Benvenuti in questo primo capitolo di Storie di Cinema, un nuovo format di Lega Nerd dedicato al cinema: si tratta di recensioni non convenzionali di film, principalmente incentrate su un’analisi dettagliata della storia, dei temi trattati e dello sviluppo dei personaggi.

Ho deciso di realizzare un format incentrato sulle storie dei film non perché reputi la componente narrativa superiore alla tecnica cinematografica (anche perché esse sono strettamente legate e concorrono in ugual misura alla buona riuscita di un film), ma perché certe storie diventano parte di noi ed i loro effetti non terminano con la visione del film, ma perdurano, a volte per tutta la vita.

Molte storie sarebbero degne di essere raccontate, ma naturalmente sarà necessario operare una selezione; al momento ho redatto una scaletta di film che mi hanno personalmente influenzato e che, in alcuni casi, non hanno ricevuto la giusta attenzione da parte del pubblico (pur non trattandosi di film di nicchia).

 

Spoiler Alert

C’è però un problema, ovvero che queste recensioni saranno dei giganteschi spoiler, nel senso che non solo verranno riportati i fatti, ma saranno posti sotto la lente d’ingrandimento; per questo motivo ogni episodio inizierà con una breve recensione globale del film, per poi dedicarsi ad un’analisi più dettagliata della storia e dei temi trattati.

Sia chiaro che ripercorreremo passo passo l’intero film, scena per scena, per cui se vi disturba leggere (letteralmente) un film prima di averlo visto, siete avvisati.

A questo proposito, vorrei accennare al progetto che ha fortemente contribuito a darmi l’idea per questa vera e propria lettura di un film: si tratta de Il Cinema alla Radio, un format del programma radio Hollywood Party (in onda su Radio 3).

Essendo un programma radiofonico, dei film è proposto solo l’audio (esso viene quindi adattato, per poter essere ascoltato, attraverso una fine opera di montaggio); ciò può sembrare una contraddizione per un media come il cinema che punta molto sul linguaggio visivo, ma in realtà si tratta di un’esperienza davvero gratificante.

Il solo ascolto di un film gli conferisce una dimensione totalmente nuova.

Il solo ascolto di un film, a cui si intercala il commento del conduttore e generalmente anche di un ospite, gli conferisce una dimensione totalmente nuova: senza la distrazione del video le parole acquistano una forza inaspettata, i personaggi prendono forma ed emergono in virtù di quello che pensano e dicono (il valore del doppiaggio è qui portato all’estremo), restituendo alla storia un ruolo diverso e decisamente centrale.

Questo discorso vale sia per i film che non abbiamo mai visto, sia per quelli che al contrario conosciamo bene: c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, qualcosa su cui non avevamo mai posto l’attenzione o su cui non avevamo riflettuto abbastanza.

Allo stesso modo anche leggere un film può sembrare inutile o di scarso intrattenimento, ma scommetto che non è così (e spero di riuscire a dimostrarlo).

 

 

 

Episodio 1:  Monsieur Lazhar

Il Film

Monsieur Lazhar è un film canadese (del Canada Francese, nello specifico) del 2011, diretto da Philippe Falardeaucandidato agli Oscar 2012 come Miglior Film Straniero (quell’anno vinse Una Separazione, non poi così lontano come genere ma sicuramente di maggior impatto, è un peccato che siano stati candidati lo stesso anno).

Il film è tratto dall’opera teatrale Bashir Lazhar della scrittrice e attrice canadese Évelyne de la Chenelière la quale, tra l’altro, recita qui un piccolo cameo.

 

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Trama in a nutshell: Bashir Lazar, un rifugiato politico algerino di mezza età, si propone come insegnante sostitutivo in una scuola elementare di Montréal, dove una delle insegnanti si è da poco suicidata.

Bashir instaura un rapporto di affetto ed amicizia con i suoi allievi, aiutandoli ad affrontare quanto accaduto; l’aiuto è però reciproco, in quanto la famiglia di Bashir è stata vittima di un attentato ad Algeri e quindi anch’egli sta affrontando, seppur privatamente, i temi della morte e del lutto.

Si tratta di un film che tratta temi forti con estrema delicatezza: i personaggi sono ben caratterizzati ed interpretati in modo ineccepibile, la regia è sobria e il montaggio scorre placidamente, grazie ad una sceneggiatura incisiva ma senza scossoni.

Il bianco ed il blu, che dominano per tutta la durata del film, simboleggiano la presunta modernità del metodo scolastico canadese, ma rappresentano anche i colori di Algeri, la città di Bashir, e, in ultima istanza, rappresentano lo spirito infantile, ma certo non sprovveduto, dei bambini.

Infine, la colonna sonora è molto discreta e consta di pochi pezzi per lo più classici, a cui si aggiunge il tema musicale originale La Chrysalide, composto da Martin Léon, che timidamente si presenta in diversi momenti del film, per poi risplendere vittorioso nel finale.

La lingua originale è il francese (con un buffo accento canadese), ma il doppiaggio è adeguatissimo per cui si può tranquillamente guardare in italiano senza rischiare di incappare in traduzioni improprie o in una perdita di espressività.

 

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La Storia

Il film si apre, di prima mattina, nel giardino innevato di una scuola di Montréal.
Mentre gli altri bambini attendono di poter entrare ed alcuni salutano i genitori, Alice, un po’ in disparte, li osserva. Sopraggiunge Simon, al quale Alice ricorda che quel giorno tocca a lui ritirare i cartoni del latte e distribuirli sui banchi.

Siccome non è ancora orario di ingresso, mentre Simon fa per entrare nella scuola viene richiamato all’ordine dal fischietto di Gaston, l’insegnante di ginnastica, che poi però lo lascia andare.

 

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Preso il latte, Simon si porta nel corridoio, ripone il giubbotto in uno degli armadietti e si dirige verso la propria aula, la cui porta è però chiusa a chiave. Simon, che ha le mani impegnate, dopo un paio di tentativi si sporge per controllare, attraverso il vetro, l’interno della stanza e vi scorge un corpo appeso al soffitto, vicino alla finestra, quello della sua insegnante Martine.

 

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Spaventato lascia cadere la cassetta coi cartoni di latte ed indietreggia, restando alcuni secondi immobile, come paralizzato; il suono della campanella lo scuote e Simon corre a cercare aiuto, mentre la macchina da presa lo attende immobile, impaziente per via del crescente vociare dei bambini che stanno facendo il loro ingresso nella scuola.

Finalmente sopraggiunge Audrée, un’altra insegnante, che convoglia nuovamente i bambini verso il cortile. Alice però, che aveva notato i cartoni di latte sparsi sul pavimento, si avvicina timorosa alla porta, si sporge un attimo e… titoli di testa.

