originariamente su Il Menterrante il 24/02/17