3%: Netflix e la prima distopia brasiliana

Un solito futuro distopico, un solito gioco per la sopravvivenza, o meglio, per la vita: 3% non sembra avere una premessa originale, né un motivo per cui bisogna lanciarsi in un binge-watching di un ennesimo Hunger Games, ma in portoghese brasiliano. Eppure…

3% è una storia particolare, pur nella sua ripetitività, pur con i suoi evidenti difetti. Nata webseries divisa in tre episodi, proposta a vari network televisivi dal suo creatore Pedro Aguilera, è stata acquistata da Netflix quattro anni dopo esser stata pubblicata su Youtube e rinnovata recentemente per una seconda stagione. 3% non gioca alla sopravvivenza, ma vuole che una vita dignitosa e felice sia un merito, non un dovere, non un piacere, non un atto di corruzione o di nepotismo, né genetico.

Il titolo della serie è anche lo scopo dei protagonisti: solo il 3% di chi, appena compiuti i 20 anni d’età, supererà “Il Processo”, potrà abbandonare una vita di povertà e vivere in una vera oasi di pace, un’isola chiamata “l’altro lato”. Un’offshore, una società (in entrambi i sensi della parola) che assume i meritevoli attraverso colloqui e crudi stress test. Per chi non supera il processo non vi saranno punizioni esemplari: si potrà tornare a vivere — sempre se di vita si possa parlare — in un mondo che nessuno vuole.

 

 

Netflix scommette su 3%, mostra un terreno esplorato da molti possa ancora raccontare qualcosa, specialmente da un insolito punto di vista; il Brasile, nella sua prima produzione originale del colosso dello streaming online, prende la propria, dolorosa, realtà e la trasforma in distopia, in un what-if.

Cosa succederebbe se tutti, proprio tutti, alla stessa età, potessero avere la stessa opportunità di cambiare la propria vita in meglio?

Ed è questa domanda, il fulcro di 3%. Siamo abituati a vedere storie che come base hanno un ingiusto intento, una premessa maligna: gli Hunger Games sono uno spettacolo divertente, un mezzo di controllo in un’ingiusta e sbilanciata società, Ezequiel, il direttore del processo, non vuole sfruttare i ragazzi. L’offshore premia, non distrugge.

Eppure, la disperazione è il carburante che spinge questa serie di prova in prova, seguendo i protagonisti nella scoperta di se stessi e di un meccanismo incantato che pian piano si rivela umano, come chi lo gestisce, dunque non privo di difetti, di dubbi, di paure.

Una società perfetta esiste, deve. Il processo, per gli abitanti dell’entroterra, diventa una religione perché — proprio come essa — dà speranza. Dall’altro lato, un’organizzazione “criminale” (La Causa) non crede in una vita giusta solo per pochi. Sono questi gli elementi che formano un equilibrio nel futuro distopico presentatoci, che si incastrano con le vite dei protagonisti che impareremo a conoscere, osservare e “tifare”.

Una recitazione credibile e fluida lascia poco tempo per commentare negativamente la (povera) resa della tecnologia di 3% e le storie dietro un ennesimo anno del processo ci terranno incollati come da tradizione Netflixiana, noncuranti dei difetti, giustificati dato il budget non stellare e un continuo paragone con delle esperte antagoniste: non possiamo valutarlo comparandolo alle produzioni americane ed inglesi, 3% si guarda con la cultura del Brasile. È solo abbracciandola, che possiamo apprezzare la serie.

 

 

 

 

La disabilità come punto di forza

Uno degli elementi più brillanti della serie è la straordinaria capacità di aver saputo valorizzare la diversità: Fernando, uno dei protagonisti, è invalido. Lo vediamo sin da subito, con la sua sedia a rotelle assemblata malamente, ma la serie non dà il tempo a nessuno di provare pena, compassione, simpatie particolari per lui.

 

Fernando 3% - 3 por cento netflix

 

Fernando sa che il processo è uguale per tutti, senza sconti né preferenze, ciò che noi chiamiamo invalidità è in realtà ciò che lo esalta, ciò che fa di lui, lui stesso e nessun altro. Durante il corso della serie lo vedremo portare il suo handicap come un’armatura, nonostante i commenti ed il disprezzo.

La sedia è una parte di lui, non qualcosa di cui vergognarsi, provare pena, né qualcosa che può impedirgli di partecipare all’evento più importante della sua vita, la possibilità di sfuggire alla decadente realtà dell’entroterra.

3% è, in definitiva, una bella sorpresa.

una serie che affonda le sue radici in un territorio inesplorato, che spazza via alcuni pregiudizi, che ci racconta delle storie da un punto di vista inusuale per gli appassionati di serie TV.

Il Brasile, terra di soap opera nell’immaginario comune, dimostra di saper raccontare una non originale versione di futuro distopico, servendosi dei propri problemi e della propria cultura per consegnare allo spettatore un prodotto assolutamente godibile, nonostante i difetti.

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