 

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I titoli di testa mostrano dapprima alcune riprese degli interni della scuola, belli, moderni e decorati come lo sono quelli di tutte le scuole elementari, ma che in questo momento danno l’impressione di essere spazi vuoti, freddi e quasi spettrali nonostante i colori pastello. Viene ripreso un muro, quello dell’aula in cui Martine si è suicidata, mentre viene ritinteggiato, segno che qualcosa di terribile è accaduto tra quegli stessi muri che ogni giorno sono soliti accogliere i bambini.

 

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Ci troviamo in palestra, dove a genitori e studenti la preside presenta Julie, la psicologa, «che ci aiuterà… a parlare di quello che è accaduto giovedì scorso». Ad interromperla sono i genitori di un’alunna che chiedono, con una certa perplessità, se ci sarà solo una psicologa per tutta la classe.

Subito dopo che la preside ha esortato i bambini a manifestare i loro eventuali turbamenti, possiamo udire la madre di Alice rassicurare la figlia del fatto che quella sera, in via del tutto eccezionale, resterà a casa con lei (ella trascorre la maggior parte del tempo in viaggio per lavoro, è infatti pilota di aerei). Nel mentre, la preside confessa ai colleghi di trovarsi in alto mare, poiché al momento nessun insegnante desidera mettere piede in quella scuola.

 

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Già a partire da questa scena iniziamo a percepire uno dei temi portanti del film, ovvero l’incapacità di gestire la situazione da parte del sistema scolastico e degli adulti in generale, i quali proiettano le loro paure sui bambini, sottovalutandoli per via del loro stesso timore.

Da un lato abbiamo la preside che esita nel rievocare quanto successo, per poi ribadire ad Audrée che «i bambini devono percepire che il mondo non si è fermato» (sono davvero loro a doversene convincere?), la quale per tutta risposta si chiede cosa fare se “i ragazzi perdono la testa”.

A questo si aggiunge l’atteggiamento militaresco di alcuni genitori, che ritengono davvero plausibile l’idea che ogni studente abbia una psicologa dedicata, ignorando evidentemente le meccaniche della psicologia e puntando grossolanamente su un aumento del dosaggio.

 

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Ecco che a questo punto fa il suo ingresso in scena Bashir Lazhar il quale, senza appuntamento, fa capolino nell’ufficio della preside e si presenta come un residente permanente canadese di origini algerine pronto a prendere il posto vacante, dichiarando di essere stato insegnante per ben 19 anni in Algeria.

Madame Vaillancourt, presa alla sprovvista, tenta blandamente di rimettersi alle regolamentari procedure di assunzione, ma in breve tempo si lascia tentare dalle allettanti proposte del signor Lazhar, che consistono in «tempo pieno, straordinari, supplenze… tutto quello che vuole!».

 

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Nel frattempo in giardino, i bambini si confrontano tra loro: Marie Frédérique (la figlia dei genitori soldato, per così dire) si lamenta del fatto che i suoi genitori stiano impazzendo, mentre tutti si chiedono che cavolo sia saltato in mente a Martine.

Alice raggiunge quindi Simon, che se ne stava in disparte, e gli confida di aver visto anche lei Martine dentro l’aula; Simon, inaspettatamente, risponde con uno sguardo tra il perplesso e l’allarmato.

 

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Primo giorno di lezione per Bashir Lazhar, che si presenta alla sua nuova classe e spiega che ‘Bashir’ significa portatore di buone notizie, mentre ‘Lazhar’ vuol dire fortuna e che la buona notizia è che quel giorno lui ha l’onore e la fortuna di essere con loro.

Bashir si mostra ironico e amichevole, suscitando l’euforia dei suoi interlocutori; per iniziare a conoscerli meglio procede con l’appello, al termine del quale Simon gli scatta di sorpresa una fotografia, gesto a cui il nuovo insegnante reagisce con inaspettata rigidità.

 

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Non avvezzo alle metodiche moderne della scuola canadese secondo cui i banchi erano stati disposti da Martine a semiluna, Bashir decide di ripristinare la canonica disposizione a file parallele; quando però interroga uno dei bambini sul perché, invece di spostare il banco, continui a fissare il soffitto, cala un silenzio drastico a cui egli, ancora alle prime armi, non sa come reagire.

 

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È interessante (e secondo me anche divertente) notare come, durante l’appello, Bashir chieda spesso chiarimenti circa la pronuncia e la scrittura dei cognomi canadesi, mentre non faccia una piega nel trascrivere il nome di Abdelmalek, uno studente di origini arabe. Questo è un piccolo accenno all’altro grande tema del film, quello dell’integrazione e del confronto tra culture.

 

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Secondo giorno di lezione: fa la sua comparsa Claire, giovane neo-collega di Bashir, che lo informa dell’usanza di attendere i bambini all’ingresso, per poi schernirlo gentilmente quando egli si precipita addirittura giù dalle scale, in direzione del cortile.

 

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Poco dopo, in classe, Bashir compie involontariamente un altro piccolo errore di valutazione, di diverso tipo questa volta, proponendo ai ragazzi un dettato tratto da La Pelle di Zigrino di Honoré de Balzac.

Il testo, con i suoi termini ricercati ed i suoi periodi complessi, è senza dubbio di valore letterario, ma decisamente fuori dalla portata dei ragazzi, che provano invano a lamentarsi.

 

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All’uscita Simon e Alice, che percorrono lo stesso tragitto per tornare a casa, continuano a ironizzare sul dettato scelto dal loro nuovo insegnante e finiscono a parlare di Martine; Alice confessa di non avere incubi, ma che spesso non riesce a dormire.

Simon, di fronte all’uscio di Alice, le porge una fotografia che aveva scattato a Martine ma Alice non l’accetta, per poi rispondere che avrebbe fatto meglio a regalarla alla stessa Martine, per scusarsi.

 

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Dentro casa, possiamo assistere ad una breve scena in cui si rafforza il concetto che la madre di Alice sia poco presente per via del lavoro ed è evidente come la bambina sia sì abituata da tempo a cavarsela da sola, tuttavia anche stanca di questa situazione: dopo aver annuito con distaccata accondiscendenza ai discorsi rassicuranti della mamma, Alice si lascia infatti andare in un abbraccio che implora un aiuto.

 

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Nella scena successiva troviamo Bashir che, al termine delle lezioni, è rimasto in aula, alle prese con dei documenti che gli sono poco chiari; quindi lo seguiamo in un negozio, dove ritira un pacco che ha tutta l’aria di contenere delle marmellate.

