Abbiamo giocato a fondo Resident Evil VII, l’ultimo capitolo della famosa serie survival horror di Capcom: scoprite cosa ne pensiamo leggendo la nostra recensione.

Resident Evil VII: Biohazard è finalmente arrivato, come promesso, questo 24 gennaio 2017 su PC, PlayStation 4 e Xbox One e porta sulle spalle il fardello di un brand importantissimo e molto amato nell’industria dei videogiochi, che negli ultimi tempi aveva un po’ smarrito la retta via.

Dopo aver toccato l’apice con il quarto capitolo su GameCube e PlayStation 2, la serie ha infatti vissuto un momento di disaffezione da parte dei fan con un quinto capitolo più votato allo shooting che al survival, e un sesto capitolo confusionario e dimenticabilissimo.

Abbiamo affrontato in modo più approfondito le vicende della serie Capcom tempo fa in un articolo dedicato che vi riportiamo di seguito.

 

La sfida che questo titolo era chiamato ad affrontare non è soltanto quella di risollevare le sorti della serie, ma anche di rappresentare la prima vera killer app per per la realtà virtuale, essendo fruibile tramite PlayStation VR sulla console Sony.

Per scoprire se sia riuscito nelle due imprese, dunque, non vi resta che proseguire nella lettura della nostra recensione!

La versione da noi testata per la recensione è quella PlayStation 4, giocata su una console PlayStation 4 Pro collegata ad un pannello 4K HDR e anche usando PlayStation VR. Sarà disponibile nei prossimi giorni anche un’analisi tecnica della versione PC all’interno della nostra rubrica Tecnicamente.

 

La recensione di questo titolo arriva con un discreto ritardo in quanto la copia per la recensione ci è stata consegnata al day one. Ci scusiamo per l’attesa ma abbiamo preferito aspettare qualche giorno extra invece che essere precipitosi, al fine di dare una valutazione completa e non approssimativa del prodotto.

 

 

 

 

Resident Evil VII: Biohazard fonde per la prima volta sia il nome occidentale della serie che quello giapponese.

Resident Evil VII: Biohazard fonde per la prima volta sia il nome occidentale della serie che quello giapponese, e lo fa a ragion veduta visto che in questo nuovo capitolo abbiamo una sorta di ritorno alle origini.

Come nel primo storico capitolo infatti abbiamo una centralità della mutazione genetica come nemico e una residenza come location in cui le nostre azioni prendono luogo.

 

 

 

Welcome to Louisiana

La storia ci mette questa volta nei panni di Ethan Winters, un uomo comune e un perfetto sconosciuto per i fan della serie. Sua moglie, Mia, è scomparsa da ormai tre anni e tutti la credevano morta, fino a quando Ethan non riceve un suo video in cui appare in pericolo e chiede al marito di perdonarla e di lasciarla al suo destino.

Una serie di indizi ci porta in Louisiana, più precisamente presso il diroccato complesso abitativo della famiglia Baker.

E che razza di marito saremmo se non facessimo esattamente il contrario? Ethan decide di partire per salvare Mia, e una serie di indizi lo porta in Louisiana, più precisamente presso il diroccato complesso abitativo della famiglia Baker.

La residenza è senza dubbio la vera protagonista del gioco, e l’atmosfera che si viene a creare fin dal primo momento in cui vi metteremo piede crea angoscia, inquietudine e per certi aspetti vero terrore.

Un classico complesso plurifamiliare di abitazioni in legno, ormai decadenti poiché in stato di abbandono da anni, è teatro delle grottesche e apparentemente inspiegabili vicende della suddetta famiglia composta principalmente dal vecchio Jack, Marguerite e Lucas, che si sono incrociate con la vita di Mia, e di conseguenza sono diventate affar nostro.

 

 

 

 

Possiamo suddividere la trama del gioco in due macro sezioni.

Possiamo suddividere la trama del gioco in due macro sezioni: la prima è totalmente estranea a qualsiasi tipo di riferimento esplicito alla saga di Resident Evil e immerge il giocatore in un plot pieno di misteri e domande, mentre la seconda parte permette di sciogliere la matassa di situazioni fin lì affrontate e ci da anche un collegamento.

La sensazione di ansia costante permea il titolo dall’inizio alla fine ed è data da un buon dosaggio di elementi classici delle serie mescolati con atmosfere e richiami anche agli horror più acclamati del cinema, da Non aprite quella porta a Saw, e non da ultimo all’uso delle VHS per interessanti flashback da giocare sempre in prima persona.

Non scenderemo più nello specifico vista la natura stessa del gioco onde evitare qualsivoglia tipo di spoiler, ma tra fasi totalmente d’esplorazione ed enigmi, e scontri con i Micomorfi e i membri della famiglia Baker, vi possiamo assicurare che la componente narrativa di questo Resident Evil VII: Biohazard non vi deluderà e anzi si attesta ad uno dei livelli più alti mai raggiunti dalla serie.

