Un ombrellino da cocktail sulla spiaggia

Questa storia è realmente accaduta, se non ricordo male.

I lettini vuoti sulla spiaggia, un pomeriggio torrido. Il mare era assopito, le palme immobili, cariche di noci grosse come testicoli ipertrofici.

Marc preferì stendere un asciugamano sulla sabbia, all’ombra, dietro la fila dei lettini vuoti; c’era solo lui, e da quella posizione riparata la vita offriva il meglio di sé; Marc non poté che scivolare in quell’agio, e respirare a occhi chiusi la salsedine; poche voci dal bar alle sue spalle. Piedi nudi gli passarono accanto, e svanirono; proprio come la sua coscienza.

Non è facile stabilire per quanto tempo Marc dormì, ma a giudicare da come si svegliò non sembrò essere abbastanza. Oltretutto non era più solo, un signore aveva occupato il lettino di fronte; tra tutti quelli liberi, proprio quello; leggeva un libro e teneva a portata di mano un cocktail arancione con l’ombrellino di carta.

Marc avrebbe voluto spostarsi, ristabilire le distanze, ma non ne aveva nessuna voglia. E a dirla tutta, non toccava a lui allontanarsi.

Quel signore pelato finì il drink con un sorso, gli parve di sentire anche un rutto.

Mentre Marc dormiva, una brezza umida aveva cominciato a lisciare la pelle, increspare le onde del mare, smuovere le palme. E proprio una di queste, notò, era perfettamente allineata al lettino di fronte a lui, e non smetteva di danzare.

Arrivò una barca, si spense il motore, e scesero delle persone felici.

Ecco cosa voleva fare, pensò, un bagno. Ma l’idea delle noci di cocco a un’altezza di circa tredici metri sopra la testa del tizio gli sembrò più interessante. E se ne fosse caduta una? Il punto non era se l’avesse colpito o meno, ma in quale parte del corpo.

Marc rifletté per qualche istante, calcolando possibili traiettorie e margini di errore, nonché possibilità di sopravvivenza; poche, azzardò. E la cosa si fece ancor più intrigante, mentre vide il tizio pelato girarsi, lanciargli uno sguardo di cui non fu capace di distinguere la natura, intercettare un cameriere in maglia bianca e ordinare qualcosa; Marc avrebbe scommesso venti euro che si trattava dello stesso cocktail arancione; anzi, alzò la posta a cinquanta.

Nel frattempo il tizio era tornato al suo libro.

L’idea di un bagno ricomparve bussando alla porta tutta eccitata, ma trovò uno di quei rifiuti temporanei, che lasciarono speranza per un prossimo futuro; c’era di meglio a cui pensare. Allora anche Marc ordinò da bere, ma dalla sua posizione, sulla sabbia, incontrò maggiori difficoltà a farsi notare dal cameriere. Quella brezza era incapace di alleviare la calura del pomeriggio, e i rivoli di sudore sul tutto il corpo e sul volto ne erano una pura testimonianza.

Marc guardò ancora il tizio sul lettino, poi le noci di cocco, poi ancora il tizio, col nuovo drink in mano, ed era arancione, cazzo, aveva vinto, e c’era pure l’ombrellino di carta infilzato in un pezzo di ananas, sul bordo del bicchiere; Marc si rese conto di odiare gli ombrellini di carta, tutti, perché desueti, contrari alla morale ecologica e perché appartenevano a quella categoria di oggetti che deve risultare simpatica per forza, che deve simboleggiare qualcosa sempre e a tutti, in ogni parte del mondo, e quello non era giusto, era ora di smetterla. E proprio di fronte a lui, mentre appunto veniva distratto da un oggettuccio come quello, un signore pelato e grassoccio rischiava di essere colpito da un ordigno mentre beveva, ignaro, un cocktail arancione con sopra l’ombrellino, e lui ne reggeva le sorti, il potere di determinarne il destino, in qualche modo.

Quando arrivò anche il suo succo di mela, Marc si sentì improvvisamente investito di una sorta di responsabilità che fino a quel momento non aveva voluto accettare. Entrambi stringevano un bicchiere fresco, sebbene il suo fosse privo di ombrellino, su specifica richiesta. Così prese la decisione, scattò in piedi e si avvicinò al tizio, lanciando rapide occhiate alla palma fin su, alle sue noci di cocco, che ora sembravano proprio in procinto di sganciarsi, da un momento all’altro. E se nell’avvicinarmi me ne cadesse una addosso, proprio a me, pensò; allora il pericolo era più che reale, cavolo, così accelerò il passo e cercò di tenersi a una certa distanza.

“Scusi.” disse a quell’uomo in costume che gli sembrò oltremodo ripugnante; indossava auricolari, si sentì un brano di musica classica quando se li tolse dalle orecchie, appoggiò il libro sullo stomaco dilatato e lo fissò senza avvertire il bisogno di parlare. “Lei è sdraiato proprio sotto quelle noci di cocco, le vede? Forse sembrerò paranoico, ma ho pensato di avvertirla. Una di quelle può fare male, mi creda.” e sorrise.

“Accidenti. Non me n’ero proprio accorto.” disse questo guardando in alto; aveva un accento strano, doveva essere balcanico. “Grazie. Mi sposterò in un altro lettino, più in là. Troppo gentile.”

“Si figuri.” disse Marc, e si allontanò, ebbro di un qualcosa che lo fece sentire gasato; anche quel giorno si era guadagnato un credito da spendere.

Il tizio prese la sua roba e con passi pesanti scelse un altro lettino, poco distante, liberando quello stesso spazio vitale che Marc aveva proclamato suo di diritto; un certo ordine era stato ristabilito.