 

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Poco dopo Bashir si reca da quello che capiamo immediatamente essere il suo avvocato, il quale gli sta dando alcune istruzioni in vista di un procedimento giudiziario.

L’avvocato con tono amichevole fa un’osservazione sulle marmellate contenute nella scatola, ma Bashir gli risponde con tono spento, tradendo però una certa emozione, che si tratta delle cose di sua moglie (è qui che ci viene suggerito per la prima volta come anche nella sua vita, non solo in quella dei bambini, ci sia stata una recente perdita).

In queste scene ci sono alcuni particolari che mi piacerebbe portare all’attenzione: il primo è davvero un dettaglio e sarebbe il momento in cui Bashir, nell’attesa che il negoziante gli consegni il pacco, scorre gli adesivi esposti affianco a lui; non possiamo ancora dare un significato a questo gesto, ma teniamolo a mente.

 

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Il secondo appunto è il fatto che, quando Bashir dice di avere gli incubi e di non riuscire quasi mai a prendere sonno la notte, l’avvocato gli propone di sentire uno psicologo: egli è in buona fede, certo, ma involontariamente ricalca quello che è l’atteggiamento di riferimento della società in cui è inserito, quella società che (come è avvenuto a scuola) prima ancora di interrogarsi e riflettere sugli avvenimenti, cerca rifugio in una figura esterna.

 

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Bashir, senza esitare, scarta l’idea dicendo di non averne bisogno, perché si trova (e qui ci arriviamo al terzo punto) in quella che io chiamo fase del pacco delle marmellate (inizieremo a parlare tra poco della Metafora della Crisalide): Bashir non è ancora in grado di elaborare il lutto ed è refrattario all’apertura, sia reale che metaforica (la prima riguarda l’apertura del pacco, mentre la seconda riguarda Bashir stesso, che non vuole aprirsi agli altri), mantenendo sigillato l’interno della scatola, le cui decorazioni esterne sono come un felice ricordo a cui sente il bisogno di aggrapparsi.

 

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Torniamo in classe: Bashir sta riconsegnando i dettati corretti, che naturalmente non sono andati molto bene. Credendo di non essere visto, Simon, nel tentativo di lanciare una pallina di carta a Victor, colpisce Marie Frédérique; Bashir lo vede e d’istinto gli da uno scappellotto e gli ordina di chiedere scusa.

Subito dopo è proprio Marie Frédérique a dire a Bashir che anche lui dovrebbe scusarsi con Simon affermando che «qui non siamo in Arabia Saudita no?». Bashir, che non ha colto il messaggio, risponde allegramente «puoi dirlo forte, no per nostra fortuna».

 

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Siccome tutti i bambini, con un’unica eccezione, hanno sbagliato a scrivere la parola crisalide, vengono interrogati sul suo significato: che cos’è una crisalide?

 

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«Dunque, la crisalide è un insetto che sta a metà tra il bruco e la farfalla. Il suo alloggio è un bozzolo fragile da cui al momento opportuno spiegherà le ali, come voi!»

 

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Bashir inizia ad introdurre un po’ di analisi logica e grammaticale, ma sembra trovarsi un po’ in difficoltà con la didattica e soprattutto è all’oscuro delle moderne classificazioni dei complementi, su cui viene prontamente bacchettato da Marie Frédérique.

 

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Come se non bastasse, Bashir prova a schernire Boris perché sembra dormire, ma Alice interviene spiegandogli che è dovuto al fatto che ha mal di testa e Marie Frédérique aggiunge «guardi che non può dargli l’aspirina, perché è proibito».

In quel momento sopraggiunge la psicologa a salvare l’insegnante e, nonostante le sue proteste, ottiene che egli resti fuori dall’aula durante il colloquio con gli alunni.

 

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È in questo frangente che Bashir ha modo di osservare, dal corridoio, la collega Claire mentre tiene lezione alla sua classe: lei, al contrario di lui, è padrona del metodo d’insegnamento e riesce magistralmente a coinvolgere i suoi studenti, suscitando nel nuovo arrivato grande ammirazione.

L’incontro tra la cultura di Bashir e quella canadese è chiaramente ancora in fase di rodaggio: egli non coglie il fatto che sia assolutamente vietato il contatto fisico con gli studenti e fatica anche a trovare un punto d’incontro in termini di insegnamento, pur avendo intuito come questi bambini siano molto preparati, forse più di quanto non si aspettasse. Per questo Bashir inizia a guardarsi attorno in cerca di un modello a cui ispirarsi e lo trova in Claire.

Al di là di quanto appena detto, in questa scena viene finalmente introdotta la Metafora della Crisalide, che ci accompagnerà per tutto il film. Qui viene semplicemente riportata una definizione, ma è già chiaro come la Crisalide sia effettivamente una valida metafora della condizione in cui si trovano non solo i bambini, ma anche lo stesso Bashir.

 

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Intervallo, i bambini stanno giocando a chi riesce a mantenere il dominio di un grosso cumulo di neve spingendo giù gli invasori. Bashir si informa da Alice e scopre che il gioco si chiama Il Re della Montagna, per poi continuare ad osservare; Alice ne approfitta per intavolare una conversazione con l’insegnante riguardo la città di Algeri, cercando di attirare la sua attenzione.

Il colloquio viene interrotto dal sopraggiungere di Claire, che sgrida i bambini, seguita con impaccio da Bashir che capisce di avere ancora una volta preso sotto gamba le linee guida della scuola.

 

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B: «Eh, un gioco tra maschi»
C: «Un po’ troppo violento»
B: «Certo non è il Monopoly»
Anche Claire, come Alice, dimostra un certo interesse per Bashir e lo dimostra sollevandogli il colletto del cappotto per ripararsi dal freddo.

 

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Ad ora di pranzo, in sala insegnanti, la preside si siede a parlare con Bashir: gli comunica che il ministero non ha ancora ricevuto la sua documentazione, pertanto gli consegna alcuni moduli da compilare, in aggiunta ad una copia del regolamento d’istituto, di cui Bashir allegramente afferma di possedere già la sua copia.

Madame Vaillancourt a questo punto è costretta a sbilanciarsi e, seppur in evidente imbarazzo, ribadisce a Bashir come il contatto fisico tra insegnante ed alunno, in ogni sua forma e per qualsiasi motivo, sia proibito dalla legge canadese.

 

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Il candore con cui Bashir, a cui non sovviene l’episodio dello scappellotto a Simon, sostiene di trovarsi pienamente d’accordo, suscita alcune lamentele da parte di un’altra insegnante che, proprio come lo stupore di Bashir involontariamente sostiene, ritiene troppo rigida questa restrizione.