 

 

 

 

Ritorno al futuro

Dal punto di vista del gameplay direi che Ritorno al futuro è una sintesi parecchio chiara di ciò che Capcom ha, con successo, sperimentato in questo titolo. Ciò che all’inizio aveva preoccupato i fan della serie era il passaggio alla prima persona dopo decenni di struttura da TPS. Il timore era che – sulla falsariga del successo del fu P.T. – questo nuovo Resident Evil VII andasse a stravolgere completamente la serie ponendosi come un horror game passivo stile Outlast ed emuli visti negli ultimi tempi.

Rischio scongiurato visto che in Resident Evil VII di azione ce n’è un bel po, insieme a jump scare vari… certo, non preponderanti però. L’esplorazione dei tetri corridoi della residenza dei Baker mira a creare nel giocatore più un senso di inquietudine costante che di spavento vecchio stile in determinati momenti.

Nonostante il gameplay cambi faccia, tornano in gran stile tanti elementi distintivi della serie.

Nonostante il gameplay cambi faccia, tornano in gran stile tanti elementi distintivi della serie. Dai nastri per il salvataggio della partita sparsi solo in certi punti della mappa, ai fluidi da mescolare con erbe piuttosto che con polvere da sparo per creare medicinali e munizioni.

Queste in particolare tornano ad essere reperibili i numero molto limitato e il giocatore è quindi costretto a centellinarle e usare magari quando possibile il coltello per risparmiare sulle scorte di proiettili.

Abbiamo diverse armi reperibili all’interno del gioco, dai classici coltello e pistola a fucili a pompa e persino lanciafiamme artigianali.

Torna anche l’inventario con slot limitati, da dover gestire in modo intelligente servendosi delle casse (reperibili di solito nei dintorni dei nastri di registrazione) in cui depositare gli oggetti in eccesso.

Da ultimo, ma non per importanza, il ritorno agli enigmi che portano il giocatore a usare la propria testa e a cercare meglio con del sano back-tracking per capire come proseguire nelle aree di gioco, talvolta davvero criptiche.

 

 

 

 

 

La killer app per PlayStation VR

Resident Evil VII: Biohazard è, forse senza nemmeno preoccuparsi realmente di esserlo, il miglior gioco presente sul mercato per la realtà virtuale. Una vera killer app per PlayStation VR che può potenzialmente risollevare le sorti poco entusiasmanti che questa nuova tecnologia nel corso del 2016 aveva ormai intrapreso.

Capcom ha inserito tra le opzioni di gioco alcuni parametri di configurazione che provano a rendere più agevole l’esperienza in modalità VR. Si usa solo il Dualshock e l’angolatura limitata a 30 gradi mitiga i classici problemi di motion sickness.

Al netto di compromessi in termini di definizione grafica, giocare il titolo con VR cambia quasi il gameplay rendendolo estremamente più immersivo, complice ovviamente la telecamera in prima persona, e crea un’empatia con l’azione di gioco davvero incredibile.

Siamo davanti a un system seller che potrebbe per gli indecisi rappresentare il tanto atteso “buon motivo che giustifichi l’acquisto di PlayStation VR”.

Per chi possedesse già il visore invece, non provare almeno una sequenza di gioco con esso sarebbe un reato. Ovviamente – trattandosi di un horror game – tutte le sensazioni e i possibili sussulti di terrore che provate normalmente giocando su TV sono ampliati oltre il doppio giocando in modalità VR, quindi comprensibilmente non si tratta di un’esperienza raccomandabile ai deboli di cuore o a chi è facilmente impressionabile.

 

 

Dal punto di vista tecnico il nuovo motore grafico RE Engine mostra i muscoli e, se come detto sopra per l’esperienza in realtà virtuale scende a compromessi soprattutto nelle fasi in esterna, su PlayStation 4 Pro gira egregiamente in 4K con framerate stabile.

La cura per i dettagli è maniacale in ogni angolo della residenza e anche all’esterno

La cura per i dettagli è maniacale in ogni angolo della residenza e anche all’esterno, e sono stati risolti tutti i problemi di compenetrazione poligonale presenti invece nelle demo così da garantire un’esperienza visiva esente da bug e sbavature di qualunque tipo.

L’oscurità è sovrana in Resident Evil VII: Biohazard, e il sapiente uso dell’illuminazione abbinato a scelte cromatiche azzeccatissime contribuiscono a creare una delle atmosfere più macabre e tetre mai viste in un videogioco. Funzionale a tale scopo è anche il comparto sonoro, con un soundtrack che ci immerge appieno nell’incubo della famiglia Baker.

Possiamo affermare che Resident Evil VII: Biohazard è riuscito nell’ardua impresa di ridefinire il genere del survival horror.

In un modo in cui solo Resident Evil 4 era riuscito a fare finora. Tirando le somme, questo è il Resident Evil che tutti speravano fosse, forse anche qualcosa di meglio.

Il titolo riesce a tenere incollati allo schermo (o al visore) sia i fan di vecchia data che i neofiti della saga con una storia coinvolgente e piena di misteri, declinata in un gameplay rinnovato, ma che non si dimentica degli elementi che lo hanno reso celebre e con un livello tecnico sublime.

 

91
Resident Evil VII: Biohazard
Recensione di Francesco Ventrella