Marc rimase in piedi a respirare quel venticello, cercando di assorbire con pienezza la vista del mare, c’era una barca al largo; il cielo era limpido, la spiaggia si estendeva per chilometri; pochi rumori, innocui e distanti.

Era di spalle quando successe: Marc stava togliendo la sabbia dal telo, e un tonfo sonoro, sordo, lo fece scattare tanto che quasi perse l’equilibrio. Quando si voltò per vedere cos’era successo sulle prime non notò nulla, ma a uno sguardo più attento vide un grosso foro nel lettino di fronte.

“Cristo Santissimo.” disse, incredulo. Si avvicinò per una conferma di cui non sentiva il bisogno, e trovò la noce di cocco proprio al di sotto del foro. Allora rivolse lo sguardo al tizio che si era spostato, cercando una fama e una ilarità che mai aveva provato in vita sua; ma questo leggeva, aveva gli auricolari e non si era accorto di niente. Marc lo fissò ancora sperando si voltasse, prima o poi l’avrebbe pur fatto, ma non sembrò averne alcuna intenzione; gli aveva appena salvato la vita, ma lui non avrebbe ricevuto neanche un grazie, neanche un sorriso. Marc pensò di andarlo a prendere per un braccio, o per l’orecchio, e portarlo lì davanti e fargli capire bene il ruolo che aveva avuto nel mantenere integra la sua esistenza; ma sembrava così tranquillo, così rilassato, che forse non era il caso di spaventarlo. Così rinunciò, esaminando ancora la scena, immaginando la dinamica, e notò che lassù c’erano ancora due o tre noci pronte a colpire. Meglio fare un bagno, quindi.

Marc camminò lento verso la riva, cercando nel frattempo un contatto visivo col tizio, era ancora in tempo per dirgli la cosa incredibile che era successa, voleva solo raccontarla, cavolo, ma niente, ormai i suoi piedi erano bagnati da un’acqua tiepida e trasparente. Pazienza, si disse, e avanzò, si immerse fino al collo, ed era magnifico; nuotò lontano, dove non c’era nessuno, fin dove non toccava più il fondale coi piedi, lo sguardo proteso all’orizzonte. Il tempo perse il suo significato, la mente si fece silenziosa; si immerse sott’acqua più che poté, riemerse e galleggiò a pancia all’aria. E così rimase.

Quando decise di tornare a sdraiarsi sul telo si voltò verso la spiaggia, lontana, e fu subito attratto da quello che sembrò un gruppetto di persone riunite; un’escursione organizzata, pensò, sebbene a quell’ora non ne avesse mai viste. Troppa gente, comunque, fu la conclusione; decise che sarebbe stato meglio fare un giro largo e uscire dall’acqua lontano da quel gruppetto di sette, otto persone, ai quali vide aggiungersi un nono; troppo casino.

Stava già pensando a cosa mangiare per cena, se pesce alla griglia o una bella zuppa di verdure al curry; stava calpestando la sabbia, raggiungendo il telo; si stava per sdraiare quando una signora in lacrime avvolta da un pareo colorato per poco non gli finì addosso. Questa lo guardò, si scusò senza parlare, la mano a coprire la bocca, gli occhi gonfi.

Marc rimase immobile, non sapeva cosa fare, quando la signora sospirò, si tolse la mano e disse: “Assurdo, la vita è proprio… Oddio.”

E’ evidente che quelle parole non furono di aiuto nel cercare di capire, ma quando Marc stava per dire qualcosa, la signora che aveva un fiore tra i capelli fece un lungo sospiro scuotendo la testa, e disse: “Vede? Sto ancora tremando, sono sconvolta. Oddio che scena orribile.”

“Ma cosa è successo?” chiese Marc, ormai scocciato.

“Come, non ha visto? Come può non aver visto?” disse questa in un tono che sfiorava l’irritazione.

“Stavo facendo il bagno, signora. Se è così gentile da rendermi partecipe del suo dolore, forse potrò esserle di conforto.” Più di così, pensò Marc.

“Ah guardi, c’è veramente poco che può fare, mi creda. Ormai quel pover’uomo se n’è andato. Che morte orribile.”

“Morto? E’ morto qualcuno? Chi?”

La signora sospirò ancora, si asciugò altre lacrime e si voltò verso il gruppetto di persone; adesso se ne sarebbero potute contare almeno venti.

“Una tragedia. Quell’uomo se ne stava sdraiato tranquillo, al sole, quando una noce di cocco… Oddio. Ci crede? Una noce di cocco gli è caduta addosso sfracellandogli il cranio. Che scena orribile, Gesù salva la sua anima.”

Marc rimase paralizzato, fu incapace di dire una qualsiasi parola. Guardò verso il lettino del signore pelato, rubò un’occhiata tra la gente; sì, era proprio lui, aveva appoggiato il bicchiere vuoto sulla sabbia, c’era ancora l’ombrellino infilzato su un pezzo di ananas.

“Mi scusi, adesso devo proprio andare.” disse la signora, “Ho bisogno di un bicchiere, qualcosa di forte. Fanculo la dieta.” e si allontanò.

Marc continuò a fissare il gruppetto di persone, e annuì a se stesso.

Il sole era ancora alto, la fila di lettini ancora vuota.

Si udì un grido, una signora stava arrivando di corsa, aveva le mani sulla testa, era la moglie della vittima.

Marc si sdraiò sul suo telo, sospirò, e decise che quella sera era meglio prendere una zuppa di verdure al curry.

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