 

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Nel giro di pochi minuti arriviamo ad una scena molto importante: Bashir si trova, assistito dal suo avvocato, al cospetto di un giudice e di un commissario.

 

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Le domande del giudice ci introducono ad un retroscena inaspettato: la famiglia di Bashir subiva minacce di morte a causa di un libro scritto dalla moglie che criticava la politica di riconciliazione del governo algerino nei confronti di molti criminali, appartenenti alle file degli estremisti religiosi così come alle forze armate dello Stato.

Ma non è tutto, scopriamo anche che non era Bashir ad insegnare in Algeria, bensì sua moglie, mentre lui è stato dapprima funzionario statale, poi a partire dal 1994 ha gestito un caffè-ristorante.

 

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Il commissario si mostra più ostile ed inquisitorio, le domande che rivolge a Bashir sono tendenziose e al limite dell’accusa. Egli si chiede come mai Bashir abbia abbandonato la sua famiglia e quest’ultimo resta interdetto: «Abbandonato? No… non l’ho abbandonata. Io sono partito da solo per preparare il loro arrivo. Mia moglie non aveva ancora il visto e abbiamo deciso così, e poi voleva a tutti costi finire l’anno scolastico…».

 

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Il dialogo procede in un crescendo, fino al punto in cui il commissario insinua che le accuse non fossero poi «così convincenti da spingere sua moglie a partire»; Bashir, mosso dal dolore, sottolinea alterato la futilità di questa domanda, visto che oramai la sua famiglia è morta.

Ecco dunque finalmente svelato il segreto di Bashir Lazhar:

«Mia moglie doveva partire il 25 giugno, alle cinque del mattino, nascosta in un camion delle consegne. Mio cognato si era messo d’accordo col camionista, che avrebbe portato in Tunisia lei e i bambini. La notte prima l’appartamento è bruciato, guarda caso proprio la notte prima, perché qualcuno aveva parlato. Hanno ammazzato mia moglie, mio figlio e mia figlia Anissa. Sono morti bruciati, eccetto Anissa, perché lei si è buttata giù dalla finestra del terzo piano per scappare alle fiamme».

 

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Quella a cui abbiamo appena assistito è una scena cruciale nell’economia del film.
Per prima cosa veniamo finalmente informati, dopo molti accenni e sospetti, del tragico trascorso nella vita di Bashir; scopriamo anche che egli ha mentito nel presentarsi alla preside qualificandosi come insegnante, ma anche soprattutto come residente permanente in primis (motivo per cui non ha ancora compilato i documenti del ministero).
Probabilmente la scelta di insegnare era frutto di un desiderio di continuità, un modo per mantenere vivi i ricordi legati a sua moglie, un modo per non rendere necessaria l’apertura del pacco delle marmellate.

 

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Inoltre durante il colloquio (in particolar modo con il commissario) il tema dell’integrazione e del confronto trova un importante svolgimento. Il tono accusatorio del commissario deriva sicuramente dal suo compito di indagare ed interrogare un uomo che sta richiedendo asilo politico con l’intento di verificare la fondatezza delle sue motivazioni; tuttavia frasi come «non siamo più negli anni ’90, l’Algeria è tornata alla normalità», a cui Bashir risponde con un semplice ma significativo «niente è mai completamente normale in Algeria», dimostrano come sia difficile comprendere il reale stato delle cose attraverso i normali canali di informazione, restando a distanza, seduti dall’altra parte del mondo. Quando Bashir racconta che la moglie aveva deciso di posticipare la partenza spinta anche dal desiderio di portare a termine l’anno scolastico, il commissario mostra un misto di incredulità e disapprovazione: ad un canadese sembra inconcepibile voler restare in un posto dove si subiscono minacce di morte per una simile ragione, ma è proprio questo a dimostrare un differente modo di agire (e reagire) tra le due culture.

 

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C’è però un altro motivo per cui la scena dell’udienza in tribunale è importante: Bashir viene costretto a rievocare, a rendere esplicito, il trauma legato alla perdita della famiglia.
Si tratta del primo passo, per Bashir, in questa direzione ed infatti compare, per la prima volta, un accenno al tema musicale La Chrysalide. Una volta a casa, il riaffiorare dei ricordi si traduce finalmente nell’apertura del pacco delle marmellate.

 

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Al suo interno, tra i vari oggetti appartenuti alla moglie, Bashir trova, avvolta nella carta, una foto della sua famiglia ed è proprio nel guardare i propri figli che gli vengono in mente i suoi alunni, che hanno subito anch’essi una perdita e che hanno il diritto di essere aiutati, cosicché possano imparare, proprio come dovrà fare anche lo stesso Bashir, ad affrontare il lutto e continuare a vivere.

 

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Qualche tempo dopo Bashir, che ormai si è ben integrato con insegnanti ed alunni, propone il tema della violenza come argomento per una presentazione individuale. Dopo l’esposizione di Simon è il turno di Alice, che ha finalmente l’occasione per poter esternare le sue riflessioni ed il suo stato d’animo riguardo il suicidio di Martine. Simon, in principio, le fa il verso ma viene immediatamente zittito dalla compagna, con una veemenza che pare quasi esagerata, che sembra provenire dal rancore più che dalla stizza e che forse sottintende qualcos’altro.

 

La mia scuola è bella. Non sarà la scuola più bella della Terra, però è la mia.
Beh… in verità all’inizio, quando sono arrivata qui, mia mamma non faceva altro che ripetere che era la più bella, io invece la trovavo solo una scuola qualunque.Ma dopo sei anni, adesso anch’io la trovo bella, forse perché è la mia. C’è un bellissimo cortile attrezzato per giocare a basket, dove i genitori ci lasciano al mattino e ci riprendono alla sera.Qui ci tengono a noi. Insomma, controllano se abbiamo i pidocchi, se i denti ce li siamo lavati, se siamo dei soggetti aggressivi oppure se siamo dei soggetti iperattivi.Ma è proprio in questa bella scuola che Martine Lachance si è impiccata. L’ha fatto con il suo foulard di seta, legato ad un tubo, un mercoledì sera. Mia madre era a Miami, lei pilota aerei. Avrei voluto che tornasse subito, perché per me è stata davvero una cosa brutta.Martine Lachance era sicuramente scoraggiata dalla vita. L’ultima cosa che ha fatto è dare un calcio alla sedia, per poter scomparire. A volte mi chiedo se ci abbia voluto trasmettere un messaggio violento. Quando noi siamo violenti ci mettono in castigo, ma noi non possiamo mettere Martine Lachance in castigo, perché lei è morta.

 

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Nel silenzio dello sgomento suscitato dalle sua parole, Alice torna a sedersi e lancia a Simon uno sguardo che conferma in qualche modo i nostri sospetti.

 

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Cosa possiamo evincere dalla riflessione di Alice? Il senso di appartenenza alla scuola come comunità, la consapevolezza delle cure che sono loro rivolte e proprio in virtù di questo, lo smarrimento di fronte al gesto di Martine, di fronte alla sua scelta di impiccarsi all’interno della scuola, scelta che suscita un senso di impotenza, di frustrazione e di sfiducia, in Alice come nei suoi compagni.

Alice, la cui madre è poco presente, trascorre infatti molto tempo a riflettere sul suicidio di Martine e sulle sue motivazioni; ha capito che sicuramente c’era qualcosa che non andava nella vita della sua insegnante, ma si chiede anche se non ci sia qualcosa in più, se per caso Martine non abbia effettivamente voluto “trasmettere un messaggio di violenza” in modo estremo, irreversibile, senza la possibilità di essere messa in castigo.

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Bashir, colpito dall’inaspettata riflessione di Alice, si reca da Madame Vaillancourt per leggerle il tema; le propone quindi di farne delle copie e distribuirle all’interno della scuola, ma la preside rifiuta, affermando di trovare il testo violento.

 

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Quando le viene fatto notare che la violenza era proprio l’argomento del tema, che è la vita stessa ad essere violenta e che il turbamento riscontrato poco prima nella classe era un “turbamento sano”, la preside risponde che quel testo manca di rispetto a Martine; a questo punto Bashir, prendendo le difese dei suoi studenti, ribatte che anche Martine ha mancato di rispetto ai suoi alunni impiccandosi in classe. Madame Vaillancourt è però irremovibile e, ancora una volta, ribadisce che intende rimettersi al lavoro della psicologa come unica modalità di trattamento.

 

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All’uscita da scuola, intanto, Simon raggiunge Alice e le chiede spiegazioni sul suo comportamento nei suoi confronti e Alice gli dice apertamente che a darle fastidio è il modo in cui lui si è comportato con Martine, facendo riferimento a qualcosa che Simon avrebbe detto e che Alice, evidentemente, non ritiene vero e perciò gli fa capire che non vuole più averlo attorno.

 

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Lo stesso pomeriggio Bashir deve incassare un’altra piccola sconfitta, dopo quella con Madame Vaillancourt: mentre gli altri insegnanti, durante i colloqui, riescono a comunicare in modo aperto con i genitori dei loro studenti, il padre di Marie Frédérique risponde al tentativo da parte di Bashir di spingere la bambina ad un approccio alle cose più disteso, con questa osservazione:

Sono sicuro che in un nuovo ambiente così diverso dal suo per lei debba essere duro e complicato integrarsi, Signor Lazhar, anzi accetti un consiglio: si limiti a fare il professore e ad insegnare piuttosto che educare i nostri figli.

 

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Di nuovo, il processo di integrazione viene visto come un qualcosa di unilaterale, dove sembra che l’individuo debba, più che integrarsi, conformarsi al nuovo ambiente e che quelli che lo circondano siano esenti dal tentare uno scambio reciproco. Bashir, il cui ruolo di educatore non è stato accettato, viene relegato quasi a semplice funzionario e scoraggiato dall’intraprendere ogni iniziativa sul versante umano, extra-scolastico.

 

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Eccoci al giro di boa, siamo a metà del film: una musica scandisce una serie di riprese che ci consentono di sbirciare nell’intimità di Bashir ed assistere ad alcune delle attività che egli svolge nel weekend.

 

 

A scuola, la psicologa informa Bashir che il suo percorso volge ormai al termine e che i bambini hanno tratto notevole beneficio dagli incontri. Prima di entrare in aula però lo rimprovera blandamente per aver lasciato spoglie le pareti, senza decorazioni che ravvivassero l’ambiente.

 

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Bashir, vista l’assenza della classe di Claire, coglie l’occasione per osservare quel mondo colorato e multiforme che la sua collega è riuscita a costruire per i suoi allievi: poster, piante e modellini riempiono ogni spazio della stanza. Affascinato dalle cartoline che mostrano svariati luoghi e culture del mondo, nella mente di Bashir riaffiorano i ricordi e, con essi, torna a farsi sentire il tema della Crisalide.

 

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Una volta a casa, infatti, apprestandosi a correggere dei compiti, Bashir decide di adottare anche lui uno stile un po’ più creativo rispetto al solito ed estrae dalla scatola alcuni timbri di animali che sua moglie era solita utilizzare per personalizzare i lavori dei suoi studenti.

 

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Un’altra breccia è stata aperta nel bozzolo in cui Bashir ha accuratamente riposto se stesso, insieme ai suoi ricordi (la Metafora della Crisalide prosegue).
Ricordate i piccoli stickers che guardava all’interno del negozio? Dovevano certamente ricordargli i timbri che era solito veder spuntare dai compiti corretti dalla moglie.

 

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Il rapporto con la classe è ormai solido, insegnante ed alunni vanno d’accordo, si è creata un’intesa. Al termine di una lezione di inglese, durante la quale anche Bashir ha preso qualche appunto, egli restituisce un libro ad Alice, facendole capire di aver notato come anche lei, allo stesso modo del lupo, sia in cerca di una figura che la rassicuri lasciandole però lo spazio necessario alle sue riflessioni; detto ciò le porge un libro a sua volta, sottolineando come non si tratti di un romanzo per bambini, ma che lei è “grande abbastanza”.

 

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Le attività scolastiche proseguono nel pomeriggio fino a sera, poiché è in programma una piccola festa di istituto. Bashir assiste divertito al laboratorio teatrale di Claire, che ne è lusingata.

 

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Più tardi, quando la festa è da poco cominciata, è invece Claire che va a cercarlo e lo coglie in un momento molto intimo: Bashir, sentendo in lontananza il ritmo della musica, si lascia trasportare e compie una piccola danza al suono immaginario di una musica algerina.

 

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È la prima volta che Claire entra nell’aula dalla morte di Martine e quando lo comunica a Bashir, quest’ultimo le risponde:

Quando qualcuno decide di farla finita è sempre difficile comprenderne i motivi, ma capire perché l’abbia fatto la signora Lachance è impossibile.

Tuttavia Claire non asseconda la riflessione del collega, la lascia anzi cadere per proporre poi di scendere ed unirsi ai festeggiamenti.

 

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È evidente come Claire sia ammaliata dal comportamento pacato, riservato e allo stesso tempo esotico di Bashir e colga ogni occasione per sorridergli amichevolmente nella speranza di riuscire un giorno in un qualche approccio più significativo. Allo stesso tempo c’è però qualcosa di cui Bashir continua ad essere evidentemente allo scuro, di cui nemmeno Claire ha deciso di renderlo partecipe.

 

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La festa d’istituto procede bene, tra balli e qualche scambio di battute tra colleghi. Ad un certo punto accade però qualcosa che fa salire la tensione: Simon per fare un dispetto al suo compagno Victor, gli butta per terra il cappellino, ma nel raccoglierlo quest’ultimo intravede una fotografia spuntare dai jeans di Simon e gliela sfila, per poi scappare.

Simon a questo punto reagisce aggressivamente, insegue Victor e lo colpisce.

 

 

Naturalmente Simon viene ripreso da alcuni insegnanti e portato in un’altra stanza per farlo riflettere sul suo comportamento. Ma c’è anche un altro dettaglio che ha allarmato gli adulti: la fotografia in questione, subito sequestrata, ritrae Martine in aula (era stata scattata tempo prima dallo stesso Simon), ma un cappio le è stato disegnato attorno al collo, insieme ad un paio di ali.

 

 

Nonostante sia ormai lapalissiana la mancanza di un tassello fondamentale per la nostra comprensione dei fatti, ancora una volta non ci è però permesso di restare ad ascoltare il colloquio tra la preside ed il bambino.

 

 

Qualche giorno dopo, durante una riunione del corpo insegnanti, Bashir è distratto.
Madame Vaillancourt, parlando delle gite in programma, richiama la sua attenzione per poi introdurre cautamente la questione di Simon, su cui nasce un dibattito: da un lato Bashir prova a far riflettere i colleghi sul fatto che «possiamo anche punire l’atto, ma la foto di Simon indica un problema molto più importante», in parte sostenuto da Claire secondo la quale si tratta ormai di acqua passata.

 

 

Dall’altro lato del tavolo Audrée si oppone con veemenza, suggerendo di non limitarsi alla sospensione ma procedere in modo più severo, espellendo lo studente. Bashir si chiede quindi cosa abbia fatto di così grave per essere addirittura espulso e Audrée risponde con un secco «si è comportato male con Martine».

 

 

A questo punto l’argomento non può più essere evitato e finalmente veniamo messi al corrente dei fatti: tempo prima, Martine si era offerta di aiutare Simon impartendogli delle lezioni di recupero.

Martine, giovane e molto affettuosa, in una di queste occasioni aveva abbracciato Simon per confortarlo, ma questi ha reagito in modo inaspettato: dopo aver respinto bruscamente l’abbraccio dell’insegnante, ha raccontato che lei gli aveva dato un bacio.

Naturalmente questo gesto, in un sistema come quello che ormai abbiamo imparato a conoscere in questi primi 60 minuti di film, aveva destato scalpore.

 

 

Il gesto di Martine (che i colleghi, pur sapendo trattarsi solo di un abbraccio, considerano sconsiderato) da il via ad una nuova discussione, dove le perplessità nei confronti di questo sistema così rigido ed asettico vengono finalmente messe sul tavolo, in particolare da Gaston, che si lamenta di non poter insegnare in modo soddisfacente la propria materia perché «se dai una pacca di incoraggiamento su un braccio? Ah, sei uno scriteriato!» e per questo si limita a «prendere il fischietto e farli correre in cerchio come degli idioti… e per loro l’idiota sono io».

 

 

Ad ogni modo, alla fine della riunione la preside opta per una temporanea sospensione del ragazzo ed il coinvolgimento di un altro specialista al suo rientro.

L’esclamazione di Gaston «Oggigiorno, se lavori con i bambini, devi essere pronto a trattarli come rifiuti radioattivi» esprime pienamente la contraddizione del sistema scolastico canadese, che da un lato si mostra efficiente ed avanzato (l’uso della psicologia dei colori, i banchi disposti a semiluna, il latte la mattina, le diversificate attività pomeridiane) ma le cui teorie non riescono poi a tradursi in un contatto più umano e, in certi frangenti, anche più efficace.

È vero che gli insegnanti si sono adattati a queste direttive così asettiche e fanno del loro meglio per trasmettere passione e conoscenza, ma questo regime di terrore mina alla base il dialogo tra adulti (perché in tutto questo possiamo includere anche i genitori) e bambini: incapaci (o impossibilitati) nel contatto, perdono la capacità di comprenderne i sentimenti ed interagire con loro in modo più diretto, senza intermediari (pensiamo in questo caso non solo agli psicologi, ma anche alla babysitter di Alice).

 

 

Finalmente informato dei fatti, Bashir va a curiosare tra le cose di Martine, che il marito non è mai passato a ritirare. Al suo interno trova una copia de Le Favole di La Fontaine e decide di utilizzarle a sua volta, in parte anche per ripristinare un po’ di continuità con le vecchie abitudini dei bambini.

Usando come pretesto il confronto nato a riguardo della favola Il lupo e l’agnello, Bashir chiede agli alunni di scrivere a casa un racconto che parli dell’ingiustizia e, per mostrarsi giusto a sua volta, aggiunge ironicamente che anche lui scriverà un racconto sullo stesso argomento, che saranno poi gli alunni a correggere.

 

 

Bashir ha aperto un’altra scatola, quella di Martine, così simile a quella di sua moglie, con le favole di La Fontaine e gli stickers per decorare i fogli. Una cosa però la distingue, ovvero che nessuno si era preoccupato di ritirare quella sorta di scrigno dei tesori, che era rimasto dimenticato, chiuso nello sgabuzzino.

 

 

Da una fugace inquadratura del volto, possiamo intuire come Bashir rifletta su questo aspetto e si renda conto che Martine doveva avere problemi più importanti, probabilmente col marito, di quelli che ha avuto a scuola per via della vicenda di Simon. La decisione di impiccarsi a scuola potrebbe non essere stata presa quindi al fine di colpevolizzare qualcuno, ma potrebbe trattarsi in realtà del contrario: Martine avrebbe scelto di farla finita tra le mura della scuola proprio perché quello era il luogo in cui si sentiva più confortata, più a casa.

Non più contro i bambini,
ma al loro fianco.

 

 

Una sera Bashir si reca a casa di Claire per quella che doveva essere una cena tra colleghi, ma che presto capisce assomigliare più ad un malcelato appuntamento.

Nonostante le chiacchiere, l’imbarazzo persiste durante la serata: da una parte c’è Claire, timida ma desiderosa di conoscere meglio il suo esotico collega, che però si trova di fronte ad un Bashir cordiale ma tremendamente riservato, che rifugge abilmente ogni esortazione a raccontarle il suo passato.

 

 

Ad un certo punto Bashir si vede costretto ad essere diretto e, con evidente dispiacere, spiega chiaramente a Claire come la sua esperienza di immigrato, di fuga da un paese in guerra, non rappresenti per lui un sereno argomento di conversazione, tantomeno un qualcosa da raccontare ai suoi studenti.

 

 

Claire, il cui appartamento ricolmo di oggetti (come la sua classe, del resto) simboleggia la sua voglia di raccontarsi agli altri, non sembra cogliere fino in fondo il significato delle parole di Bashir e resta ammutolita.

 

 

Qualche tempo dopo, una nuova giornata di scuola sta per cominciare: Bashir, pensieroso, osserva i ragazzi che, in cortile, ingannano il tempo in attesa di entrare, ciascuno a modo suo.

Al suono della campanella, sul pianerottolo dell’ingresso, Bashir e Claire si trovano fianco a fianco. Bashir rompe il ghiaccio iniziando uno scambio di battute breve ma significativo, che da inizio ad una sequenza cruciale del film.

 

 

B: «Non capisco come mai, ma la violetta sta perdendo i fiori» (fa riferimento alla pianta di cui Claire gli ha fatto dono al termine della cena, N.d.R.)
C: «Vicino alla finestra prende freddo. E poi dovresti parlarle»
B: «E di che cosa?»
C: «Io un’idea ce l’avrei, indovina. Prova a parlare di te, Bashir»
B: «Allora vuoi proprio che muoia di noia!»
C: «È un peccato che pensi questo»

Detto questo, Claire accompagna la sua classe in aula lasciando Bashir, un po’ interdetto, sul pianerottolo.

 

 

Poco dopo, in aula, possiamo notare la padronanza acquisita da Bashir nell’insegnamento e come i suoi piccoli studenti partecipino attivamente alla sua lezione. Ad un certo punto, a proposito del termine defenestrare, Victor racconta di come suo nonno, ex-prigioniero di guerra, si fosse suicidato dopo la liberazione proprio buttandosi giù da una finestra; Bashir chiede chi sia stato a raccontargli questo aneddoto e Victor risponde che è stata sua madre, quando hanno discusso a proposito del suicidio di Martine. La tensione, a questo punto, si riaccende in un baleno.

 

 

Bashir, in un certo senso colpito ed incuriosito dal fatto che Victor e sua madre avessero discusso a proposito del suicidio, si rivolge alla classe e chiede se qualcun altro avesse toccato questo argomento con i suoi familiari.

Marie Frédérique prontamente ribatte che lui non dovrebbe parlare di questo con loro in quanto non è uno psicologo, ma Bashir non si lascia intimidire e altrettanto fermamente risponde che si tratta dell’opinione dei suoi genitori e che, invece, chiunque tra loro senta il bisogno o il desiderio di dire qualcosa in proposito, è assolutamente libero di farlo.

 

 

A questo punto è la stessa Marie Frédérique ad alzare la mano, affermando che i genitori

«pensano che saremo traumatizzati a vita, ma secondo me saranno gli adulti ad esserlo».
Mi è sempre piaciuto il fatto che sia stata proprio Marie Frédérique ad essere la prima ad esprimere il proprio parere, incoraggiata dall’obiezione di Bashir, che in qualche modo l’ha legittimata a contravvenire alle regole dei suoi genitori, facendola quindi finalmente sentire autorizzata ad esprimersi liberamente nel contesto che ritiene più opportuno. Inoltre è proprio lei ad evidenziare, con grande lucidità, la diversità dei punti di vista tra bambini e adulti, e come questi ultimi commettano l’errore di sottovalutarli, proiettando (come avevamo già detto all’inizio) il loro modo di vedere le cose ed i loro timori sui propri figli.

 

 

Alice intanto non riesce più a trattenersi ed ingaggia una serie di provocazioni rivolte a Simon, istigandolo ad una sorta di confessione. Simon dapprima tenta di metterla a tacere, poi però, vinto dalla pressione, si lascia andare in uno sfogo in cui ammette che Martine non gli aveva dato nessun bacio, l’aveva solo abbracciato perché lui stava piangendo ma questo gli aveva dato fastidio e perciò l’aveva respinta. Quindi Simon, in lacrime, si chiede (con lo sguardo rivolto in direzione di Bashir) se sia sua la colpa del suicidio di Martine.

 

 

Bashir si avvicina e lo consola, rassicurandolo del fatto che i due eventi non siano legati e che Martine «era malata da tempo». Quindi torna alla cattedra, passando di fianco ad Alice, il cui sguardo tradisce un certo pentimento per quanto è appena accaduto.

 

 

Sedutosi, dopo alcuni secondi di riflessione Bashir si rivolge ai bambini in questo modo:

Non dobbiamo cercare un senso nella morte di Martine Lachance, perché non ce l’ha. La classe è un posto… è un luogo di amicizia, di lavoro, di garbo… sì, di garbo. Un luogo di vita, in cui si vive la vita, in cui si da la vita, non un luogo dove si porta dolore e sofferenza.

 

 

Fermiamoci a riflettere: Simon, per carattere o forse per orgoglio, ha reagito male (ma davvero non ci potremmo aspettare una reazione simile da un bambino?) ad una manifestazione di affetto da parte di un adulto, raccontando una piccola bugia sull’accaduto per giustificarsi. Un simile episodio si sarebbe potuto chiarire senza sforzo né sequele, mentre a cosa ha portato la mancanza di empatia e di discernimento del sistema canadese (in questo termine astratto includiamo sia gli adulti, sia le loro linee guida)?

 

 

Genitori ed insegnanti popolano un ambiente ingessato, in cui c’è attenzione ma manca la comunicazione, un ambiente in cui è potuto crescere l’equivoco che il gesto di Simon potesse essere causa del suicidio di Martine. Simon si è portato dietro un forte senso di colpa per un gesto che non gli sembrava essere così drastico, senso di colpa alimentato da Alice, che pur essendo una bambina riflessiva non è stata aiutata nel giungere alla giusta conclusione, perché il tabù aveva ormai chiuso occhi, bocca ed orecchie alle persone attorno a lei. Per questo motivo, dopo aver ascoltato le parole piene di comprensione con cui Bashir ha finalmente assolto Simon dalle sue colpe, Alice si rende conto di aver commesso un errore e se ne pente.

 

 

Dal canto suo Bashir questa volta ha trovato il coraggio di parlare, non è rimasto in silenzio, senza parole, come era successo il giorno del suo arrivo. D’un tratto il suo pensiero e le sue parole erano rivolti alla classe, ma anche a sua moglie e ai suoi studenti, in Algeria, che hanno vissuto una vicenda simile ed infine a se stesso, perché anche lui dovrebbe smettere di cercare un senso nella morte della sua famiglia, per lasciare spazio ai sentimenti che conducono alla vita.

 

 

Siamo ormai giunti alla sequenza finale del film. Bashir, liberatosi del bozzolo in cui si era rifugiato per proteggersi dal passato, fa ritorno a casa e trova, nella buchetta, una lettera da parte della Commissione per l’immigrazione. In aula troviamo il commissario che lo aveva interrogato durante la precedente udienza: tanto il suo tono era stato inquisitivo in quell’occasione, tanto egli si presenta mite e comprensivo questa volta.

 

 

Il rapporto della Polizia algerina, che l’avvocato Danis mi ha trasmesso, scarta l’ipotesi di incendio accidentale e conferma dunque quella dell’atto criminale verso la sua famiglia. Di conseguenza, io dichiaro che il richiedente di asilo è un rifugiato ai sensi della convenzione. Il soggetto sostiene, a ragion veduta, di temere che subirebbe persecuzioni nel suo paese. Dichiaro altresì che gli va fornita protezione, in quanto vi sono fondati motivi di ritenere che un suo ritorno in Algeria costituirebbe una conclamata minaccia per la sua incolumità personale e lo esporrebbe al fondato rischio di tortura e trattamento o pena crudele e non comune.

 

 

 

Bashir Lazhar è finalmente un rifugiato politico riconosciuto. Svanisce, con questa dichiarazione del commissario, ogni timore di dover fare ritorno nel paese che ha assassinato la sua famiglia.

Ad accompagnare questa scena è il tema musicale de La Chrysalide che, dopo numerosi timidi accenni, è ora libero di farsi sentire per intero mentre Bashir si siede su una panchina e guarda in cielo. La Metafora della Crisalide è per lui definitivamente compiuta: Bashir ha accettato il suo lutto, lo ha affrontato ed è ora pronto ad andare avanti.

 

 

Ma non è la fine. L’indomani mattina, nel cortile della scuola, Bashir sorveglia i bambini godendosi il sole primaverile. Si avvicina a lui la madre di Alice (il cameo dell’autrice Évelyne de la Chenelière, N.d.R.), che lo ringrazia per il sostegno che egli ha saputo dare ai bambini, come anche ai genitori.

Vediamo intanto che Alice si è diretta in direzione di Simon, appoggiandosi al muro affianco a lui come segno di riconciliazione, che Simon sancisce lanciandole una manciata di noccioline, che poi i due condivideranno.

 

 

D’un tratto sentiamo però la voce alterata di Madame Vaillancourt, che rimprovera Bashir per aver nuovamente affrontato l’argomento del suicidio di Martine coi ragazzi.
Durante la discussione, la preside rivela a Bashir di essere da tempo a conoscenza del fatto che lui non fosse un residente permanente, ma di aver taciuto per non compromettere l’equilibrio che si era creato all’interno della classe; ora però, in parte anche per via delle iniziative prese da Bashir, il fatto è venuto a conoscenza anche dei genitori, primi fra tutti quelli di Marie Frédérique.

 

 

«Ma tu che facevi il Algeria?»
«Gestivo un ristorante»
«Oh, cazzo»

 

 

Madame Vaillancourt confessa a Bashir che non solo lui è immediatamente sollevato dall’incarico, ma che anche a lei, a fine anno, toccherà la stessa sorte.
Bashir, dispiaciuto, ottiene almeno di poter fare un’ultima volta lezione coi suoi alunni, per non abbandonarli senza preavviso, proprio come aveva fatto Martine.

 

 

In classe, mentre i ragazzi stanno svolgendo un compito, Bashir distribuisce loro alcune fotocopie del suo racconto, quello che tempo addietro aveva promesso di fargli correggere. Bashir inizia quindi a leggere.

 

 

L’albero e la Crisalide di Bashir Lazhar.

Non c’è niente da dire di fronte a una morte ingiusta, niente che aiuti.
Non serve cercare una spiegazione.

Sul ramo di un albero di ulivo, se ne stava sospesa una piccola crisalide color verde smeraldo. «Domani sarà una bella farfalla libera dal bozzolo» pensò l’albero, che aveva gioito ogni giorno nel vederla crescere.

Ma nel suo cuore il desiderio di tenerla ancora un po’ con sé era forte.
«Così si ricorderà di me» pensava. L’aveva protetta dal vento, l’aveva salvata dalle formiche, pur sapendo che molto presto lo avrebbe lasciato per affrontare da sola predatori e intemperie.

Quella notte, un terribile incendio devastò la foresta e la crisalide non divenne mai farfalla. All’alba, il fuoco si spense. L’albero era ancora in piedi, vivo, ma il suo cuore era diventato di cenere, distrutto dalle fiamme, consumato dal lutto.

Da quella notte, quando un uccellino si posa sui suoi rami, l’albero gli racconta della crisalide che non fu mai farfalla e la immagina con le ali spiegate, fluttuare nell’azzurro del cielo senza nuvole, ebbra di zucchero e libertà, testimone silenziosa e lieve delle nostre storie d’amore.

 

Mentre ascoltiamo le sue parole, possiamo vedere gli studenti della scuola che nei corridoi si preparano a tornare a casa, mentre Alice, dopo aver chiuso l’armadietto, torna indietro per salutare, un’ultima volta, il suo amico Bashir Lazhar.

 

Titoli di coda – La Chrysalide di M. Léon (come è giusto che sia)

 

 

 

 

Dopo il Film

 

Bashir Lazhar, un uomo che richiede asilo nel moderno Canada, si integra nel tessuto più sensibile del paese, quello dell’infanzia, e lo guarisce proprio laddove gli altri non sono riusciti. Consapevole di aver liberato se stesso ed i suoi piccoli studenti dalle angosce del passato, essi prendono serenamente strade diverse, pronti ad affrontare il futuro con rinnovata gioia.

Come ho detto all’inizio, si tratta di un film che tratta temi importanti con grande delicatezza e questo è fondamentalmente il motivo per cui ho scelto Monsieur Lazhar per il primo episodio di Storie di Cinema. Inoltre è un film di cui non si sente mai parlare ed era quindi doveroso restituirgli un po’ dell’attenzione che merita.

Non voglio dilungarmi oltre per non guastare l’atmosfera del film con ulteriori considerazioni. Nel caso abbiate apprezzato il format, sappiate che anche se ho già in mente una scaletta di film che mi piacerebbe analizzare in questo modo, eventuali suggerimenti sono sempre ben accetti.

P.S. Se non l’avete ancora fatto, non dimenticate di guardare il film!